Genoa-Siena. «I tifosi sono clienti. Vogliono protestare? Non comprino l’abbonamento»

Di Carlo Candiani
23 Aprile 2012
Intervista a Marco Liguori, direttore del sito specializzato Pianeta Genoa: «Non facciamo tragedie per una sconfitta. E se i tifosi vogliono farle, non vadano allo stadio».

[internal_video style=”height: 234px; width: 351px; float: left; margin-right: 10px; margin-top: 5px;” vid=26216]Campionato di calcio, Serie A. È appena iniziato il secondo tempo tra Genoa e Siena e i padroni di casa vengono infilati per la quarta volta. La rabbia di un centinaio di tifosi genoani esplode, gli ultrà bloccano la partita e costringono i rossoblu a togliersi le maglie perché indegni di indossarle. Dopo 45 minuti la partita riprende, ma la frittata è fatta: alla società del presidente genoano Preziosi arriveranno sanzioni e squalifiche del campo, mentre la squadra rischia di finire in B a fine stagione. Tra lo sdegno di chi non accetta che i giocatori si pieghino al volere dei facinorosi e la rabbia di chi non ammette che un gruppo di ultrà possa bloccare il calcio a piacimento, tutti invocano misure per impedire che qualcosa di simile riaccada. «E invece rimarrà tutto come prima» dichiara a tempi.it Marco Liguori, giornalista sportivo e direttore del sito Pianeta Genoa. «Forse qualcuno è stato distratto, ma nel 2004, quando ci fu il famoso derby Roma- Lazio, interrotto dalla tifoseria per presunti incidenti fuori dallo stadio, creando seri problemi di ordine pubblico, la giustizia sportiva che cosa fece? Niente, a quanto mi risulta. A Genova, nella partita contro il Siena, c’è stata più un’umiliazione dei giocatori, costretti a togliersi la maglia, che veri e propri atti di violenza fisica».

Le istituzioni calcistiche hanno incolpato i giocatori per avere assecondato i voleri dei tifosi.
In un momento così imprevedibile, nella confusione generale, hanno ceduto, frastornati da quella richiesta così esigente. Anzi, con il loro gesto hanno evitato che la situazione degenerasse. Poi, Sculli, con il capitano Rossi, si è fatto forte dell’ascendente che ha sui tifosi ed è riuscito a farli rientrare nei ranghi e a far riprendere la partita.

La colpa è degli stadi, della polizia, delle misure di sicurezza o che altro?
Non buttiamo addosso la croce a nessuno. Non penso neanche che sia problema della logistica degli stadi: è un problema di prevenzione a monte. Se ci sono persone che hanno compiuto reati vanno giudicati attraverso la giustizia penale e non con il “daspo”, che è una misura amministrativa. Se non c’è un giudice che sancisce certezza della pena, ogni volta saremo qui a raccontare degli incidenti.

Ma è possibile che una minoranza metta in scacco uno stadio intero?
È soprattutto un problema di educazione sportiva. Ogni volta le sconfitte sono vissute come una tragedia greca. C’è la giusta amarezza, ma troppe volte si asseconda il più tribale sentimento del tifoso, dimenticando che oggi il tifoso è un “cliente” e i modi per protestare sono, per esempio, non rinnovare l’abbonamento e non vedere la partita alla tivù: sarebbe tutto più semplice, senza ulteriori manifestazioni.

Ci vorrebbe un attaccamento alla maglia meno morboso?
Il sentimento dell’appartenenza è un fatto atavico. Ma da un atteggiamento campanilistico alla violenza ce ne corre! Quando parlo di mancanza di educazione sportiva ho negli quello che accade sui campi delle serie minori, una domenica sì e l’altra pure. Altro che Serie A! Mi aspetto delle iniziative che premino le tifoserie virtuose, piuttosto che puntare tutto sulla repressione.

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