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Referendum sull’eutanasia e indisponibilità del diritto alla vita

La norma oggetto del quesito esprime un principio cardine dell’ordinamento giuridico e dei «diritti inviolabili dell'uomo». A prescindere dal giudizio di ammissibilità o meno della Corte, lo strumento referendario resta inadeguato e da evitare

Pietro Dubolino
01/10/2021 - 5:50
Salute e bioetica
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La raccolta firme per il referendum sull'eutanasia legale organizzata dall'Associazione Luca Coscioni a Roma
La raccolta firme per il referendum sull’eutanasia legale organizzata dall’Associazione Luca Coscioni a Roma (foto Ansa)

Tratto dal Centro Studi Livatino – Prosegue il dibattito sul quesito referendario riguardante l’art. 579 cod. pen. Agli interventi già pubblicati su questo sito, si aggiunge oggi un ulteriore prezioso contributo del presidente di sezione emerito della Cassazione Pietro Dubolino. Esso risponde in modo argomentato alla tesi favorevole alla ammissibilità del referendum, sostenuta dal prof. Tullio Padovani su Guida al diritto, concentrandosi soprattutto sulla categoria della disponibilità della vita.

1. Sul referendum abrogativo del reato di omicidio del consenziente, previsto dall’art. 579 del codice penale, si registra l’intervento, sull’ultimo numero di Guida al diritto, del prof. Tullio Padovani, lo stesso autorevole cattedratico che, come segnalato nel precedente articolo comparso su questo sito il 9 settembre, plaudiva all’iniziativa in questione affermando che con essa, in caso di approvazione della proposta, il diritto alla vita sarebbe «finalmente» diventato «un diritto disponibile».

2. A fronte di ciò si era osservato, nel suddetto articolo, che, a parte ogni considerazione di natura etica, l’eventuale successo dell’iniziativa referendaria avrebbe comportato, sul piano strettamente giuridico, almeno due paradossali conseguenze: la prima che, permanendo comunque il divieto degli atti di disposizione del proprio corpo, previsto dall’art. 5 del codice civile per il caso che essi «cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica», sì da rendere invalido il consenso che taluno prestasse a subire lesioni che comportassero una tale diminuzione, continuerebbe a rispondere di reato il soggetto che, con il consenso della persona offesa, le producesse quel tipo di lesioni, mentre andrebbe esente da pena chi, sempre con il consenso della persona offesa, in luogo delle lesioni le producesse la morte.

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La seconda, che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, dichiarativa della parziale incostituzionalità del reato di aiuto al suicidio previsto dall’art. 580 del codice penale, mentre rimarrebbe punibile l’aiuto al suicidio prestato a soggetto che non sia nelle condizioni patologiche ipotizzate in detta sentenza, diventerebbe lecito l’omicidio di un soggetto che, in normali condizioni da salute fisica e mentale, avesse chiesto di essere ucciso.

3. Nell’intervento su Guida al diritto di cui si è detto all’inizio la prima di tali conseguenze risulta totalmente ignorata. Viene invece presa in esame la seconda per obiettare, in sintesi e nell’essenziale, quanto segue:

a. l’abrogazione espressa, in caso di successo del referendum, del reato di omicidio del consenziente previsto dall’art. 579 cod. pen. potrebbe comportare quella tacita, per incompatibilità, del reato di aiuto al suicidio previsto dall’art. 580 dello stesso codice;
b. chi, essendo incriminato di omicidio, assumesse di aver agito con il consenso della vittima e di dover quindi andare esente da pena, avrebbe estrema difficoltà a dimostrare che quel consenso fosse stato prestato in assenza di condizioni di infermità o di deficienza psichica tali da renderlo invalido, dovendosi ritenere, in linea di massima, «assurdo e irragionevole» che una persona, essendo «in perfette condizioni di salute fisica e psichica, abbia consentito alla propria uccisione»;
c. la prestazione del consenso e la sua prova successiva dovrebbero comunque essere inquadrate, ai fini della loro validità, nella disciplina dettata dagli art. 1 e 2 della legge n. 219/2017, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.
4. Con tutto il rispetto, sembra tuttavia potersi affermare che nessuna di tali obiezioni coglie nel segno.

Quanto a quella sub a), va ricordato che l’abrogazione tacita di una legge per incompatibilità con una legge successiva, secondo quanto previsto dall’art. 15 delle Preleggi, richiede, alla stregua del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (ved., per tutte, Cass. lav. 1 ottobre 2002 n. 14129), che tra le due norme «vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, cosicché dalla applicazione ed osservanza della nuova legge non possano non derivare la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra»; condizione, questa, che può, quindi, verificarsi solo quando le due norme siano applicabili alla stessa fattispecie legale e non a fattispecie diverse, come invece avverrebbe nel caso in esame, riguardando una di esse l’aiuto al suicidio previsto dall’art. 580 cod. pen. e l’altra l’omicidio del consenziente previsto dall’art. 579.

Quella che si verrebbe a creare sarebbe, dunque, una situazione non di formale incompatibilità tra le due norme in questione ma soltanto di manifesta irragionevolezza del sistema risultante dalla loro contemporanea vigenza; irragionevolezza per porre rimedio alla quale sarebbe necessario un intervento del legislatore ovvero, offrendosene l’occasione, della Corte costituzionale; il che potrebbe verosimilmente costituire motivo di inammissibilità della proposta referendaria.

Quanto all’obiezione sub b), essa non sembra considerare che, nella prospettiva referendaria, venendo ad essere equiparato, negli effetti, il consenso della vittima dell’omicidio a quello previsto come ordinaria scriminante per ogni genere di reato dall’art. 50 cod. pen., dovrebbe trovare applicazione la regola generale secondo cui, ai fini del riconoscimento di una scriminante, grava sull’imputato soltanto un onere di allegazione dei fatti sulla base dei quali essa andrebbe riconosciuta, ribaltandosi quindi sull’accusa, una volta che tale onere risulti soddisfatto, quello di dimostrare l’insussistenza o l’irrilevanza di quei medesimi fatti (in tal senso, fra le altre: Cass. pen. sez. II, 7 febbraio -10 maggio 2013 n. 20171, Rv 255916; Cass. Pen. sez. II, 9 ottobre – 9 dicembre 2020 n. 35024, Rv 280304).

In caso, quindi, di omicidio che si assuma commesso con il consenso della vittima, l’imputato sarebbe gravato solo dell’onere di dedurre e dimostrare l’oggettiva esistenza di un tale consenso, comunque manifestato, ma non l’insussistenza delle cause che potrebbero renderlo invalido, ivi compresa quella costituita dall’infermità o deficienza psichica del consenziente, gravando invece sull’accusa l’onere di dedurre e dimostrare, a sua volta, l’invalidità del consenso per la presenza di taluna di dette cause. Né, d’altra parte, può dirsi che sia, di per sé, «assurdo e irragionevole» pensare che taluno abbia consentito alla propria uccisione ad opera di altro soggetto, pur essendo «in perfette condizioni di salute fisica e psichica».

È di comune esperienza, infatti, che infinite possono essere le ragioni, diverse da quelle attinenti alle proprie condizioni di salute fisica o psichica, per le quali un soggetto possa decidere di porre fine alla propria vita. E nulla esclude, in linea di pura logica, che, non avendo egli la forza o il coraggio di porre in atto tale decisione uccidendosi di propria mano, chieda che sia un altro ad ucciderlo, confidando, magari, nella sua capacità di farlo senza produrgli eccessive sofferenze, come nel caso in cui, ad esempio, la richiesta venga rivolta ad un esercente la professione medica. Può ricordarsi, in proposito, la fine di Nerone, il quale, volendo sfuggire alla cattura dopo essere stato dichiarato dal Senato “hostis publicus”, si fece uccidere con un pugnale da uno schiavo (in mancanza, al momento, di un soggetto professionalmente più qualificato), non avendo trovato in sé la forza d’animo per procurarsi egli stesso la morte mediante uso di quel medesimo strumento o in altro modo.

Quanto, infine, all’obiezione sub c), appare sufficiente osservare che, in presenza di una formulazione dell’art. 579 cod. pen. quale risulterebbe in caso di approvazione della proposta referendaria, condizione necessaria e sufficiente per escludere la punibilità dell’omicidio del consenziente sarebbe solo quella che il consenso non fosse viziato da alcuna delle cause di invalidità previste dallo stesso art. 579. Non si vede, quindi, a quale titolo potrebbe pretendersi che esso fosse anche conforme alle previsioni di cui agli art. 1 e 2 della legge n. 219/2017, il cui ambito di applicazione, d’altra parte (come chiaramente risulta dalla loro testuale formulazione), è strettamente limitato ai rapporti medico – paziente e non potrebbe in alcun modo essere esteso a quello, tutt’affatto diverso, del rapporto che si instaurerebbe tra il soggetto desideroso di morire per mano altrui e quello (non necessariamente un medico ma anche un “quisquam de populo”) da lui incaricato di provvedere alla bisogna, con mezzi e modalità che potrebbero essere i più vari.

5. Conclusivamente, sembra quindi potersi affermare che, a prescindere da quello che sarà il giudizio della Corte costituzionale circa l’ammissibilità o meno della proposta referendaria in questione, è lo strumento stesso del referendum abrogativo a dimostrarsi inadeguato e, perciò, da evitare, quando la norma oggetto del quesito referendario sia espressione non di una specifica e circoscritta scelta politica del legislatore ma di un principio cardine dell’ordinamento giuridico, quale, nel caso in esame, è quello della indisponibilità del diritto alla vita, derivante dal fatto che esso è uno (ed anzi il primo) dei «diritti inviolabili dell’uomo» riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della Costituzione e da ritenere, quindi, come tali, indisponibili.

Ed è appena il caso di puntualizzare, a tale proposito, che il concetto di “disponibilità” va tenuto ben distinto da quello di “rinunciabilità”, dovendosi quest’ultimo riferire a un “quid facti”, consistente nella pura e semplice volontaria astensione, sempre possibile, del titolare del diritto dall’esercitarlo e dal difenderlo pur avendone la possibilità, laddove il primo si sostanzia in un “quid iuris”, consistente nella creazione, da parte del titolare del diritto, di un vincolo giuridico in forza del quale un altro soggetto può disporne in sua vece; situazione, quest’ultima, che – è bene precisare – non è quella che si verifica nel caso delle Disposizioni anticipate di trattamento previste e disciplinate dalla già ricordata legge n. 219/2017, in forza delle quali non viene certo conferito al medico il diritto di decidere, in luogo dell’interessato, della vita o della morte di quest’ultimo, ma viene soltanto imposto allo stesso medico di astenersi, quando ricorrano le previste condizioni, da interventi diagnostici e terapeutici che egli avrebbe altrimenti il dovere o la facoltà di porre in essere.

Ben diversa sarebbe invece la situazione che si creerebbe nel caso del conferimento, da parte di taluno ad un altro, dell’incarico di ucciderlo, con conseguente impunità, se la proposta referendaria venisse ammessa ed approvata, di colui che all’incarico avesse poi dato esecuzione, in adempimento di quello che dovrebbe quindi considerarsi, a rigore, un contratto validamente stipulato. Il che importerebbe la necessità di considerare un tale contratto come non contrario all’ordine pubblico e al buon costume, giacché altrimenti si incorrerebbe nella lampante ed insanabile contraddizione tra la ritenuta nullità del contratto per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume (ex art. 1343, 1418 cod. civ.) e la sua idoneità, ciononostante, a rendere lecita una condotta che sarebbe altrimenti punibile come reato perseguibile d’ufficio.

Ma se il contratto in questione fosse da considerare valido, esso dovrebbe essere soggetto a tutte le norme dettate in materia contrattuale dal codice civile; tra esse, quindi, anche quella che impone, in caso di inadempimento, il risarcimento del danno, al quale, pertanto, potrebbe essere condannato il soggetto che, avendo accettato da taluno l’incarico di ucciderlo, fosse poi ingiustificatamente venuto meno all’impegno assunto. E magari potrebbe anche invocarsi, in alternativa, il disposto di cui all’art. 2931 cod. civ. secondo cui: «Se non è adempiuto un obbligo di fare, l’avente diritto può ottenere che esso sia eseguito a spese dell’obbligato nelle forme stabilite dal codice di procedura civile». Un ulteriore arricchimento, quindi, del già cospicuo repertorio di quel “teatro dell’assurdo” al quale, come si osservava nel già ricordato, precedente articolo del 9 settembre u.s., sembrerebbero ispirarsi alcuni dei volenterosi e indefessi autori delle sempre più numerose proposte di referendum che, da qualche tempo, pressoché quotidianamente, tengono banco negli organi di informazione.

Tags: Eutanasiareferendum
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