La chiamano educazione civica, ma è l’educazione secondo il partito (cinese)
Dal nostro corrispondente da Hong Kong – Cresce l’opposizione di Hong Kong alle pressioni cinesi per alterare un altro – forse l’ultimo – dei capisaldi della sua autonomia e della sua democrazia, quello dell’educazione. Le manifestazioni che il primo fine settimana di settembre hanno portato in piazza almeno 8.000 cittadini e in ospedale un’insegnante prostrata da 40 ore di sciopero della fame, sono state un messaggio eloquente per l’amministrazione locale sempre più legata a Pechino, dopo l’elezione a marzo del nuovo capo del governo, Leung Chun-ying, scelto dalla maggioranza di parlamentari non eletta direttamente dai cittadini.
Al centro della protesta, Il modello cinese, un opuscolo che è stato diffuso tra i reponsabili scolastici per illustrare la modifica delle materie di studio in vigore del primo settembre, seppure in modo facoltativo, ma che diventerà gradualmente obbligatoria entro il 2015. Corsi di “educazione civica” e di “migliore conoscenza della madre patria cinese” che per i critici rappresentano il tentativo di condizionare i giovani da parte del governo comunista cinese.
Patriottismo, nazionalismo, comunque una lettura parziale di eventi della storia moderna del paese – inclusi la Rivoluzione culturale e la repressione di Piazza Tiananmen – vengono rifiutati da molti nell’ex colonia britannica, che solo il primo luglio scorso ha ricordato i 15 anni del ritorno alla madrepatria cinese ma guarda con timore ai prossimi 35 anni. Anni che secondo gli accordi tra l’antico potere coloniale e Pechino non avrebbero dovuto portare sostanziali cambiamenti nella vita del sovraffollato territorio affacciato sul Mare cinese meridionale. Invece… «Hong Kong è per Pechino una Regione speciale in termini economici, ma finge di ignorare che lo è anche sul piano politico e civile. Finisce così che le richieste democratiche sono ignorate da Pechino e le libertà residue vengono costantemente erose, a partire da quella di manifestazione, stampa ed espressione», conferma Cheuk Yan Lee, politico dell’opposizione e sindacalista.
La battaglia della Chiesa locale
Minacciata è anche l’educazione indipendente da sistemi e ideologie. Un fronte su cui da anni si batte anche la Chiesa locale, attiva e forte nell’ex colonia ma cosciente delle sofferenze della Chiesa sorella nella Repubblica popolare cinese e che qui si ritrova in prima fila nel contrastare l’offensiva di Pechino sul piano educativo. In un contesto che, come sottolinea Anthony Lam, studioso della Chiesa cinese e attivo nella difesa dei diritti civili, «va peggiorando, perché le autorità attuano misure per cercare di limitare i diritti della popolazione, a partire dalla libertà d’informazione e d’istruzione. Le istituzioni e la polizia locali vanno adeguandosi a un governo locale la cui mentalità si fa sempre più repressiva sotto la pressione di Pechino». Scontrandosi però con una società civile forte e attiva, con un benessere acquisito ma anche con istituzioni e metodi che ancora oggi garantiscono alla Regione amministrativa speciale di Hong Kong il primo posto al mondo per libertà d’impresa e, pur tra uno dei maggiori divari in Asia tra chi ha troppo e chi quasi niente, un concreto benessere.
Per gli attivisti sociali la “campagna dell’educazione” è la maggiore dal movimento del 2003 che portò al ritiro di una discussa legge contro la sovversione e quest’anno si è affiancata sia ai quindici anni della nuova indipendenza sotto la Cina, sia a un ricordo dei fatti di Piazza Tiananmen culminati tra inzio giugno e inizio luglio con imponenti manifestazioni che hanno dimostrato come la memoria delle promesse, degli impegni e della repressione sia ancora forte e di stimolo a mantenere una vera autonomia. Come conferma Andrew Shum, un giovane attivista tra gli organizzatori delle proteste di luglio: «Hong Kong è sempre stata aperta all’immigrazione, alla ricerca di migliori condizioni di vita. Noi giovani la consideriamo la nostra casa e vogliamo il meglio per essa. Anche se non è una culla della democrazia, sappiamo che cosa è la libertà, conosciamo i diritti umani. E sappiamo che la Cina è il nostro paese ma non ancora una democrazia compiuta».
Recenti sondaggi hanno mostrato una sfiducia sempre maggiore degli abitanti di Hong Kong verso la Repubblica popolare cinese, da qui la crescita del movimento di protesta. La marcia del primo luglio di quasi 100 mila cittadini lo ha dimostrato, come pure lo stillicidio di manifestazioni, sit-in, petizioni, richieste degli ultimi mesi. Le nuove regole che si vorrebbero imporre sull’istruzione sono un elemento catalizzatore, in quanto non vengono solo a minacciare quanto acquisito, ma ancor più educazione e libertà dei futuri cittadini, incentivando quindi un movimento di opinione e di piazza che si inserisce in quello che da anni cerca di opporsi a drastici cambiamenti nella gestione degli istituti scolastici pubblici (circa 850), la cui operatività è tradizionalmente affidata a istituzioni (tra queste anche la Chiesa cattolica) che ne garantiscono – in cambio di un’ampia autonomia gestionale – continuità di indirizzo e valore in accordo con le direttive ufficiali.
L’erosione dei diritti
Dato lo stretto rapporto tra leadership cinese e potere economico-imprenditoriale, inevitabilmente i valori cristiani coincidono con quelli dell’opposizione politica e di buona parte della società civile che cerca di opporsi alla deregolamentazione del mercato del lavoro come all’erosione dei diritti umani e delle libertà civili.
Ancora nell’ottobre dello scorso anno, l’ottantenne cardinale Zen Ze-kiung, fino al 2009 arcivescovo locale, ha attuato uno sciopero della fame di tre giorni per rafforzare la sua opposizione alla pressione governativa (e cinese) sulla scuola.
Lo stesso papa Benedetto XVI, ricevendo nel 2008 i vescovi di Hong Kong e di Macau nella loro visita ad limina, aveva ricordato, a proposito delle scuole cattoliche, «il loro importante contributo alla formazione intellettuale, spirituale e morale delle nuove generazioni» ed espresso il suo sostegno a quanti sono impegnati nel compito educativo alle prese con “nuove difficoltà”. Fondata nel 1841, la Chiesa cattolica locale ha avuto fin dall’inizio l’istruzione tra le sue priorità. Oggi sono 276 gli istituti ad essa affidati, frequentati da oltre 200 mila studenti. In stragrande maggioranza non-cattolici.
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