Bruxelles – No, non sto sognando. Ed il boccale di Jupiler chiara è ancora intatto. Grand’ Place di Bruxelles, «la più bella piazza d’Europa» coi suoi palazzi in stile gotico fiammingo e barocco italiano secondo Victor Hugo che ci abitò per un anno, è disseminata di candide tende beduine attorno alle quali si accalcano migliaia di uomini, donne e ragazzi in galabia bianca, fez rosso e tuniche bicolore. Il grande spazio compreso fra le 39 case delle corporazioni, il municipio con la sua torre civica bella come il campanile di una cattedrale e la Casa del Re, che era poi il palazzo di Giustizia al tempo del potere spagnolo, è diventato il teatro di un festival folkloristico marocchino in questa calda serata di metà luglio. Una strascicata melodia araba si alza fra le luci del tramonto che indorano le migliaia di colonne, balaustre e cupole che raccontano tre secoli di splendori europei, ed i danzatori dervisci roteano come lame veloci sopra il selciato.
«Tre anni fa l’abbiamo chiesta noi per una manifestazione come questa, ma Marion Lesmere ci ha risposto di no e ci ha controproposto una zona più periferica», sibila rabbuiato Salvatore Albelice, rappresentante della comunità italiana e consigliere del Partito Liberale a St. Gilles, uno dei 19 Comuni che formano Bruxelles. Marion Lesmere è un assessore e “noi” sono i 287mila italiani della comunità tricolore in Belgio, cui si potrebbero sommare gli oltre 100mila che italiani più non sono avendo preso la nazionalità belga. «Siamo ancora la comunità di immigrati più numerosa del Belgio, ma adesso qui privilegiano i musulmani, perché è più facile strumentalizzarli per le manovre politiche locali. A noi è stata concessa una sola frequenza radio in condominio con spagnoli, portoghesi e greci, ai marocchini ne hanno date due!». I musulmani in Belgio sono ormai 450mila, di questi 300mila marocchini, ed il numero continua a salire.
ITALIANI E FIAMMINGHI INFURIATI
Ma Grand’ Place non è l’unico enigma di Bruxelles e gli italiani non sono gli unici scontenti di quest’alba di una nuova era. Il Belgio è uno stato federale ed un paese bilingue: i 10 milioni di belgi sono ripartiti fra Fiandre e Vallonia, fra un 62% di fiamminghi che parlano olandese ed un 38% di valloni francofoni. Non esistono partiti politici “belgi”, ma ogni famiglia politica (socialisti, democristiani, liberali, Verdi, ecc.) ha la sua duplice versione linguistica, che poi si ritrova insieme al governo o all’opposizione. Fa eccezione un solo partito, il Vlaams Blok, che raccoglie la maggioranza relativa del voto fiammingo sia nel collegio di Bruxelles (38,5%), sia in quello di Anversa (30,5%), le due principali città del paese, entrambe storicamente fiamminghe anche se ormai i tre quarti dei residenti di Bruxelles parlano francese. Questo partito non ha alleati, un “cordone sanitario” lo taglia fuori dalla gestione del potere a tutti i livelli, e nel panoramico ufficio del suo presidente, l’eurodeputato Frank Vanhecke, al decimo piano di Madouplein numero 8 si notano solo due simboli: la storica foto in bianco e nero di Geronimo, accosciato con un winchester fra le mani, il leggendario capo indiano che guidò la disperata resistenza degli apaches per non essere rinchiusi nelle riserve, ed uno scarabeo con la sua palla di sterco sotto vetro: «Un politico fiammingo ci ha definiti “insetti, scarabei divoratori di sterco” – spiega Vanhecke mentre mi mostra il curioso oggetto con singolare orgoglio – ma questi insetti continuano a crescere elezione dopo elezione e un giorno avranno quello che chiedono e per cui ci isolano chiamandoci “razzisti”, “fascisti” e “nazisti”: l’indipendenza delle Fiandre e la fine del Belgio. Siamo stufi di sgobbare per lo Stato socialista belga, basato sull’assistenzialismo ai valloni e agli immigrati musulmani fatto coi soldi dei fiamminghi. L’87% dell’export belga è prodotto nelle Fiandre, e questa ricchezza serve a mantenere in funzione la macchina clientelare dello Stato: in Vallonia quasi il 40% degli occupati è costituito da dipendenti pubblici, mentre da noi sono appena il 25%. Ogni anno il 10% del prodotto interno lordo prodotto nelle Fiandre viene drenato dal governo federale per pagare le politiche sociali del sud del paese. Sembra di vivere nella Germania della riunificazione, ma lì dopo dieci anni i trasferimenti all’ex Repubblica democratica tedesca sono finiti, qua il sistema è eterno».
IL GOVERNO CHE PIACE ALLA SINISTRA ITALIANA
Secondo Piero Fassino la vittoria della “coalizione viola” liberal-socialista di Guy Verhofstadt, Louis Michel ed Elio Di Rupo alle elezioni belghe del maggio scorso è «una vittoria importante per il Belgio, l’Europa e la sinistra europea… ottenuta con una politica di fermo impegno contro la guerra, di espansione dello Stato sociale e di affermazione di significativi diritti civili». Dio ce ne scampi. Il pretenzioso, farisaico, sovradimensionato Belgio delle incriminazioni universali contro stranieri piccoli e grandi e dell’indulgenza verso i propri potenti; del declino economico nascosto dietro la cortina fumogena dell’assistenzialismo, del politicamente corretto e del nichilismo gaio; dei rimbrotti e dei dispetti agli Stati Uniti, alla Nato e al governo italiano comminati con l’ebbrezza incosciente del bambino che sta giocando con le scarpe e la pipa di papà, è importante soltanto perché rappresenta la più compiuta ed inquietante profezia dell’Europa che verrà. Ma la performance del primo governo Verhofstadt (1999-2003, quando la “coalizione arcobaleno” comprendeva anche gli ecologisti, cancellati dagli elettori nel maggio scorso) e del sistema Belgio nel suo complesso è decisamente scadente. Oggi il Belgio si ritrova col più alto tasso di disoccupazione della Ue (11,6%), uno dei debiti pubblici più alti (106% del Pil) e la più forte flessione della produzione industriale su base annua (meno 3,7% al maggio scorso). Antiche città operaie come Liegi e Charleroi oggi presentano tassi di disoccupazione (35%!) da profondo Sud italiano e paesaggi industriali in rovina identici a quelli della Germania orientale.
Nelle grandi città la convivenza sociale è vicina al punto di rottura. Ad Anversa, roccaforte del Vlaams Blok indipendentista ed ostile all’immigrazione islamica, un agitatore libanese ha dato vita ad un partito, la Lega Araba Europea, accusato di aver organizzato corsi di addestramento paramilitare per i suoi aderenti e sobillato una rivolta etnica (seguita dall’arresto di un centinaio di immigrati) nel dicembre scorso sull’onda di un fatto di cronaca, l’uccisione di un insegnante marocchino da parte di uno psicopatico belga; a Bruxelles i quartieri dove il Vlaams Blok raccoglie le più alte percentuali di voti (44% e più) sono quelli dove l’immigrazione recente, specialmente marocchina, è più forte: Anderlecht, Schaarbeek e Molenbeek. «Non bisogna entrarci con auto di lusso e vestiti con giacca e cravatta, – dice Albelice – quando state rallentando ad un incrocio ragazzini o adulti nordafricani si buttano contro il paraurti del vostro veicolo, poi saltano fuori familiari e parenti e vi chiedono di pagargli un indennizzo in contanti per non denunciarvi all’assicurazione. In quei quartieri gira sempre poca polizia anche se lo spaccio di droga avviene alla luce del sole, perché un arresto si trasforma facilmente in una sommossa popolare».
MORALISMO BOOMERANG
Su molti dossier politicamente corretti che avevano dato lustro alla “coalizione arcobaleno”, la nuova “coalizione viola” sta facendo imbarazzanti marce indietro. Dopo che i suoi tribunali hanno incriminato leader di mezzo mondo, inclusi George W. Bush, Colin Powell, Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Tony Blair ed il generale Tommy Franks come responsabili di atrocità nella guerra all’Irak, in forza di una legge del 1993 che assegna alle corti belghe competenza universale sui crimini di guerra e contro l’umanità, il nuovo governo si è impegnato ad approvare entro l’estate una nuova versione della legge molto restrittiva e con effetto retroattivo, che comporterà la chiusura di quasi tutte le cause in corso. D’altra parte il Belgio moralista e progressista che vorrebbe processare mezzo mondo sta per varare una legislazione sulla vendita delle armi all’estero che non ha eguali; siccome l’ultima grande industria rimasta in Vallonia è il Groupe Herstal (meglio conosciuto come la Fabrique nationale di Liegi) che produce armamenti, e siccome gli indipendentisti fiamminghi hanno già in passato denunciato il ministro Michel per aver autorizzato vendite di armi a paesi a rischio come il Nepal, d’ora in poi a gestire la delicata materia saranno niente meno che i governi regionali!
Altre leggi politicamente corrette sul viale del tramonto sono quella sul divieto di pubblicità al tabacco, che ha fatto perdere al Belgio l’edizione 2003 del gran premio di Formula Uno di Spa-Francorchamps e ai Verdi le elezioni, e quella che prevede la chiusura di tutte le centrali nucleari del paese entro il 2006, anch’essa voluta dai Verdi. D’altra parte il programma del nuovo governo non manca di risvolti comici: promette di aumentare la spesa sanitaria del 4,5% all’anno e le pensioni sociali, e si propone di trovare le risorse per queste politiche aumentando il prelievo fiscale sui carburanti e sul tabacco (la gente dovrà fumare di più per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria…) e con una sanatoria per incoraggiare il rientro dei capitali esportati illegalmente all’estero: provvedimento identico a quello per il quale Berlusconi è stato vilipeso anche in Belgio! Ma questo non è certo l’unico caso di doppio standard morale. Il “nepotismo” dei liberali belgi, per esempio, sempre pronti ad accusare il presidente del Consiglio italiano di piegare gli interessi pubblici a quelli privati, è notorio: basterebbe ricordare che i figli non ancora trentenni di Louis Michel (ministro degli Esteri), Antoine Duquesne (ex ministro degli Interni) e Daniel Ducarme (ex presidente del partito Liberale francofono) sono rispettivamente ministro degli interni della Vallonia e deputati federali. Per meriti politici? Mah. E che dire dei socialisti? Philippe Moureaux, vice-presidente del partito, è anche vice-presidente del Comitato direttivo di Tele-Bruxelles, tivù finanziata con fondi pubblici e della Ue. Ma non è un abuso mischiare politica e controllo della televisione?
RABBIOSA NEGAZIONE DELLE RADICI CRISTIANE
In compenso il governo Verhofstadt, il primo senza democristiani dal 1958, ha dato sfogo a decenni di anticlericalismo represso con una mitragliata di leggi senza eguali in Europa: in quattro anni ha approvato una legislazione più permissiva di quella olandese in materia di eutanasia, l’istituzione ed il riconoscimento del matrimonio fra omosessuali, la depenalizzazione del consumo di cannabis, la sperimentazione su embrioni umani inclusa la clonazione a scopo terapeutico, l’equiparazione delle moschee alle chiese in materia di finanziamenti pubblici ed autorizzazioni edilizie, l’insegnamento circa la normalità dell’omosessualità nelle scuole. Dopo un primo progetto sperimentale a Charleroi nel 2001 finanziato con 2 milioni di franchi belgi e rivolto ai 14enni, sono stati realizzati audiovisivi sull’omosessualità che vengono proiettati a ragazzi fra i 10 ed i 14 anni in tutte le scuole che accettano di partecipare al programma. Il nuovo governo affida alla sovranità del parlamento (dove i liberal-socialisti godono di una solida maggioranza) la discussione di progetti di legge circa il diritto delle coppie omosessuali di adottare figli, il suicidio assistito, la legalizzazione della prostituzione.
Da dove nasce tutta questa furia iconoclasta? «è una rivalsa contro la tradizionale egemonia culturale della Chiesa su tutti gli aspetti della vita sociale belga. Ancor oggi più della metà dei belgi manda i figli alle scuole cristiane, all’università cattolica di Lovanio ed è iscritta ad enti mutualistici cattolici. Ma la cultura individualista e libertaria secolarizzata ha deciso di prendersi la sua rivincita attraverso la politica», spiega Clotilde Nyssens, senatrice del Centro democratico umanista (Cdh), il nome con cui è stata ribattezzata la Dc francofona relegata all’opposizione. Il partito ha tolto l’aggettivo “cristiano” dalla ragione sociale per attirare un maggior numero di elettori, ma invano: «è stato un grosso errore» commenta padre Julien Ries, lucido 83enne, direttore del Centro studi sulle religioni dell’Università di Lovanio, «anche se l’arretramento del cristianesimo in Belgio e del suo braccio politico riguarda soprattutto le Fiandre, dove una volta il partito social-cristiano raccoglieva il 47% dei voti ed oggi appena il 21%».
«Negli ultimi vent’anni le Fiandre, un tempo l’area più credente e più praticante del Belgio, è stata investita dal cristianesimo liberale olandese, col risultato che oggi le diocesi di Malines-Bruxelles, Anversa e Gand, che servono 3,5 milioni di persone, non hanno più neanche un seminarista!». D’altra parte la Chiesa cattolica non sembra opporre una resistenza apprezzabile all’ondata secolarista, per lo meno nelle sue istanze formative: più di una scuola cattolica della regione fiamminga fa propri i programmi sull’omosessualità, e le due università cattoliche del paese, quella fiamminga di Lovanio e quella francofona di Louvain-la-neuve, ospitano molti docenti, sia delle materie secolari che di quelle teologiche, favorevoli all’eutanasia, alla sperimentazione sugli embrioni umani e all’accettazione dell’omosessualità in tutti i suoi aspetti.
POTERE FONDATO SU DISOCCUPATI E IMMIGRATI ISLAMICI
Oltre che sul rancore anti-cristiano, il sistema belga si regge sull’utilizzo clientelare dei sussidi di disoccupazione. L’estremista fiammingo Vanhecke e il mite sacerdote francofono Ries convergono nel definire i disoccupati “la clientela elettorale dei socialisti”. In Belgio il sussidio di disoccupazione oscilla fra i 20mila ed i 40mila franchi belgi al mese (500-1.000 euro) a seconda della posizione ricoperta e del tempo che si è lavorato, più un cospicuo aumento degli assegni familiari, che sono già molto buoni. La durata del beneficio è senza termini di scadenza, e molti trovano il modo di rifiutare i nuovi posti di lavoro che vengono loro offerti (ci sono molte scappatoie) per goderne indefinitamente. «Un postino o un insegnante di prima nomina guadagnano 30mila franchi al mese. Perché un disoccupato dovrebbe cercarsi un lavoro?», sorride padre Ries. «Conosco una signora straniera, madre di tre figli, che ha lavorato per un anno e adesso riceve un sussidio pari a 65mila franchi al mese (1.625 euro!, ndr)», dice Albelice. Oltre a incoraggiare la pigrizia, il sistema dei sussidi (che il nuovo governo sta addirittura rafforzando) incoraggia l’immigrazione: bastano sei mesi di lavoro dipendente per usufruire dei benefici di legge e quindi continuare a risiedere legalmente nel paese, e con la legge sulla nazionalità approvata nella scorsa legislatura bastano ormai 3 anni di residenza per ottenere il passaporto belga. «Negli ultimi due anni più di 200 mila stranieri, per lo più dal Terzo mondo, hanno ottenuto la nazionalità, e altri 700mila sono in lista di attesa. Si immagina cosa significa questo in un paese di 10 milioni di abitanti?», chiosa Vanhecke.
Il disegno della coalizione laico-socialista belga è fin troppo chiaro: perpetuare il potere della casta burocratica dello Stato e dei politici di professione e accelerare il processo di scristianizzazione della società, appoggiandosi sul consenso dei cittadini trasformati in assistiti cronici e di nuove minoranze (omosessuali, musulmani) totalmente dipendenti dal potere. E badate bene, questo non è un problema belga: questa è l’Europa che ci aspetta. Non è un caso che Guy Verhofstadt stia brigando per succedere a Romano Prodi a capo della Commissione europea. Tempi duri ci aspettano.