La Lombardia che lavora, gli indomabili ai requiem dell’arte

Di Caterina Giojelli
18 Novembre 2020
Reinventare scenografie, musei, mostre, colmare frammentanzione e distanziamento sociale «si può e si deve fare». La riscossa di Studio Cromo, molto più che artisti, tecnici e artigiani che non aspettano il futuro sul divano

Benedetti contrasti: mentre i giorni volgono al divano, alla sospensione dei rapporti, al rimandare eterno dei conti con la realtà a quell’abusatissimo momento storico chiamato “futuro”, c’è chi porta il tempo da un’altra parte, dritto nel presente. Succede così: un po’ perché a ribaltare la direzione è un gruppo di amici che lavora nel settore arte e cultura messo ai ceppi dalla pandemia, un po’ perché cos’è e sarebbe arte se non affrontare ciò che ogni epoca scantona e non affronta?

Quando uno sciame virale ha ammalato la Lombardia, Studio Cromo aveva oltre una decina di primavera alle spalle, tutte trascorse in laboratori, cantieri, teatri e musei, padroneggiando effetti speciali, scenografie, allestimenti fieristici, ambientazioni di eventi internazionali. Viaggiavano leggeri: prima in due, Gabriele Cantoni e Lorenzo Meregalli, “Lele” e “Zino”, ex ragazzi freschi di Accademia di Brera rinchiusi in uno scantinato a stringere la cinghia; oggi in tre, c’è anche Tommaso Vergani e c’è una compagnia di fidati laboratori di falegnameria, carpenteria, reparto modellatura e colorazione da trascinare nella progettazione e realizzazione di stage, set, allestimenti, ricostruzioni tematiche, scenografie, strutture promozionali ed experience store di altissimo livello qualitativo e tecnologico ma anche creativo ed estetico. Chiamatelo curriculum, chiamatelo indotto, fatto sta che nella maledetta primavera scorsa questo manipolo di ragazzi milanesi e brianzoli che negli anni si sono ritagliati una signora nicchia di mercato, lavorando a Palazzo Reale o al Lac di Lugano, per Alcantara o Bulgari, esponendo Gio Ponti o Gauguin, non si è seduto sul divano ad aspettare i titolisti celebrare il requiem del comparto culturale. Anzi.

L’ASSALTO AL CASTELLO E ALLE TRAGEDIE DEL NOVECENTO

«Abbiamo iniziato chiamando tutti, fornitori e clienti, per capire cosa potevamo fare insieme. Molto concretamente si trattava di rivedere alcuni progetti, penso alle scenografie per i primissimi spettacoli teatrali riaperti al pubblico, non solo in termini di rispetto delle nuove normative anti Covid ma anche a fronte di budget stravolti e ribassati. Rimettere mano a un’opera per edificarla su un margine sempre più piccolo, insomma, ma all’altezza del suo nome e significato, qualunque opera o lavoro fosse – ci racconta Cantoni -. Abbiamo anche dialogato con curatori di musei, artisti, designer, da un lato per aiutarci a far memoria del nostro compito, dall’altra per offrire il loro contributo al pubblico e avviare una discussione sul nostro sito». In quei giorni i luoghi dell’arte, della musica e del teatro si spopolavano «eppure arte, musica e teatri entravano, seppure in altro modo e attraverso forme surrogate, nelle case di moltissime persone. E non solo come svago, ogni artista trascina dietro di sé il peso di tutti i tempi e di una domanda fondamentale: noi l’abbiamo capito meglio lavorando tra i due lockdown alla mostra “Assalto al castello” al Castello Gamba di Châtillon, in Val d’Aosta, in collaborazione con Casa Testori. Qui le opere dei 14 artisti contemporanei sono state immerse, anzi, hanno letteralmente invaso le sale della collezione storica del Museo confrontandosi con i capolavori di artisti del Novecento che di tragedie ne hanno vissute parecchie – guerre, pandemie e totalitarismi –, ma a vincere è sempre è la vita, allora come oggi. “Si dice spesso che non ci sono parole per esprimere certe situazioni, ma l’artista non si può tirare indietro, è condannato all’espressione. Per fortuna!” : sono parole di Davide Dall’Ombra, curatore della mostra, e le abbiamo fatte nostre».

IL DIOCESANO E L’ARTE MILLENARIA CINESE “IN SICUREZZA”

Con questo spirito Cantoni e soci si dedicano alla risistemazione del Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano. Dagli espositori alla cartellonistica lavorano, approfittando dell’assenza di pubblico, per rafforzarne l’identità: conoscono il Museo, solo pochi mesi prima hanno curato l’allestimento di “Gauguin, Matisse, Chagall. La passione nell’arte francese dai musei vaticani”, maneggiando capolavori dell’arte sacra e moderna, ma è alla celebre esposizione permanente che dedicano il tempo della chiusura per immaginarla ancora più vicina e fruibile al ritorno del visitatore. «Abbiamo capito che il tempo poteva esser investito per migliorare l’esistente. E reinventarlo. Abbiamo poi lavorato alla mostra “Out of the blue. Viaggio nella calligrafia attraverso Alcantara” dentro Palazzo Reale riuscendo nell’impresa di dialogare con sei affermati artisti cinesi e in massima sicurezza: tutto, dal cuore dell’esposizione – restituire un confronto tra l’antichissima arte della calligrafia e la modernità -, alla logistica, alle difficoltà tecniche e strutturali, è stato realizzato rispettando le nuove normative ed era pronto a settembre per gli ingressi contingentati». 

A CASA DE RODIS L’ARTE TORNA IN PIAZZA E DIVENTA POPOLARE

Nemmeno i musei chiusi sono stati un’obiezione per Studio Cromo. Ne è un esempio splendido “Umano molto umano”, la mostra curata da Casa Testori che Collezione Poscio ha proposto a Casa De Rodis, a Domodossola, per tutta l’estate e inizio autunno. «Non si trattava solo di rispettare le regole ma diventare creativi: portare in piazza e in piena sicurezza 13 ritratti realizzati dall’inizio del Novecento». L’esposizione, geniale, che ha preso spunto dai volti di indimenticabile intensità umana immortalati dall’obiettivo di fotografi che nei mesi dell’emergenza hanno cercato il volto di medici e sofferenti in ospedali e terapie intensive, voleva offrire al pubblico una riflessione sul “ritratto”: tutt’altro che restituzione delle sembianze di una persona, ma esplorazione e disvelamento della condizione umana. «A rotazione, i ritratti originali hanno trovato posto nella grande vetrina di Casa De Rodis affacciata sulla centralissima piazza Mercato, mentre le loro riproduzioni si affacciavano per restituire continuità temporale e spaziale dalle finestre». Paradossalmente, in piena pandemia e in mezzo a mille restrizioni, «l’arte riusciva a riappropriarsi della sua dimensione più popolare».

RACCONTARE STORIE IN UNA STANZA

Si può fare, insomma, «si può e si devono immaginare forme e modalità nuove: cosa possiamo fare noi, ci siamo chiesti, perché non venga meno quel segno, quel compito che ha segnato la nostra storia anche quando ci è chiesto di fermarci, chiuderci, distanziarci?». Durante la prima ondata, racconta Cantoni, «abbiamo fatto una chiacchierata col designer Andrea Anastasio e capito che quello che possiamo fare è cercare di colmare il più possibile quella voragine che insieme al distanziamento fisico si è aperta tra noi e il prossimo: non è di lontananza sociale che abbiamo bisogno per combattere un virus. Anzi. Dobbiamo essere pronti, capaci di immaginare, progettare, essere degni delle opere che maneggiamo e dell’incontro con gli artisti che ci hanno preceduto nei secoli più bui della storia. Continuare a farli parlare». Per realizzare tutto quello che, per usare le parole di Anastasio, può aiutare a guarire “da processi generatori di isolamento psichico e disfacimento delle collettività”. «Quanto a noi, appena la gente si è richiusa in casa abbiamo capito che era il momento di lanciare qualcosa che ci stava a cuore da tempo, Cromo Lab. Tecnicamente dovrei definirla la divisione “arredo artigianale” di Studio Cromo, in pratica si tratta di affidare la realizzazione di mobili a tre come noi, cioè a un architetto, uno scenografo e un designer, che abbiamo sempre creato per le nostre famiglie, i nostri amici, alcuni clienti. Per noi significa raccontare una storia in una stanza».

«SPERARE NEL FUTURO È PIÙ INTERESSANTE CHE GUARDARE IL PRESENTE?»

Insomma, c’è chi si siede ad aspettare il futuro sul divano, chi il divano lo crea, «davvero sperare nel futuro è più interessante che guardare il presente? C’è tanta produzione di pensiero, tanti intellettuali che si stanno misurando sul ripensare l’arte e la cultura nel post Covid, ma da artigiani dell’arte sappiamo che è al presente, alle circostanze date ora dal Covid che dobbiamo guardare per costruire qualcosa di solido. È un tema enorme quello dell’unità in un momento storico che ci vede distanti, i rapporti frammentati. Qual è il nostro contributo? Banalmente sarebbe facile ripensare uno spazio scenico teatrale aderendo ai dettami anti Covid, progettando per una o due persone al massimo sul palco, riducendo a tessere di un puzzle le scenografie: noi abbiamo immaginato spazi aperti, richiamando l’unità di scene e storia attraverso segnali, led, espedienti luminosi e visivi». E da dove viene questa forza, questa voglia di stare nel tempo con tutte le sue circostanze limitantissime per continuare a dire qualcosa? «Dall’esperienza e dalla serietà verso un mestiere che non scantona le difficoltà, le trasforma in sfide. Ricordo, nel 2018 l’allestimento al Lac di Lugano del Barbiere di Siviglia: 1 km di led, più di 2 km di cavi elettrici, il tutto per 7 kw di potenza, 2 tonnellate di ferro, svariate macchine sceniche, tecnologie wirless e circa seimila ore di lavoro. Il tutto incorniciato dagli splendidi fondali realizzati dagli artigiani del Piccolo Teatro di Milano: queste le nostre scenografie per il capolavoro di Rossini».

Si possono chiudere i teatri, i musei, le gallerie – le hanno già chiuse – ma non si può chiudere o mettere ai ceppi un’esperienza, né l’online potrà sostituirla. Entrare in rapporto, questo per chi non evade la realtà, è l’unico luogo in cui l’arte ogni giorno ricomincia diventando sempre momento storico. Mai astrazione da salotti e divani.

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