
Aereo malese scomparso, il luogo delle ricerche è sbagliato
Lo scorso 24 marzo, dopo 16 giorni di intense ricerche che hanno letteralmente coinvolto mezzo se non tutto il mondo, il governo malese aveva ufficialmente annunciato che il Boeing 777 improvvisamente scomparso dai radar l’8 marzo era caduto certamente in un tratto dell’Oceano indiano a 200 miglia dalle coste australiane, trascinando negli abissi le 239 persone a bordo, la maggiorparte delle quali di nazionalità cinese. Oggi, due mesi dopo, quell’annuncio è di nuovo messo in discussione: l’aereo malese forse non è precipitato nell’Oceano indiano e le ricerche – il forse è d’obbligo – si sono svolte nell’area sbagliata.
I DATI SATELLITARI. La comunicazione del governo di marzo giunse dopo che il sistema satellitare della società Inmersat, che aveva partecipato alle ricerche, aveva fornito alcuni dati captati dai satelliti, alcuni “ping” (ovvero i piccoli segnali trasmessi dai radar di volo) del Boeing della Malaysian airlines poco prima di sparire nel nulla. Dopo che la compagnia aerea aveva informato via sms i parenti delle 239 vittime, il premier malese in prima persona, Mohd Najib Tun Razak, aveva tenuto una conferenza stampa davanti ai giornalisti di tutto il mondo in cui aveva spiegato che «oltre ogni ragionevole dubbio» i passeggeri erano morti in mare. Intorno al 20-23 marzo, inoltre, sia un satellite della marina militare australiana, sia un satellite francese avevano fotografato immagini di possibili resti dell’aereo alla deriva nell’oceano, che però non si era ancora riusciti a recuperare. Molti tra i parenti delle vittime cinesi però non hanno mai creduto all’annuncio del premier Razak, e anche in quei giorni hanno sostenuto che le ricerche si fossero svolte nella zona sbagliata.
«POSSIBILE ERRORE». I tentativi di recuperare i resti possibili dell’aereo fotografati dai satellite non si sono mai fermate, sino ad una settimana fa. Le operazioni di ricerca sono andate avanti semplicemente perché nessun resto materiale è stato ancora recuperato e i parenti delle vittime hanno ripetutamente chiesto al governo malese di avere almeno i dati dei “ping” intercettati dal satellite, per avere una prova della correttezza delle ricerche. Ora si apprende che ad agosto le operazioni di ricerca ripartiranno, utilizzando i droni messi a disposizione dalla marina militare statunitense, la U.S. Navy di stanza a Canberra, Australia, dove ha sede il Joint Agency Coordination Center che coordina le ricerche. È stata proprio una fonte della Joint Agency, il vice responsabile della divisione oceanografica Michael Dean a rivelare alla stampa internazionale che sono stati già scandagliati 850 km di fondale inutilmente e che gli ultimi “ping” captati dai satelliti probabilmente non proverrebbero dalla scatola nera del Boeing 777. Secondo Dean quei segnali potrebbero provenire anche da alcune navi, addirittura qualcuna di quelle impegnate nella ricerca. Al momento sulla dichiarazione a mettere un freno è stato un portavoce della U.S. Navy spiegando che si tratta di frasi «premature e basate su speculazioni».
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