«È la mia sincera speranza che possa essere fatto tutto il necessario per continuare ad accompagnare con compassione il piccolo Alfie Evans e che la profonda sofferenza dei suoi genitori possa essere ascoltata. Prego per Alfie, per la sua famiglia e per tutte le persone coinvolte». Così Papa Francesco è intervenuto ieri sera con un tweet in italiano e in inglese sulla vicenda del bimbo di 22 mesi affetto da una malattia degenerativa misteriosa e ricoverato all’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool.
Sono ore decisive per Alfie, secondo la stampa britannica dopo la sentenza della Corte dei diritti dell’Uomo che ha giudicato inammissibile il ricorso dei genitori del bambino: la sospensione dei sostegni vitali – respirazione, alimentazione, idratazione – decisa dai medici e confermata dall’Alta Corte inglese potrebbe avvenire già domani.
NON PROCURARE LA MORTE. E come per Charlie Gard, quando chiese ai medici di «accompagnare e curare» il bimbo «sino alla fine» sottolineando che «difendere la vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia, è un impegno d’amore che Dio affida ad ogni uomo», il Papa ha lanciato un messaggio forte e chiaro. Accompagnare e curare, non procurare la morte, non accorciare la vita. Come già Assuntina Morresi aveva sottolineato su tempi.it, il giudice Hayden, che ha portato il contenzioso legale per la morte di Alfie nella stessa direzione di quello di Charlie, Isaiah, Inès, e di chissà quanti altri bambini con “scarsa qualità di vita” (e per altro lo ha fatto strumentalizzando nella sentenza un passo sul fine-vita tratto dal messaggio inviato proprio da Francesco a monsignor Vincenzo Paglia in occasione di un convegno internazionale di medici), «non ha ricordato che per Charlie Gard il Papa ha messo a disposizione il suo ospedale, il Bambin Gesù, che si è rifiutato, con dichiarazioni ufficiali della sua presidente, di trasferire Charlie in Italia per eseguire la sentenza di sospensione della ventilazione artificiale: al Bambin Gesù, hanno dichiarato ufficialmente, in una conferenza stampa dedicata, che la respirazione assistita si interrompe solo a chi viene accertata la cosiddetta “morte cerebrale”, che per Charlie non c’era, così come non c’era per Isaiah e per Inés, e non c’è per Alfie».
«IL MEDICO NON È PADRONE». Accompagnare e curare: proprio come ribadito il 15 marzo scorso da Sergio Picardo, responsabile di Anestesia, rianimazione e Comparto operatorio dell’ospedale Bambino Gesù di Roma in una chiara intervista ad Avvenire: «Se non esistono cure, o se sono inutili, compito del medico è fare in modo che la malattia venga vissuta nella maniera più dignitosa possibile, senza affrettare il decorso. Ma il supporto delle cure vitali resta». Il dottore dell’ospedale del Papa, ospedale chiamato in causa anche nel processo di Alfie, sottolinea: «Noi non possiamo procurare la morte, quindi nel momento in cui c’è un supporto vitale non lo interrompiamo, se serve appunto a mantenere in vita il paziente, perché altrimenti in quel modo si procura la morte. Il medico non è padrone della vita e della morte. Non è il medico che sceglie il momento in cui l’essere umano muore. Se il paziente è terminale, si accompagna lui e la famiglia sostanzialmente per tutto il decorso della malattia ma non si applica alcuna manovra per abbreviarne i tempi».
Cure palliative, ventilazione, ecco tutto il necessario per continuare ad accompagnare con compassione sino alla fine il piccolo Alfie Evans, così come dovevano essere accompagnati Charlie, Isaiah e Inés, morti soffocati: è quello che chiedono i genitori di Alfie, che chiedono i medici dell’ospedale del Papa, che chiede il Papa.
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