«Cosa ci serve Zidane? Abbiamo Sherwood». La storia del nuovo allenatore del Tottenham
Avrà da sudare Tim Sherwood per ridare un pizzico di dignità al Tottenham, che dopo il 5-0 casalingo patito contro il Liverpool ha cacciato André Villas-Boas: al portoghese si imputa la totale mancanza d’identità degli Spurs, incapaci, dopo aver perso Gareth Bale, di far fruttare gli innesti milionari arrivati dopo la vendita del gallese, Lamela in primis. Inevitabile quindi la partenza dello Special Two e la promozione, sebbene ad interim e forse solo da qui a Natale, del coordinatore tecnico della seconda squadra, legato a White Hart Lane sin dalla fine degli anni Novanta, quando vestì per quasi 100 partite la maglia bianca degli Spurs andando in rete 12 volte.
“THE GRAFTER”. Ma parlare di Sherwood significa tuffarsi di testa nella Premier degli anni Novanta, quando il calcio milionario di oggi era ancora un embrione. Lo strapotere delle 4-5 grandi inglesi sarebbe sbocciato di lì a poco, portando ad un totale controllo di titoli e posizioni di vertice spartito tra Manchester, Arsenal, Liverpool e Chelsea. Prima di tutto ciò, però, c’è stato un anno, il ’94-’95, dove a laurearsi campione fu, abbastanza a sorpresa, il Blackburn, di cui Sherwood era proprio capitano. Non che fosse del tutto imprevedibile che i Rovers si laureassero campioni in quell’anno: dalla loro avevano gli investimenti del magnate dell’acciaio Jack Walker (bei tempi quando in Premier comandavano i milioni made in Uk), che aveva preso la squadra in Second Division e gli aveva dato una vocazione da grande. Ai primi tre anni in Premier fecero il botto: prima quarti, poi secondi e infine campioni. A spingerli la saggezza dell’allenatore ex Liverpool Kenny Dalglish, oltre alle reti di un giovane Shearer. E tutta la leadership del loro capitano, Tim Sherwood, da quelle parti soprannominato “The Grafter”, quello che mette giù la testa e lavora sodo.
STAVA PER ARRIVARE ZIDANE. Fu il punto più alto della sua carriera quel titolo: diventato idolo dei tifosi dei Rovers, da più parti in Inghilterra ci si aspettava un suo passaggio ad una grande o, per lo meno, una chiamata per la Nazionale, cosa che invece non ci fu mai. Ciò che invece ci fu è una battuta che il proprietario Jack Walker disse al manager Dalglish nell’estate del ’95, quando sembrava che il Blackburn fosse ormai vicinissimo a formalizzare l’arrivo di due francesi dal Bordeaux, Christophe Dugarry e Zinedine Zidane: «Ma perché vuoi far firmare Zidane quando abbiamo Tim Sherwood?». Il doppio affare poteva essere chiuso per pochi milioni di sterline, invece Zizou rimase un altro anno coi Girondins, stupì tutti all’Europeo inglese del ’96 per poi finire alla Juve per poco meno di 8 miliardi di lire e diventare, due anni dopo, Pallone d’oro.
IL FINALE THRILLER DEL ’94-’95. Ma sarebbe ingiusto ricordare Sherwood solo per quell’accostamento così avventato, che lui stesso, anni dopo, ha definito poco calzante. Rimangono piuttosto le 25 reti messe a segno in sette anni, l’affetto totale che nel Lancashire gli hanno da allora sempre riservato e le sue foto con la coppa in mano del ’95. Che fu vinta al termine di un match sudatissimo, che due parole le merita tutte. Il Blackburn era primo a 89 punti e andava a giocare a Liverpool: doveva vincere per evitare che lo United, secondo a 87, lo sorpassasse vincendo contro il West Ham. Ci si poteva aspettare dai Reds un regalo ai Rovers, onde evitare di regalare un altro titolo agli odiati rivali di Manchester. Invece la squadra di Evans fece fino in fondo il suo lavoro: recuperò il vantaggio di Shearer, e al ’90 riuscì pure a siglare il 2-1 al Blackburn. Il finale fu drammatico, ma alla fine i bianco-blu poterono comunque alzare le braccia al cielo: la squadra di Ferguson si era arenata ad Upton Park, non riuscendo ad andare oltre il 2-2 contro il West Ham. Il primato era salvo, e il Blackburn tornava a vincere il campionato dopo 80 anni. E Sherwood fu scelto tra la squadra più forte della Premier.
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