Il tiranno democratico

Di Ryszard Legutko
06 Aprile 2018
Sicuri che ci sia differenza fra il vecchio regime comunista e il moderno sistema liberale? Un gran filosofo polacco alle prese con il “demone” totalitario
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Questo articolo è apparso nel numero di Tempi di febbraio

La tesi del mio libro The Demon in Democracy è semplice: a dispetto delle enormi differenze, c’è una considerevole somiglianza fra il comunismo e la liberal-democrazia. La tesi è semplice, ma l’insieme di argomentazioni che la sostiene è piuttosto complesso. Quella che segue è la più sintetica argomentazione possibile di quanto affermo.

Ciò che rende simili il comunismo e la liberal-democrazia è che in entrambi i casi il sistema politico è così dominante che permea di sé l’intero edificio sociale, tutte le istituzioni, le norme e la mentalità. Come il comunismo rappresentava il quadro di riferimento ultimo di tutto ciò che accadeva in una società comunista, così la liberal-democrazia rappresenta il quadro di riferimento ultimo per tutto ciò che accade in una società liberal-democratica.

In altre parole, era nella natura del vecchio regime che ogni cosa dovesse essere comunista ed essere chiamata comunista. Non c’era la famiglia, ma la famiglia comunista, non c’era l’educazione, ma un’educazione comunista, non c’era la società, ma una società comunista, non c’era la morale, ma una morale comunista, non l’arte, ma un’arte comunista. Più tardi, quando nel nostro paese si è affermato un nuovo sistema, ho scoperto con un certo disappunto che anche in una società liberal-democratica si esige che ogni cosa rifletta una logica liberal-democratica: la famiglia dovrebbe diventare liberale e democratizzata, e questo dovrebbe avvenire anche per le scuole, la morale, le norme sociali. Si dà per scontato che anche la religione e le Chiese dovrebbero diventare più liberali e più democratiche nelle loro pratiche e nella loro dottrina; anche Dio è arrivato ad assomigliare a un liberal-democratico, così come nel comunismo Dio, sebbene non esistesse, era comunque un buon comunista. Nel comunismo l’aggettivo “comunista” era una parola pigliatutto: tutto ciò che era comunista era superiore a qualunque cosa non-comunista. Mi sono accorto che anche nella democrazia moderna “democratico” è diventata una parola pigliatutto, così come “non democratico” è una dura espressione di condanna.

Tutto ciò mi ha portato a formulare la tesi che entrambi i sistemi abbiano un’inesorabile tendenza a politicizzare tutta la vita; cioè che entrambi i sistemi tendono a imporre le loro strutture, procedure, princìpi, presupposti su ogni aspetto della società, sulle vite, i pensieri e le azioni delle persone. E non solo questi due sistemi impongono le loro strutture, procedure, princìpi, presupposti, ma credono fermamente che questa imposizione sia benefica, necessaria, desiderabile da parte delle persone, e che sia anche in sintonia con la corrente generale della civiltà.

Quel criterio obbligatorio

La politicizzazione comunista aveva un ambito di applicazione globale ed era dolorosamente intrusiva. Nessuna meraviglia che ad alcuni risultasse insopportabile. Perciò coloro che volevano resistervi cercavano aree dell’esistenza non ancora toccate dalla politica nelle quali potessero trovare rifugio dall’aggressione politica: queste aree potevano essere la vita privata, l’arte, le attività intellettuali, la religione. Ma nella pratica, trovare rifugio si rivelò parecchio difficile: le autorità comuniste erano consapevoli delle strategie di fuga e fecero del loro meglio per annettersi quelle aree e incorporarle nel loro dominio politico.

La famiglia e la vita privata sembravano essere le ovvie fortezze entro le quali si sarebbe potuta trovare pace e sicurezza dall’ubiqua presenza dell’ideologia e della propaganda ufficiali. C’erano anche altre fortezze – la memoria storica o la memoria individuale conservata in narrazioni condivise fra amici. C’erano l’arte e la bellezza – le persone cercavano riparo dalla bruttezza e dall’insopportabile noia dell’ideologia nella poesia classica, nella musica, nei capolavori dei grandi maestri, e sfuggivano alla rimbombante volgarità della neolingua comunista memorizzando vecchie poesie o leggendo letteratura classica, o andando in chiesa per immergersi nella liturgia, nella parola del Vangelo, nel mistero e nella spiritualità. L’esistenza della Chiesa cattolica nel mio paese è stata un fatto di fondamentale importanza per la salvezza dell’anima della nazione.

Ma i comunisti, come ho detto, erano perfettamente consapevoli di queste strategie, e fecero tutto quello che potevano per conquistare quei territori. Ciò fu particolarmente vero nei primi tempi del loro regno, quando il volume della nuova ideologia era assordante e la sua intensità tale da istupidire. L’attacco alla vita privata e alla vita familiare fu in quel tempo particolarmente forte. I comunisti erano allora all’avanguardia mondiale dei processi di cambiamento: furono i primi a rendere facilmente accessibile il divorzio, i primi a introdurre l’aborto su richiesta, i primi a conferire potere ai giovani sugli anziani, agli studenti sugli insegnanti, ai figli sui genitori. Ma più tardi il partito comunista lasciò perdere, e la morsa della politica si allentò. Dopo il periodo della tirannia del cosiddetto realismo socialista, l’arte divenne più libera; gli studi umanistici, all’inizio interamente asserviti al sistema, più tardi guadagnarono un po’ di indipendenza; il linguaggio, che all’inizio era stato posto sotto stretta sorveglianza e trasformato in neolingua, più tardi si emancipò considerevolmente dalle catene dell’ideologia.

Il metodo per prendere il controllo su queste cose – la famiglia, la vita privata, l’arte, la morale, il linguaggio – fu di introdurre e poi rendere obbligatorio un criterio: il criterio della correttezza. Dal momento che tutto era politico e dal momento che la politica era regolata dall’ideologia, era ovvio che tutto doveva essere compatibile con i princìpi basilari di questa ideologia, e non erano permesse note dissonanti. Non esistevano più osservazioni o atti innocui, perché tutto era chiaramente coerente o chiaramente incoerente con l’ideologia. La coerenza con la dottrina era chiamata correttezza, e la correttezza sostituì la verità, la bellezza, l’eleganza e lo stile. Sempre e in ogni situazione – che si trattasse di un’esperienza privata, di un pensiero, di un discorso, di una poesia o di un’affermazione filosofica – questa coerenza doveva essere evidente, chiara, facile ad essere percepita da tutti. Questo significa che ciascuno in tutto ciò che faceva o diceva doveva fare uno sforzo per mostrare questa coerenza, per dimostrarla con una frase, un gesto, un simbolo, al fine di prevenire possibili dubbi e accuse. E precisamente perché le persone erano obbligate a dimostrare la loro correttezza, molti videro in essa un’opportunità per rintracciare e scovare coloro che erano troppo pigri, o troppo spericolati, o troppo ingenui per rendere manifesta la propria correttezza o, orribile a dirsi, la ignoravano deliberatamente.

Non c’è fortezza che regga

Ora permettetemi di dire alcune cose sulla liberal-democrazia. Se quello che ho detto a proposito dell’onnipresenza dei princìpi liberal-democratici nelle società occidentali di oggi è vero, sarebbe naturale chiedersi quanto siano robuste le eventuali fortezze nelle quali alcuni di noi, disgustati dalle nuove ondate di offensive politiche liberal-democratiche, potrebbero cercare di nascondersi. Quanto sono robuste, per esempio, la sfera privata e la vita familiare contro le crociate politiche liberal-democratiche? Le nostre vite private sono più sicure ora di quanto fossero venti o trenta anni fa? In che misura i nostri pensieri sono intrisi di idee liberali e democratiche quando pensiamo alla famiglia, o cerchiamo di organizzare la nostra vita familiare, o di dare consigli ai nostri amici su questioni familiari? Siamo più inclini o meno inclini di prima a parlare di famiglia usando parole dalla connotazione politica come “potere”, “conferimento di potere”, “uguaglianza”, “diritti”, “gender”? La legge è implicata più o meno di prima nel regolare le relazioni familiari?

Prendiamo il sesso, che è, si direbbe, la più privata cosa intima di tutte le cose private intime. Negli ultimi decenni il sesso è diventato una materia più o meno regolata e fatta propria dai governi, dal potere legislativo, dalle corti di giustizia e da ogni genere di agenzia? Prendiamo altre possibili fortezze o rifugi: l’arte, la religione, il linguaggio, la storia, la memoria. Oggi essi provvedono una maggiore o una minore protezione contro le politiche liberal-democratiche? Il linguaggio è libero da condizionamenti politici o è sempre più politicamente controllato? Si può pubblicare facilmente un libro o un articolo che sia in disaccordo col gergo politicamente accettabile? Le restrizioni sono più severe o meno severe di quelle del passato? Le nostre università sono monumenti di libertà e apertura accademiche, rette da uomini probi come il cardinale Newman, o si stanno allontanando da questi standard? Il linguaggio che viene insegnato nelle scuole è lo stesso linguaggio della letteratura inglese e americana o è un linguaggio che assomiglia sempre di più all’incomprensibile gergo delle attuali ideologie politiche?

Sfortunatamente, le risposte a tutte queste domande giustificano la conclusione che negli ultimi decenni all’interno delle società liberal-democratiche si sono avuti sviluppi comparabili a quelli delle società comuniste. Il concetto di correttezza ideologica è stato fatto risorgere e gli si è data un’importanza tremenda. Le corti di giustizia, le università, i poteri legislativi e altre istituzioni hanno unito le loro forze per stringere la vite ideologica, e tutto ciò è avvenuto nella presunzione di darci più libertà e più giustizia. Possiamo dire meno cose di prima, siamo sempre più omologati, le nostre menti sono state addestrate al conformismo, ma si deve credere che tutto questo serve ad avere un mondo migliore.

Questi sviluppi non dovrebbero sorprenderci, dal momento che riflettono la natura del sistema liberal-democratico. Certamente non è vero, come alcuni dicono e molti di noi accettano senza riflettere, che il sistema liberal-democratico è neutrale rispetto a ogni genere di idee che vengono sostenute e portate avanti al suo interno: sia che siano monarchiche, o aristocratiche, o anarchiche, o comuniste, o conservatrici, o nichiliste. In realtà sia la democrazia che il liberalismo tendono a politicizzare la società in una misura tale che il pluralismo cessa di essere possibile.

Tutti lo stesso punto di vista

La democrazia contiene un meccanismo intrinseco di politicizzazione perché coinvolge nel processo politico più persone di qualsiasi altro sistema. Non c’è nulla nella natura della democrazia che possa impedire al “demos” o alle élite dominanti di imporre il marchio della politica sulle faccende private per sottometterle ai culti politici del momento. Gli uomini democratici – come ha spiegato Tocqueville con superba precisione – tendono ad essere sempre più simili, e di conseguenza ad essere sempre più convinti che ogni persona sana di mente debba avere i loro stessi punti di vista. Pertanto sono sempre più indisponibili a riconoscere la legittimità di ciò che va al di là della loro immaginazione e a tollerarlo.

Per quanto riguarda il liberalismo, la cosa è ancora più ovvia. Il liberalismo ha sempre avuto due caratteristiche che lo rendono incompatibile con la neutralità, anche in questioni tradizionalmente considerate non politiche. In primo luogo, il suo concetto di natura umana è quello di una persona privata, in opposizione all’uomo politico, per usare un concetto aristotelico. In secondo luogo, il liberalismo è essenzialmente politico perché, nonostante le sue dichiarazioni in senso contrario, il suo scopo è di imporre il suo ordine alla totalità degli assetti umani; il liberalismo si colloca sempre al di sopra di altri tipi di assetto perché considera se stesso più ampio, più grande e onnicomprensivo, un meta-sistema, un sistema del secondo ordine, il più adatto a organizzare la vita degli altri. È intensamente politico anche perché è costruito e prende la sua forza da una dicotomia: autonomia contro autorità, libertà contro dispotismo, diritti individuali contro prerogative del governo.

Questa combinazione paradossale – da una parte un uomo liberale che è una persona privata che si occupa di obiettivi individuali (denaro, proprietà, carriera, piaceri privati), dall’altra la natura intrinsecamente politica del sistema –, non poteva che infrangere i bastioni che circondavano l’ambito del privato, e impregnarlo di contenuto politico. Pertanto la mia opinione è che il liberalismo, da John Locke in avanti, è stato il principale strumento che ha portato le faccende private sulla pubblica piazza e le ha rese altamente politiche. La rivoluzione sessuale, per fare un esempio ovvio, che ha attribuito un contenuto fortemente politico alla più privata di tutte le questioni, è figlia legittima del liberalismo (come anche del socialismo). Lo stesso dicasi dell’arte politicizzata, che i comunisti credevano dovesse svolgere un ruolo nella lotta di classe e che i liberali usano come un’arma nelle loro guerre legate al gender, e di altre simili imprese di emancipazione.

Una volta che abbiamo stabilito che ciò che rende simili il comunismo e la liberal-democrazia è un insolitamente alto grado di politicizzazione, ci troviamo di fronte a due possibilità. La prima possibilità è ammettere che i comunisti avevano ragione nella loro convinzione che un sistema politico dovrebbe dominare le nostre vite e permeare l’intero edificio sociale, ma hanno fatto un errore – certamente costoso – nell’indicare il comunismo come il sistema che avrebbe dovuto svolgere tale ruolo. In altre parole, non ci sarebbe nulla di sbagliato nell’onnipresenza della politica, purché il sistema politico sia quello buono. Dal momento che il comunismo non era buono, non lo era nemmeno la pervasività della politica comunista. La seconda possibilità è che i comunisti avessero torto sotto entrambi gli aspetti. Non solo il sistema era cattivo, ma la politicizzazione come tale è sempre una cosa sbagliata, a prescindere dal sistema. Se si sceglie la prima possibilità, la tesi del mio libro crolla. Si potrebbe dire che non c’è nulla di sbagliato nel fatto che ci siano somiglianze fra comunismo e liberal-democrazia, perché sono semplicemente formali e non sostanziali. Le forme possono essere simili – l’onnipresenza dell’ideologia e della politica – ma la sostanza di ciascuno dei due sistemi è differente: la politica democratica è buona mentre la politica comunista è cattiva.

Quattro evidenze tutt’altro che ovvie

Se invece scegliamo la seconda possibilità e diciamo che l’invasione di ogni angolo e fessura da parte della politica è una cosa sbagliata, a prescindere dalla natura del sistema politico, allora ci troviamo nella posizione di sollevare una seria obiezione contro la liberal-democrazia accusandola di ambizioni totalitarie. Questo a sua volta apre un serio problema teoretico e istituzionale, e cioè come tenere a freno queste ambizioni e quali strumenti offra il sistema liberal-democratico – se ne possiede – per questo fine. Si tratta davvero di un problema fondamentale. La liberal-democrazia è un sistema che sembra soddisfare tutti i criteri di un ordine buono (criteri che il comunismo, non dovrebbe esserci bisogno di dirlo, non soddisfaceva): pluralità di partiti politici, libertà costituzionale della stampa, libertà costituzionale di formare associazioni, separazione dei poteri, ruolo del parlamento, elezioni. Eppure tutto ciò sembra produrre risultati avversi. Il sistema si è dimostrato incapace di generare qualsiasi forma di autolimitazione. Tuttavia potrebbe anche darsi il caso che il problema non sia strutturale e che non abbia una soluzione strutturale, e si collochi più in profondità, in quelle componenti dell’umana esperienza che sono molto più resistenti all’azione umana.

Sembra che ciò che unisce comunismo e liberal-democrazia intellettualmente a un livello più profondo e più filosofico siano certi assunti generali, raramente messi in questione, che molti di noi accettano come autoevidenti, ma che sono ben lontani dall’essere ovvi. In realtà sono una parte importante del problema.

1. Il comunismo e la liberal-democrazia sono stati i due più grandi sogni politici della storia moderna. Nessun altro progetto politico è stato tanto universalmente esaltato come la realizzazione definitiva delle aspirazioni della gente. La razza umana – si è creduto e ancora si crede – non potrebbe andare oltre nell’evoluzione politica di quanto è andata col comunismo secondo alcuni, con la liberal-democrazia secondo altri. Ciò che ha unito e unisce il modo di pensare dei sostenitori di entrambi i sistemi è l’assenza logica e storica di qualsiasi forma alternativa di assetto politico oggi o nel futuro. E data la scomparsa di tutte le alternative, non c’è nessuna buona ragione per cui questi sistemi non possano essere estesi ovunque e per cui questa estensione sempre più profonda e più ampia non debba essere presentata come benefica e ragionevole. In altre parole, i comunisti impegnati e i liberal-democratici impegnati patiscono lo stesso errore, l’errore dei grandi sognatori, che potremmo definire una collocazione sbagliata della perfezione: la vera perfezione sta altrove, non nella politica, e certamente non negli assetti politici.

2. Dal momento che entrambi i sistemi si considerano definitivi, non c’è possibilità di compromesso coi loro critici. Chi li critica non è semplicemente un critico, ma un nemico. Nessuna seria discussione è possibile con un non-liberale o con un non-democratico, così come un comunista non discuteva mai seriamente con un non-comunista. Ma la conseguenza di ciò è l’emergere di qualcosa di simile a un fronte unificato. Al tempo del comunismo abbiamo avuto fronti unificati attorno al partito comunista. Abbiamo qualcosa di simile oggi. Questo è particolarmente vero per l’Unione Europea, guidata dalla stessa maggioranza permanente che è sia politica che ideologica. Ciò a sua volta inficia o rende irrilevante la classica divisione fra la sinistra e la destra, che è stata sostituita dal mainstream politico, l’equivalente moderno del ruolo guida del Partito. Questo mainstream politico ha monopolizzato la scena politica e ha creato una ortodossia di governo, rendendo così il meccanismo dell’alternanza democratica obsoleto e ridondante, talvolta persino dannoso. Chiunque non appartiene al mainstream o è pazzo, o è un fascista. Per tale ragione, all’Unione Europea non piacciono i dissenzienti. Ma non solo all’Unione Europea. Anche nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale abbiamo un mainstream politico di fatto, dominato dalla sinistra politica dal momento che la destra politica ha perso la guerra delle idee e ha capitolato.

3. Entrambi i sistemi si considerano il più grande esperimento di modernizzazione, che un gruppo identifica col comunismo, e l’altro con la liberal-democrazia. Entrambi sono contro il vecchio e a favore del nuovo. Entrambi cercano la loro legittimità nel superamento del passato. Il passato è qualcosa che si deve guardare con sospetto misto a disprezzo. Una volta che la dicotomia vecchio/nuovo è inserita abbastanza in profondità nelle menti delle persone, esse sono pronte ad applicarla non solo alla tecnologia e alle macchine, ma anche al loro ambiente sociale e culturale, alle strutture sociali, alla morale, all’educazione, al pensiero, all’arte. Tutto deve essere modernizzato, e la modernizzazione permette una profonda intrusione negli assetti sociali esistenti, nel modo di pensare delle persone. Nasce così la tentazione di creare non solo un nuovo tipo di società, ma anche un nuovo tipo di esseri umani e un nuovo tipo di relazioni umane. I comunisti e i liberal-democratici, come tutti i modernizzatori entusiasti, sono tracotanti, e non provano altro che disprezzo per le barriere, i limiti, le restrizioni naturali, i tabù, le norme storicamente fondate. I comunisti hanno cercato di invertire il corso dei fiumi della Siberia, i liberal-democratici di ridefinire il matrimonio e la famiglia.

4. I due sistemi hanno in comune la stessa antropologia riduttiva, che riduce gli esseri umani a caratteristiche semplici: creature piuttosto piatte prive di dimensione metafisica. In entrambi i sistemi l’antropologia è egualitaria. Si crede nell’eguaglianza come condizione naturale; non solo l’eguaglianza delle persone, ma anche eguaglianza della coscienza umana, o dell’anima umana, nella quale non c’è più distinzione fra ciò che è più alto e ciò che è più basso. Questa è una filosofia dell’uomo comune, ordinario, in contrapposizione a una filosofia dell’uomo nobile, che si può trovare in Aristotele o in Ortega y Gasset. La ordinarietà significa che nessuna aspirazione più alta è iscritta nella natura umana; se aspirazioni del genere caratterizzano alcune persone, si tratta di un fatto contingente, non di un necessario criterio di umanità. Il problema dell’ordinarietà così intesa è che conduce alla conformità e all’uniformità. Tocqueville è stato uno dei primi nei tempi moderni a notarlo. L’ordinarietà a sua volta genera di solito una ristrettezza di prospettiva. E la ristrettezza di prospettiva implica l’autocompiacimento che preclude la propensione a prendere in considerazione qualunque altro fattore esterno e consultare qualunque altro tribunale se non il proprio. Comunismo e liberal-democrazia sono stati e sono, in altre parole, i sistemi dell’uomo comune, ordinario. Ciò non contraddice la propensione alla tracotanza dei due sistemi. L’uomo ordinario può essere tracotante come un tiranno specialmente quando crede di vivere nel migliore dei sistemi politici e che questo sistema e nient’altro è la più alta autorità in riferimento a ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Se l’analisi sopra svolta è corretta, non esiste alcuna strada facile per invertire i processi sconcertanti che si sono sviluppati nelle società liberal-democratiche. Questo comunque non significa che siamo condannati a vivere in un mondo sempre più omogeneo, regolato e ideologicamente soffocante. Chiunque crede che la storia sia un processo senza un fine prestabilito, dovrebbe anche credere che un cambiamento è possibile. Ma tale cambiamento dovrebbe cominciare con un profondo riorientamento filosofico che ci permetta di guardare alle società liberal-democratiche da una prospettiva esterna. Questo implica a sua volta la necessità di liberare la nostra mente dalla spessa rete delle superstizioni odierne.

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Ryszard Legutko, autore di questo articolo, è docente di filosofia all’Università Jagellonica di Cracovia ed eurodeputato del partito Diritto e Giustizia, che dal 2015 governa la Polonia. Specialista di filosofia antica e di teoria politica, è entrato nel parlamento polacco nel 2005, dove è stato vicepresidente del Senato. Ha ricoperto per qualche mese la carica di ministro dell’Educazione nel 2007 e poi è stato segretario di Stato nella cancelleria del presidente Lech Kaczynski dal 2007 al 2009, anno in cui è stato eletto al Parlamento europeo, dove attualmente è copresidente del gruppo Conservatori e riformisti europei. Autore di libri di filosofia antica su Socrate e Platone, nel 2016 ha pubblicato direttamente in inglese The Demon in Democracy, dove sviluppa la sua provocatoria tesi sulla convergenza fra il comunismo del passato e la liberal-democrazia di oggi. È uno degli intellettuali europei che hanno firmato la dichiarazione di Parigi Un’Europa in cui possiamo credere nell’ottobre dello scorso anno.

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