La prima puntata andrà in onda su Rai Uno solo il prossimo dicembre, ma le polemiche sul nuovo reality show nei campi profughi dell’Africa hanno già iniziato a soffiare forte. The Mission è già un caso: le registrazioni hanno portato per ora solo al “numero zero”, la puntata prova, eppure c’è già chi s’indigna all’idea di vedere otto vip calati nella vita di un campo per rifugiati tra Sud Sudan, Mali e Repubblica Democratica del Congo, impegnati per 15 giorni ad aiutare gli operatori dell’Unhcr (agenzia Onu per i rifugiati) e dell’ong Intersos.
«VOGLIAMO LA SPETTACOLARIZZAZIONE». È una trasmissione «lesiva della dignità di chi deve fuggire dal proprio paese a causa di guerre o di persecuzioni», dice chi protesta: in primis tante associazioni umanitarie, ma anche diversi semplici cittadini che sul web hanno sottoscritto due diverse petizioni create per fermare The Mission. E non sono bastate, a quanto pare, le spiegazioni arrivate da viale Mazzini: secondo i vertici Rai non sarà un vero e proprio reality, né tanto meno un gioco con prove o eliminazioni. L’autore Tullio Camiglieri parla di “docu-reality”, voluto per sensibilizzare la gente alla sofferenza di queste persone. «Ci accusano di voler spettacolarizzare la situazione dei rifugiati – ha spiegato Camiglieri a Redattore Sociale – ma noi speriamo che ci sia questa spettacolarizzazione, perché così finalmente questo tema riuscirà a colpire l’opinione pubblica. È la prima volta che si racconta questo universo al grande pubblico». Si conoscono già i nomi dei vip coinvolti: tra gli altri, Michele Cucuzza, Barbara De Rossi, Albano, Emanuele Filiberto. «Faranno le pulizie, da mangiare e tutte le mansioni che svolgono gli operatori delle due organizzazioni. L’obiettivo è raccontare attraverso i loro occhi queste parti di mondo dimenticate».
«PORNOGRAFIA UMANITARIA». Non sono convinti però tanti dei gruppi che quelle realtà le vivono da vicino: portare telecamere e vip in quelle realtà significa spettacolarizzare la sofferenza e diffondere un pietismo di superficie. «Forse è vero che al peggio non c’è mai fine, ma questa cosa è incredibile», fanno sapere ad esempio dal Gruppo Umana Solidarietà: «Abbiamo difficoltà a credere che gli ideatori del programma abbiano mai visto territori martoriati dalle guerre. L’aiuto profughi nei campi di accoglienza non passa da uno spettacolo che cerca di impietosire il pubblico». La pensa così anche padre Giovanni La Manna, gesuita presidente del Centro Astalli, che ha detto all’Adnkronos: «Tutto ciò che finisce in televisione diventa spettacolo, al di là delle intenzioni di chi vorrebbe portare all’attenzione dell’opinione pubblica la vita di queste persone. Il pericolo è di provocare l’emozione dello spettatore per il solo tempo della visione, poi si cambia canale e si passa ad altro». Anche Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, non fa sconti: «Il rischio di strumentalizzazione, di un utilizzo inappropriato di immagini, storie e pezzi di vita di persone in condizione di estrema vulnerabilità, è davvero elevato». «Qual è il messaggio che verrà fatto passare? E quale è il costo che i rifugiati coinvolti dovranno pagare? Il reale cambiamento comunicativo è quello di riuscire a parlare dei rifugiati non attraverso un uso spettacolaristico delle loro storie, ma riuscendo a cambiare la cultura dei media in questo paese». Ben più duro invece è Guido Barbera, presidente del Cipsi, sigla che coordina più di 40 associazioni di solidarietà internazionale: per lui si è «al limite della pornografia umanitaria», riporta Avvenire. «La realtà in cui vivono quotidianamente centinaia di milioni di persone non può essere presentata come un gioco».
UN’IDEA DELLA BOLDRINI. Ed essendo la Rai concessionaria del servizio pubblico, The Mission è arrivato pure alle bocche della politica: «Quali sono le valutazioni rispetto al valore sociale, etico e politico della produzione di un reality show che spettacolarizza i drammi dei migranti?» chiedevano in un’interrogazione al presidente della Commissione di Vigilanza Rai il presidente dei deputati di Sel Gennaro Migliore e Nicola Fratoianni, componente della Commissione Cultura della Camera. E le critiche sollevate dai parlamentari di Sel sono doppiamente significative, dal momento che, come ha spiegato ancora l’autore Camiglieri, a volere questo reality è stata anche Laura Boldrini, che fa parte proprio del partito di Sel, oltre a essere stata la portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati. «Il progetto nasce discutendo anche con lei, che su questi temi ha sempre avuto una forte sensibilità e che era ai vertici dell’organizzazione», ha raccontato Camiglieri. E qui si apre un piccolo giallo: oggi su Repubblica è la stessa Boldrini a prendere le distanze dallo show, invitando ad evitare ogni tipo di spettacolarizzazione. Spiega che, sì, un anno fa aveva preso parte all’ideazione del programma, ma adesso precisa che lei non avrebbe coinvolto i vip: «Venne da me suggerito un format australiano, molto apprezzato, in cui ad essere coinvolte erano persone comuni, con idee molto diverse tra loro in tema di asilo».