Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Oggi in Sicilia ammantarsi nella bandiera antimafia è diventata una cosa gratuita. I capi mafiosi stessi consigliano agli affiliati di farne parte! C’è una retorica dell’antimafia nei riguardi della quale c’è stata una deresponsabilizzazione assoluta».
Un importante e stimato ex direttore di uno dei maggiori giornali italiani è stato a Catania per presentare un suo libro ed è stato intervistato dal quotidiano La Sicilia. Nel colloquio a tutto campo, ha parlato di antimafia: «Quelle bandiere non hanno significato. Perché s’è scoperto che dentro quelle bandiere c’è chiunque. Se io oggi volessi fare del malaffare in Sicilia, mi iscriverei a un circolo Addio Pizzo, all’associazione Libera. Non hanno valore, sono chiacchiere».
E ancora: «È la distrazione di un paese che considera queste cose folklore. È il razzismo di chi ride della Sicilia. Che paga un prezzo altissimo: nessuno viene a fare impresa da voi. La cosa pubblica non funziona e per di più è pure ridicola. Un mix esiziale, grave quanto nell’era della mafia stragista. Poi c’è stato un uso disinvolto dei reati a sfondo mafioso. Dopo l’appello di Lo Bello (Ivan, ex presidente Confindustria Sicilia, ndr) si sono fatti tutti gli errori possibili: non si è vigilato e si sono fatti passi indietro, ma poi si è esteso il reato a sfondo mafioso anche a chi passava col rosso al semaforo…».
D’accordissimo. Ma ora immaginate il putiferio di reazioni e di accuse di collusione se queste stesse cose le avesse dette qualcun altro. Invece le ha dette Paolo Mieli.