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Il Pride è bollito. Immaginate un movimento le cui bandiere sventolano come pennacchi sull'elmetto dei vipparoli in ogni salotto, stadio, piazza, tv, consiglio comunale, la pubblicità non passa altro perché “altro” è diventato profanazione dei simboli e delle sue istanze. Un movimento così adulato dalle élite che qualunque città, istituzione o squadretta sportiva su rifiuti di inchinarsi ad essa, sventolare la sua bandiera e gridare i suoi slogan, è deriva ungherese, «l'Ungheria di Orban», «omofobia di Stato», «medioevo», «fascismo» (Alessandro Zan), è «Kirill, Orban, Polonia o Uganda» (Ivan Scalfarotto), «una grave regressione civile e sociale. Siamo davanti a segnali di oscurantismo che imitano il modello ungherese e polacco» (Associazione nazionale Partigiani). Un movimento così radicato che ogni ala dell'establishment ha il dovere di mostrare le sue insegne o dovrà rispondere delle sue scelte.
Il Pride che diventa Queeresistenza
Bene, questo movimento esiste e si chiama...
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