
La Coppa Africa vi annoia? Il “tacco di Allah” e altri bomber vi faranno cambiare idea
Quel balletto propiziatorio alla bandierina è diventato una delle immagini che più lo ha reso celebre. E la data di quelle immagini, giugno 1994, dice perché quello di Roger Milla è un record: aveva ben 42 anni quando firmò il Mondiale statunitense con quella rete alla Russia. Fu il giocatore più anziano ad andare in gol in una Coppa del Mondo e la cosa fece ancor più notizia perché Milla aveva deciso di smettere con la Nazionale 4 anni prima. Una gran carriera la sua: due Coppe Africa, il titolo di “Leoni indomabili” guadagnato al Mondiale dell’82 con il suo mai sconfitto Camerun, e più di 100 reti confezionate nel campionato francese. Nel 1990 voleva smettere, ma il presidente del Camerun Biya gli telefonò: «Roger, ripensaci, abbiamo bisogno di te». All’inizio disse di no, poi si convinse e fece le valigie: fu una delle stelle di Italia ’90, dove siglò ben 4 gol, conducendo i suoi fino ai quarti di finale. Aveva addirittura 38 anni, e quello fu l’apice della sua carriera sportiva.
L’ALGERIA CASTIGA LA GERMANIA. Roger Milla è uno dei bomber più forti del Continente Nero, campioni semi-sconosciuti di cui gli annali del calcio africano pullulano. Dimenticatevi Weah, Kanu, Eto’o, Drogba, Kanouté, Adebayor… La 29esima edizione della Coppa Africa è alle porte, e oggi vi raccontiamo storie al limite dell’anonimato, passate sotto traccia o a volte mai arrivate in Europa, ma proprio per questo ancor più affascinanti, quasi leggendarie. Solo qualche settimana fa il Vecchio Continente ha scoperto le imprese di “Ucar” Chitalu, inossidabile punta maledetta degli anni Settanta, per il quale la Federazione dello Zambia rivendica il record di reti siglate in un anno solare: non le 91 di Leo Messi, bensì le 107 dell’attaccante deceduto nel ’93. Meno nota è quella di Lakhdar Belloumi, miglior giocatore del Continente nell’81, per le statistiche l’inventore del “Blind pass”, ovvero il passaggio “no look”. Centrocampista algerino dal piede delicato, non ha mai giocato in nessuno stadio europeo, se non quelli spagnoli del Mondiale ’82. Ma qui era destinato a lasciare il segno: suo fu il gol del 2-1 con cui l’Algeria batté nel match inaugurale niente meno che la Germania. I club dei campionati più prestigiosi si misero in fila per lui: Barcellona, Juventus… Ma all’epoca agli algerini era vietato lasciare il Paese se non avevano ancora compiuto 27 anni, e quando tre primavere dopo la legge gli aprì le porte del club di casa Agnelli, un duro infortunio bloccò tutto.
IL “TACCO DI ALLAH” E “GOALSFATHER”. Fu davvero sfortunato, non come Rabah Madjer, coetaneo di Belloumi e autore della rete dell’1-0 in quel Algeria-Germania dell’82. A detta di tutti Madjer era meno forte, ma fece più carriera: è diventato celebre come il “Tacco di Allah” per quella rete pazzesca segnata nella finale di Coppa Campioni del 1987, con cui permise al suo Porto di salire sul tetto d’Europa. Coi lusitani vinse pure tre campionati nazionali e un’Intercontinentale, ma mai una volta venne meno agli impegni in Nazionale. Insieme a Belloumi fu il cardine della selezione algerina degli anni Ottanta, quattro volte sul podio in sei edizioni. E rimanendo in Portogallo, da qui è transitato un altro ragazzotto africano dal gol facile: il nigeriano Rashidi Yekini, due volte capocannoniere della Coppa Africa e nel ’92 vincitore del Pallone d’oro del Continente nero. Il “Goalsfather” è morto lo scorso marzo, ucciso dai disturbi mentali che lo perseguitavano da almeno un anno. Tutta la nazione africana ha pianto la perdita di una vera e propria leggenda locale, indimenticato per quell’esultanza a Usa ’94: statuario dentro la porta avversaria, le mani contro la rete guardando il pubblico, il viso duro che si scioglie in lacrime. Fu la prima rete delle Super Aquile in un Mondiale.
IL “BOMBER DEFUNTO” SI COSTRUISCE UNA NUOVA VITA. La sua è una storia triste. Come quella di Pierre Ndaye Mulamba: 9 sono i gol che siglò nella Coppa Africa del 1974, record ancora imbattuto che portò il suo Zaire sul tetto del continente. Divenne l’idolo del Paese: per tutti era “Volvo”, o “Mutumbula”, l’assassino. Ma nello stesso anno andò ai Mondiali di Germania: rimediarono una figuraccia, persero persino 9-0 contro la Jugoslavia, con la minaccia del dittatore Mobutu di non lasciarli tornare in patria. Ma meno di vent’anni dopo la popolarità costò caro a Mulamba: il dittatore Mobutu non ammetteva altre figure modello nel Paese, e i soldati si misero sulle sue tracce convinti che avesse soldi da parte, volevano le sue medaglie. Gli spararono ad una gamba. Evitò di poco l’amputazione dell’arto, ma fu costretto a fuggire: finì a vivere in Sudafrica, in totale povertà. Lì una Ong lo raccolse dalla strada, lo aiutò e gli trovò lavoro come allenatore di una squadra di calcio amatoriale. Si è sposato con Anne, la donna a capo dell’organizzazione. E ora a Cape Town il “bomber defunto” cerca di costruirsi una nuova vita.
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