In Egitto, 16 mesi dopo la caduta di Mubarak, è tutto da rifare. Ieri, a due giorni dal ballottaggio presidenziale tra l’ultimo primo ministro dell’era Mubarak Ahmed Shafiq e il candidato dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi, la Corte costituzionale suprema (Css) ha stabilito che il Parlamento, e quindi anche l’Assemblea costituente appena (ri)nominata dai parlamentari, è stato scelto con una legge elettorale incostituzionale. Perciò, le elezioni vanno rifatte e il potere legislativo ed esecutivo, in attesa di un governo civile, tornano di nuovo in mano al Consiglio supremo delle forze armate (Scaf), che aveva promesso di lasciare il potere dopo le elezioni presidenziali che si terranno sabato 16 e domenica 17 giugno. Non solo: la Css ha anche deciso che è incostituzionale la legge che impediva di candidarsi ai personaggi di primo piano che hanno partecipato al governo durante l’era Mubarak negli ultimi 10 anni. La candidatura di Shafiq è dunque valida.
Le reazioni degli egiziani sono state tante e diverse, segno che la rivoluzione non ha ancora portato l’unità al Cairo. C’è chi tira un sospiro di sollievo perché un Parlamento dominato al 70 per cento da forze islamiche è stato distrutto da una sentenza, c’è chi grida al colpo di Stato dei militari, chi lamenta la morte della rivoluzione che a Febbraio 2011 ha cacciato il dittatore Mubarak e chi vede la sentenza della Corte costituzionale come una possibilità per i ragazzi “Primavera araba” di organizzarsi e presentarsi alle nuove elezioni con un partito e delle proposte concrete per il paese. La situazione è grave, anche perché l’incertezza della guida politica del paese non fa che aggiungersi all’instabilità economica del paese, che versa in una pesantissima crisi.
«La sentenza è buona, in troppi erano insoddisfatti del modo in cui Fratelli Musulmani e salafiti hanno diretto le elezioni. Anche l’Assemblea costituente era assolutamente sbilanciata in senso islamista» dichiara a tempi.it p. Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana. «Questa è anche un’occasione per chi ha fatto la Primavera araba, potranno finalmente organizzarsi in un partito e gareggiare alle nuove elezioni». Sulle presidenziali invece afferma: «Shafiq è liberale, Morsi è islamico. La differenza, in soldoni, è tutta qui. E vincerà Shafiq, perché la gente ha bisogno innanzitutto di sicurezza e stabilità».
In tanti però sono preoccupati dalla sentenza della Corte costituzionale, come dichiara a tempi.it Kristen Chick, inviata al Cairo del Christian Science Monitor: «Molti pensano che non sia altro che un colpo di Stato giudiziario da parte dei militari». «La gente è spaesata – continua – ma è ancora presto per giudicare questa mossa che potrebbe anche essere controproducente per i militari. Tanti per timore di un ritorno del regime di Mubarak potrebbero andare a votare Morsi turandosi il naso». Che cosa rimane della Primavera araba? «Sinceramente? In questa situazione, penso poco o niente».