Le aziende italiane soffocano nelle spire del fisco e della burocrazia. E – quel che è peggio – in un modo che non ha pari in nessun altro paese d’Europa, con grave danno per la competitività sui mercati. Sarà pur vero dunque che, come ha recentemente dichiarato il premier Enrico Letta, «la priorità di questo governo è abbassare le tasse sul lavoro per far lavorare più giovani», ma finora di cali delle tasse, così come di significative semplificazioni burocratiche, non s’è vista neanche l’ombra. Anzi, l’aumento dell’Iva a luglio, al massimo, sarà rinviato a dicembre. Mentre le nuove norme fiscali prodotte dall’apparato statale in cinque anni sono state 288, quasi 60 all’anno, circa 5 al mese.
COMPLICAZIONI BUROCRATICHE. Dalla primavera del 2008, quando è cominciata la precedente legislatura, spiega oggi Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, «a complicare la vita delle imprese» sono state varate «qualcosa come 288 norme fiscali (…), un numero pari al 58,7 per cento di tutte le disposizioni di natura tributaria (491) introdotte attraverso 29 differenti provvedimenti». Un numero, oltretutto, più di «quattro volte superiore a quello delle 67 “semplificazioni” fatte nello stesso periodo». Ciò significa che «ogni norma approvata per snellire la burocrazia ne ha portate con sé 4,3 capaci di riversare altra sabbia negli ingranaggi». Sono numeri contenuti nell’ultimo rapporto di Confartigianato.
FISCO DA GUINNESS. Nello studio c’è poi il solito capitolo dedicato alla pressione fiscale: quella sulle famiglie e i cittadini ha raggiunto il 44,6 per cento, «livello mai visto dal 1990; quella sulle imprese il 68,3 euro per cento». Ogni 100 euro guadagnati da un imprenditore, in pratica, 68,30 li incassa il fisco. A chi lavora e produce lavoro, invece, resta poco più di 31 euro. Tutto questo mentre in Germania la pressione fiscale sulle imprese è pari al 46,8 per cento, in Spagna del 38,7 e nel Regno Unito del 35,5 per cento.
QUANTO COSTA LAVORARE. Situazione analoga per le imposte sul lavoro che sono pari, in Italia, mediamente al 42,3 per cento, 4,6 punti sopra la media dell’Eurozona; dove, peraltro, le tasse sul lavoro sono calate di un punto percentuale dal 1995, mentre da noi sono cresciute di 4,5 punti. Risultato? Il cuneo fiscale contributivo è salito al 47,6 per cento, contro una media Ocse del 35,6 per cento. Certo che l’Italia deve abbassare le tasse sul lavoro. E di molto.