Jeremy Lin, il nuovo fenomeno dell’Nba ha gli occhi a mandorla e un’incrollabile fede in Dio
“Linsanity” è l’ultima malattia che sta contagiando gli appassionati di basket d’oltreoceano. In particolare a New York, dove la passione per il nuovo beniamino Jeremy Lin sta risollevando il brand dei Knicks, pesantemente in rosso sia sul bilancio che in classifica. La storia del giovane playmaker dagli occhi a mandorla è la realizzazione del sogno americano. Ora, in Cina, se lo contendono tutti. Cai Qi, capo del partito comunista della provincia di Zheijiang, ne rivendica le origini dal paesino di Jiaxing, dove risiedeva la nonna materna di Jeremy. Ma in patria si tace su un piccolo particolare: Lin è cristiano praticante. Un ragazzo che solo ieri era la riserva della riserva della riserva e adesso dice: «È un miracolo di Dio». Ma andiamo con ordine.
Mike D’Antoni, l’allenatore dei New York Knicks, gestisce una squadra che fa pena. Non tanto per gli interpreti, ma perché manca un playmaker, quello che sposta la palla da una lunetta all’altra e illumina i compagni con passaggi smarcanti. Toney Douglas è mediocre, Mike Bibby non si regge sulle gambe, Imam Shumpert è una guardia riciclata a pivot e non funziona. Il coach italo-americano rispolvera Baron Davis sperando in un suo exploit da vecchio campione, ma lo blocca il colpo della strega. Non ne entra una giusta. Per disperazione lo scorso 4 febbraio contro i New Jersey Nets è costretto a far giocare un giovane chink – così vengono chiamati gli asiatici in America, con un tantino di spocchia – fresco di partitelle in terza divisione. Il “giovanotto” di un metro e 91 centimetri è Jeremy Lin. Nato a Palo Alto ventitré anni fa da madre cinese e padre taiwanese, entrambi alti 1 metro e 68 centimetri. L’altezza viene tutta dal bisnonno paterno. Ma non è solo quello il suo lascito. L’avo Chen Weiji fu il primo cristiano della stirpe dei Lin. Convertito da missionari protestanti americani nei primi del 900, educa i figli a una religione lontana ma affascinante. Tanto che negli anni ’40 la nonna di Jeremy, per fuggire dalla persecuzione comunista, sbarca a Taiwan, dove i genitori di Lin si incontrano. Da lì la coppia parte per gli Usa per scappare dai conflitti tra l’isola e la terraferma cinese.
Jeremy cresce in California. Il padre lo inizia alla pallacanestro portandolo sul parquet della Young Men’s Christian Association di Palo Alto. Lo sport gli piace, così decide di giocarsi una chance importante in qualche college che disponibile a dare sussidi agli atleti. Ma nessuno vuole un asiatico: la figura di Yao Ming – celebre cestista di 2 metri e 26 – pesa come un macigno. Se poteva venire qualcosa di buono dalla Cina, era già successo. Lin viene accettato ad Harvard che, pur essendo un’università di pregio della Ivy League, a livello sportivo vale pochissimo. Dopo la laurea in Economia finisce nei Golden State Warrios, per cui tifava da ragazzino, ma gioca pochi minuti, finendo spesso nelle squadre minori della società per farsi le ossa. Poi, complici gli infortuni della squadra di D’Antoni, sbarca senza contratto tra le fila dei Knicks.
E torniamo al 4 febbraio, quando un illuminato Mike D’Antoni lo fa entrare in campo. Lui lo ripaga con 25 punti, 5 rimbalzi e 7 assist, riportando i Knicks alla vittoria e salvando il posto al coach. Lo squattrinato panchinaro, che dormiva a casa del fratello – futuro dentista – su un divano sfondato, diventa una star. È l’inizio di una serie di sei vittorie dei Knicks. Il record personale di Lin è contro i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant che, prima della sfida, fa la voce grossa: «Chi cazzo è ‘sto ragazzo? Butta dentro triple su triple? Ha una media di 28.8 punti a partita come me? No!». E la Linderella (da “Cinderella”, Cenerentola del basketball) lo punisce segnando 38 punti. Ma è la partita contro i Toronto Raptors che consacra la leggenda. Guarda caso, un tiro da fuori area di Lin regala ai Knicks l’ennesima vittoria – 90 a 87 – e un record assoluto. Jeremy Lin è il giocatore che ha segnato di più nelle prime 5 partite da titolare. E adesso, lo aspetta lo All Star Game di Orlando. D’Antoni ringrazia con una frase a effetto: «È stata una fortuna iniziare la stagione così male. Grazie Lin».
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