«Ancora con la storia di Lech Walesa collaboratore del regime comunista?». Le ha già sentite queste accuse Annalia Guglielmi, amica del co-fondatore di Solidarnosc, ex presidente della Repubblica e Premio Nobel per la pace. Guglielmi ricorda bene quel periodo: ha vissuto in Polonia tra il 1978 e il 1982 e nel 1981 si è impegnata attivamente nelle strutture del sindacato cattolico. Ora, parlando con tempi.it, dubita dei rapporti trovati in casa dell’ultimo ministro degli Interni comunista, il generale Czeslaw Kiszczak, e firmati con il nome in codice (“Bolek”) che Walesa aveva negli anni Settanta prima della nascita del sindacato, che nel 1989 stravinse le elezioni dando il colpo di grazia al regime in Polonia.
Uno dei principali artefici della caduta del comunismo nell’Est Europa era un informatore?
Questa è una vecchissima storia che l’attuale partito di governo (Pis) rispolvera ciclicamente. Basta andarsi a rileggere l’intervista del 2009 che ho fatto a Walesa, pubblicata proprio su Tempi. Su quale argomento gli ho posto la prima domanda? Sul suo coinvolgimento con i servizi segreti.
E qual è la risposta?
Walesa non ha mai nascosto di aver firmato la dichiarazione di collaborazione. Anche nel recente film di Andrzej Wajda Walesa. L’uomo della speranza, lui non lo nega. Ha firmato anche perché si trovava in una situazione particolare: sua moglie era in ospedale, aveva appena partorito, lui non aveva ancora visto suo figlio perché la polizia l’aveva arrestato. Ma il punto è che da quella dichiarazione non è mai scaturito nulla.
Nel 2000 un tribunale l’ha assolto proprio su questo punto.
Lui ha sempre dichiarato che nessuno ha mai sofferto a causa di quella dichiarazione di collaborazione: significa che non ha mai denunciato né fatto arrestare nessuno.
E i documenti riesumati dall’Istituto nazionale della memoria, che i giornali descrivono come «molto vicino al governo»?
Su questi presunti documenti giudicherà il tribunale. Però io posso dire che Walesa ha appena accusato il governo di essere xenofobo e razzista. Secondo me è anche una forma di vendetta perché, durante il suo mandato di presidente della Repubblica, ha fatto cadere un governo legato alla corrente del Pis (il cui leader è Jaroslaw Kaczynski, membro dell’ala radicale di Solidarnosc e da sempre critico di Walesa perché, a suo dire, troppo tenero con il regime, ndr). È tutta una questione di vendette politiche.
E se si scoprisse che è tutto vero?
Un uomo come Walesa non va giudicato sulla base di questo ma per ciò che ha fatto storicamente: Walesa è il grande artefice, non l’unico, della caduta del comunismo e di tutti i cambiamenti che ci sono stati. Il giudizio storico su di lui va dato su questo, non su altro.
Perché Walesa ha attaccato il governo?
Perché in Polonia è in atto una deriva abbastanza pericolosa, a mio giudizio, e in Italia non si dice che ogni mese in Polonia scendono in piazza decine di migliaia di persone a difesa della democrazia. Il Pis sta perdendo consensi e forse questa manovra serve a recuperarne un po’.
Il fondatore di Solidarnosc non si è scomposto e ha detto che si difenderà in tribunale.
Penso che sia sufficientemente sereno per prendere questi attacchi per quello che sono: manovre politiche e propagandistiche.
Nella sua intervista del 2009, come rispose Walesa alle accuse?
Cito: «Oggi nella società polacca c’è molta insoddisfazione, soprattutto per gli effetti della crisi, e i fratelli Kaczynski, gettando fango sugli altri, cercano di raccogliere ogni tipo di insoddisfazione per sopravvivere. Mi auguro che arrivi il giorno in cui anche loro dovranno fare i conti con tutto questo fango, perché la verità vincerà di sicuro. E allora non vorrei essere al loro posto, perché il giudizio su quello che hanno fatto e sulle loro persone sarà terribile».
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