

Padri e figli davanti ai cinema. Ciò che salta all’occhio mentre si aspetta di entrare in sala per A Complete Unknown, biopic che si concentra su un frammento di vita di Bob Dylan e che però in qualche modo la racchiude tutta, è il tentativo bello e disperato di un’“iniziazione” al cantautore americano. Ecco allora materializzarsi adolescenti “nel chill” accompagnati da genitori eccitati, che affidano alla proiezione imminente molto di ciò che avrebbero da sempre voluto raccontare sui loro sogni, ideali, desideri, speranze, ma che per pudore non hanno mai osato fare: troppo occupati loro, troppo distratti gli altri.
Il film si apre con il diciannovenne «Bobby» che dai laghi del Minnesota arriva a New York. «Volevo catturare una scintilla». È la frase – opportunamente incastonata dal trailer del film – con cui Dylan risponde a un paterno Pete Seeger incuriosito da quel viaggio lungo e solitario. Ma per toccare con mano cosa realmente ardeva nel petto del giovane artista in quel momento cruciale e iniziatico, bisogna andare a quanto il futuro Nobel per la letteratura affiderà alla sua autobiografia, Chronicles Volume 1. «Non cercavo né denaro né amore», scrive con sfrontato furore Dylan, «ero in uno stato di esaltata consapevolezza, ben deciso a seguire la mia strada, privo di senso pratico e visionario dalla testa ai piedi. La mia mente era tesa come una trappola e non avevo bisogno dell’approvazione di nessuno. Non conoscevo neanche un’anima in quella buia e gelida metropoli, ma le cose sarebbero cambiate presto, molto presto». La “scintilla” è già diventata un incendio.
Con il biopic firmato dal regista James Mangold – un lavoro durato cinque lunghi anni, fermato prima dalla pandemia e poi dallo sciopero degli attori – diventa possibile condividere con la “Generazione Z” emozioni, storie e vissuti che la multiforme figura di un Dylan cantore e profeta riassume superbamente. Possibile e doveroso, visto il prezioso assist offerto dalla presenza di Timothée Chalamet, novello DiCaprio e idolo indiscusso dei teenager. È lui, che dopo Dune, Wonka, Chiamami col tuo nome, ha avuto l’onere e l’onore di interpretare sua maestà Bob Dylan in un pieno esplosivo di hype (oltre 74 milioni di dollari al botteghino e 8 candidature agli Oscar).
L’«esaltata consapevolezza» di cui scriveva il Dylan appena approdato tra i locali fumosi del Greenwich Village è la stessa che ha portato Chalamet alla sua impegnativa (ma riuscitissima) prova attoriale. Costruita non solo imparando a suonare da zero chitarra & armonica, ma soprattutto con l’azzardo di cantare con la sua voce e in presa diretta decine di confidenziali ballate dylaniane. «Chalamet indovina in modo incredibile la voce e il modo di cantare di Dylan», così il solitamente impietoso critico del New Yorker Richard Brody.
Lo stesso Dylan, su X, giocando sulla sua sfuggente identità, ha confermato elegantemente che «Timmy è un attore brillante, quindi sono sicuro che sarà completamente credibile nei panni di me. O di un me più giovane. O di un altro me». Aggiungendo un invito alla lettura: «È una fantastica rivisitazione degli eventi dei primi anni Sessanta che hanno portato al fiasco di Newport. Dopo aver visto il film, leggete il libro». Il rimando, fatto con quello stile ordinario e feriale che da qualche tempo caratterizza i suoi tweet, è a Dylan Goes Electric, il libro di Elijah Wald a cui il film si ispira, appena tradotto dall’editrice milanese Vallardi col titolo Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica.
There’s a movie about me opening soon called A Complete Unknown (what a title!). Timothee Chalamet is starring in the lead role. Timmy’s a brilliant actor so I’m sure he’s going to be completely believable as me. Or a younger me. Or some other me. The film’s taken from Elijah…
— Bob Dylan (@bobdylan) December 4, 2024
Eppure, con queste e altre premesse che qui non si faranno (la bellissima performance di Monica Barbaro nei panni di Joan Baez e quella di Edward Norton nei panni di Pete Seeger), alla domanda se un giovane che vede questo film possa rimanere affascinato da Dylan, Marinella Venegoni, storica critica musicale del quotidiano La Stampa, risponde con un secco no. «Penso che possa rimanere influenzato dalla storia, non tanto dal personaggio», afferma Venegoni intervistata da Mow. E aggiunge: «Non credo che quella musica sia appassionante per i ragazzi di questa generazione, perché è datata, classica, fa parte di una storia che non mi pare ci sia molta voglia di conoscere. Sono cambiate veramente molte cose».
In realtà non sono pochi i commentatori per i quali la voce nasale di Dylan (che da neomamma la stessa Joan Baez prendeva amabilmente in giro) è «uno scoglio insormontabile per i giovani di oggi», e la sua visione ideale «troppo ancorata agli anni Sessanta». Probabilmente un giudizio miope, a rischio di far fuori d’emblée due tentativi da accompagnare con un anticipo di gratitudine. Il primo è quello con cui James Mangold, attraverso gli struggenti componimenti di Dylan, cerca di ricostruire una vera e propria “epica musicale”: nel film è spesso la canzone stessa – abbozzata sul letto come nella scena in cui con disarmante naturalezza nasce Blowin’ in the Wind, oppure suonata live nei pub o nei festival – a sostituirsi ai dialoghi, e quindi a “parlare”.
Il secondo errore che chi tratta con sufficienza Dylan e A Complete Unknown («compitino» è una parola tanto abusata quanto fuori luogo per un film bello e importante, scelto da Tempi per il prossimo “Appuntamento al buio” il 13 febbraio al cinema Le Giraffe di Paderno Dugnano) è quello di sprecare un’occasione: ricordare a quegli adolescenti intrappolati nella bolla di un eterno presente che o si cammina sulle spalle dei giganti o si affonda. E ancora, che la musica di Dylan è tra le cose più autenticamente rivoluzionarie del Novecento, e che l’artista americano, mettendo al centro di tutto la parola, ha influenzato chiunque sia venuto dopo di lui. Dai Beatles («Dylan ci ha indicato la strada», così John Lennon) a Taylor Swift, da quel Post Malone, rapper classe ’95 che gira con un grosso tatuaggio di Dylan sul braccio, fino a Bruce “The Boss” Springsteen, che al Premio Kennedy del ’97 lo omaggiò da par suo (mentre il suo mentore, dal loggione, ricambiava trattenendo a stento la commozione).
D’altronde il bardo di Duluth ha cantato che «i tempi stanno cambiando» a una generazione che non lo conosceva, e che, come disse un altro grande artista che risponde al nome di Elvis Costello, «lo ha ascoltato con quel minimo di difficoltà e con quel massimo di godimento con cui, totalmente appagati, si legge Shakespeare».
Cogliendo l’attimo (e la chance), chi nelle scorse settimane ha spinto molti a vedere A Complete Unknown è Robert Barron, vescovo della diocesi di Winona-Rochester, Minnesota. A proposito del biopic, in una sua recente omelia il vescovo ha detto che «per chi è sempre connesso e immerso nei social, quindi ansioso e perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, la curiosità, il coraggio e la passione che caratterizzano il giovane Dylan possono essere un toccasana».
Barron parla per evidente esperienza personale. Già nel giorno dell’ottantesimo compleanno del cantautore, il 24 maggio 2021, con la chitarra tra le mani e al collo l’armonica a bocca il vescovo pronunciò queste appassionate parole: «Ho scoperto Bob Dylan nello stesso anno in cui ho scoperto Tommaso d’Aquino. Avevo 14 anni e ascoltavo il concerto per il Bangladesh, e George Harrison, dei Beatles, ha presentato Bob Dylan, di cui non avevo mai sentito parlare. Ha iniziato a cantare una delle grandi canzoni dei suoi primi tempi, A Hard Rain’s Gonna Fall, e non avevo mai sentito musica popolare con quel livello di raffinatezza e poesia nel testo. Da quel momento, Bob Dylan mi ha conquistato. L’ho amato nel suo periodo folk, nel periodo blues, in quello rock and roll e in quello Gospel [della “trilogia cristiana” di Bob Dylan Tempi ha scritto qui, ndr]. È come un’enciclopedia della musica americana». E subito dopo questa “professione di fede” monsignor Barron attaccò Every Grain of Sand, «la migliore canzone cristiana di Bob».
In tempi pigri e addomesticati, è proprio la fiduciosa ma caparbia tensione a diventare se stessi la lezione ribelle di A Complete Unknown. E allora lo slancio di un Dylan diciannovenne che si fionda nell’ospedale dov’è ricoverato Woody Guthrie (Scoot McNairy) e rimane lì a guardare il suo mito ormai male in arnese dedicandogli dal capezzale una riverente serenata, può già diventare un piccolo shock.
Stessa cosa per il “gran rifiuto” al celeberrimo concerto di Newport, dove nel Sancta Sanctorum di un Festival consacrato al folk, il cantautore getterà la maschera presentandosi con una sacrilega Fender Stratocaster dal suono distorto. «Tutto ciò», scrive Riccardo Bertoncelli nel suo La nascita del nuovo rock, «mentre la Butterfield Blues Band gli reggeva lo strascico pestando duro […], il pubblico folkie in divisa d’ordinanza sgranava gli occhi e si turava le orecchie, e qualche cardellino sugli alberi perdeva le penne».
Senza dover arrivare all’“esasperazione da autotune”, ogni tentativo della critica di sabotare il film, oppure di ritenere giusto o giustificato o anche solo fisiologico che gli adolescenti navighino su altri lidi musicali poiché Dylan sarebbe «datato», prima di apparire inopportuno (vista la temperie culturale) è qualcosa che si scontra con la realtà. Con i numeri. Francesco Prisco, che sul Sole 24 Ore si occupa di “economia della cultura”, spiega dati alla mano che il biopic con Thimothée Chalamet «ha fatto crescere del 110 per cento la scoperta del catalogo di “Sua Bobbità” ai Gen Zeta». Il giornalista scrive che se si fa riferimento ai flussi giornalieri, confrontando i dati del mese precedente rispetto a quando il film è entrato nelle sale, gli stream dei brani di Dylan sono cresciuti esponenzialmente. Nella puntuale disamina di Prisco c’è pane per i denti dei sociologi: «I Was Young When I Left Home è cresciuta del 505 per cento nella media di ascolti, Highway 61 Revisited del 440 per cento e It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry del 405 per cento. Seguono Song to Woody (+270 per cento sulla media), Maggie’s Farm (+215 per cento), It Ain’t Me Babe (+215 per cento), Masters of War (+210 per cento), When the Ship Comes In (+205 per cento), It’s All Over Now, Baby Blue (+175 per cento), il classicone Blowin’ in the Wind (+150 per cento), l’inno anti nucleare A Hard Rain’s A-Gonna Fall ( +145 per cento), la canzone della svolta elettrica Like a Rolling Stone (+130 per cento), Mr. Tambourine Man (+120 per cento), e il rap ante litteram di Subterranean Homesick Blues (+100 per cento)».
A Complete Unknown mette sotto scacco chi vorrebbe inchiodare Bob Dylan al passato e promette di costruire un ponte emotivo e culturale tra padri e figli. A un film di 141 minuti non si può chiedere molto di più.
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