Ieri, l’onorevole Pdl Renato Farina è intervenuto alla Camera nel dibattito sulle pene alternative. Ecco il testo del suo discorso.
Signor Presidente, il provvedimento che ci apprestiamo ancora a discutere nelle sue proposte emendative, è un provvedimento che ha gravi insufficienze, però, nella sua sostanza, è molto positivo. La misura delle pene alternative non è una questione che attiene alla sicurezza, ma semplicemente ci allinea alla civiltà dei Paesi europei. La situazione delle nostre carceri è tale, infatti, per cui l’articolo 27 della Costituzione, che prevede l’umanità delle pene, usa il verbo imperativo per dire che esse devono tendere alla rieducazione, ma è smentito clamorosamente nella vita quotidiana. Giustamente la magistratura è intervenuta per bloccare l’inquinamento nell’Ilva di Taranto per tutelare la salute della gente, ma mi chiedo come mai la magistratura non intervenga per chiudere queste carceri, che effettivamente uccidono le persone. Non me lo spiego. Il controllo di legalità sulle carceri non c’è. I giudici di sorveglianza dovrebbero visitare gli istituti penitenziari e controllare lo stato di detenzione e le celle. Allora, come è possibile che si tolleri la condizione di certi padiglioni di Poggioreale, dove ci sono celle in cui si sta ancora adesso in quindici, venti persone con un bagno solo, che generano inevitabilmente il formarsi di un branco con un capo branco, perché la logica della cattività è questa: aiuta le persone non a migliorare, ma a trasformarsi in animali, come ha studiato, peraltro, Lorenz.
Non c’è differenza tra comportamenti umani e comportamenti animali quando si è in situazioni di deprivazione della dignità, purtroppo, e noi questo dobbiamo farlo. Uno dei modi è quello delle pene alternative e del patto di fiducia reciproca tra chi ha commesso un reato e lo Stato, perché non lo ricommetta più.
Mi limito a dire che questo non è frutto del buonismo italiano, come purtroppo gli amici della Lega si ostinano a ripetere, perché, se facciamo i numeri dello stato delle pene alternative in Europa e negli Stati Uniti, possiamo osservare che il numero delle misure alternative in tutta l’Europa (Germania, Inghilterra, Francia, Spagna) è un multiplo del numero dei detenuti. In Italia è invece un sottomultiplo ed è una penosa eccezione in Europa. Anche negli Stati Uniti, ovviamente, questo rapporto è un multiplo.
Vogliamo essere un po’ precisi per informarci meglio sullo stato delle cose in Europa e in Italia. In Inghilterra il numero dei detenuti è 86 mila, il numero delle misure alternative – qualcuno vuole azzardare un numero? – è 234 mila. In Francia, il numero dei detenuti è 64.787 (meno che in Italia), il numero delle misure alternative è tre volte tanto: 173 mila. In Spagna il numero dei detenuti è 70 mila circa, il numero delle misure alternative è 204 mila, ossia tre volte tanto. Negli Stati Uniti d’America il numero dei detenuti è 2 milioni e 350 mila, il numero delle misure alternative – uno pensa che saranno meno di 2 milioni, invece no – è 4 milioni e 877 mila.
In Italia il numero dei detenuti è 66 mila. Attualmente, sapete quante sono le misure alternative? Sono 20 mila. Non c’è bisogno – credo – di spiegare che cosa sia un multiplo e che cosa sia un sottomultiplo, ma credo che bisogna anche mostrare il rapporto percentuale tra coloro che saranno dichiarati innocenti e che adesso patiscono una condizione comunque disumana e il numero dei carcerati complessivi.
So che a ripetere le cose diventano noiose e che, poi, i numeri escono dalle orecchie subito, però almeno l’odore di queste cose deve rimanere in noi. Il 42 per cento della popolazione carceraria totale in Italia non è stata condannata in via definitiva, cioè c’è la presunzione di non colpevolezza. Il 20 per cento della popolazione carceraria, cioè circa 14 mila persone, è ancora in attesa di giudizio.
In Italia, in questo momento, in carcere abbiamo 14 mila persone che non sono state neanche sottoposte a un grado di giudizio e – io sono disponibile a girare le carceri con quelli che hanno dei dubbi – si vada a vedere se sia sopportabile la condizione cui sono sottoposti. Purtroppo, su questi temi, sul tema del sovraffollamento di questo o quel carcere, si presentano numerose interrogazioni ed io personalmente ne ho presentate una trentina. Ebbene – io spero che il sottosegretario stia prendendo nota -, non ho mai ricevuto, in cinque anni, una sola risposta, né una risposta politica nei quattro anni precedenti, né una risposta tecnica in quest’ultimo anno. Mi domando come ciò sia possibile e a cosa serva lo strumento del sindacato ispettivo se ad esso non corrisponde una risposta di collaborazione, come recita la Costituzione, tra le istituzioni, cioè tra il Parlamento e il Governo. Lo domando molto umilmente.
Continuo con i numeri. Di questi 14 mila detenuti che oggi sono in attesa di giudizio, 7 mila (il 50 per cento), se facciamo ragionare la statistica, sarà dichiarato innocente alla fine dei tre gradi di giudizio, per cui 7 mila persone che adesso sono in carcere statisticamente stanno subendo una totale ingiustizia.
Non esiste questo tipo di rapporto tra detenuti in attesa di giudizio e assoluzioni finali se non in Italia. Sì, ci sono altri casi di detenuti in attesa di giudizio molto numerosi. Siamo stati di recente in Georgia con il Consiglio d’Europa e lì circa il 99,9 per cento ha la probabilità, quando è inquisito, di essere condannato, ma ciò accade perché lì non esiste il diritto di difesa. Da noi, invece, esiste purtroppo la pratica della punizione preventiva, dell’acconto sui debiti, fatti versare anche se questi debiti poi si dimostreranno inesistenti. È una pratica assolutamente infame e disumana.
Inoltre, vorrei anche rispondere all’osservazione secondo cui le forze dell’ordine vedrebbero male i provvedimenti alternativi al carcere. Io non ho questo tipo di polso della situazione, però so cosa dicono gli agenti di una forza dell’ordine molto importante, la polizia penitenziaria. Ebbene, la polizia penitenziaria è stanca di vigilare su carceri che sono ridotte a fattorie per animali. Gli agenti sono stanchi di questo sistema, perché abbrutisce anche l’essere costretti a vigilare su persone che vivono in condizioni di abbrutimento. Tutto questo non è sopportabile e, se le misure alternative riescono a rendere più dignitosa la vita nelle carceri, credo che possano contribuire anche alla sicurezza dei cittadini, perché una minore sofferenza ingiusta e gratuita nelle carceri non le trasforma in una specie di vivaio di piante carnivore, come sono adesso.
Personalmente sono d’accordo con le posizioni di Rita Bernardini e di Marco Pannella, insieme a pochi altri deputati – lo so – per l’amnistia, perché la ritengo in questo momento un dovere inderogabile. Noi non abbiamo accettato di discutere in Aula, a dieci anni dal discorso storico del Papa, su questi temi, salvo in una sala esterna, e lo ritengo un grave torto fatto non tanto alla memoria del Papa, che non ha bisogno di noi, quanto a noi stessi, specialmente dopo che il Ministro Severino coraggiosamente si era detta disponibile ad affrontare questo tema.
Allora, credo che, senza voler confondere la sostanza – perché l’amnistia è una cosa e le pene alternative sono un’altra, come ho dimostrato leggendo le cifre delle pene alternative in Europa -, pur tuttavia questo provvedimento si pone sulla scia di considerare le carceri non come un pianeta estraneo al pianeta Italia, ma come una parte integrante del territorio italiano, dove i deputati sono ammessi ad entrare senza autorizzazione perché quella è Italia, è un territorio italiano ove occorre vigilare perché la legalità sia mantenuta. E la legalità è qualche cosa che riguarda, sì, i cittadini onesti, ma riguarda innanzitutto gli assassini.
Credo che i diritti umani si misurino sui diritti umani che sono offerti a chi ha sbagliato e neanche vuole pentirsi. Questa è la nostra civiltà, questa è la tradizione di Cesare Beccaria da cui non dobbiamo discostarci. Io non dimentico che Cesare Beccaria era di Milano e che la grande tradizione illuministica, nata da Il Caffè, a Milano, da Beccaria e da Manzoni, ha, nella città di Milano e nella Lombardia, le sue più forti radici. Per cui, ritrovare la nostra identità e la nostra tradizione lombarde significa anche ritrovare questo, non ritrovare le pinze di chi ha torturato Mora alla Colonna Infame, ma quelle di chi ha guardato con pietà a tutto questo, sapendo che la barbarie genera barbarie. La situazione delle carceri oggi genera ulteriori barbarie e ulteriore insicurezza (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e di deputati del gruppo Partito Democratico).