Un po’ Bergman un po’ Springsteen
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Un manovale, dopo la morte del fratello, deve affrontare i fantasmi del passato.
Film clamoroso, uno dei migliori degli ultimi anni. L’intreccio è di quelli visti e stravisti in certo cinema: il tizio che torna dopo anni al suo paese, il passato che riaffiora, i drammi mai affrontati davvero. Ma Lonergan, che già una quindicina d’anni fa aveva diretto un film simile lanciando Mark Ruffalo, qui si supera: azzecca tutto il cast compreso un eccezionale Casey Affleck e poi centra il registro di una vicenda fatta di sogni spezzati e macerie da smaltire, in qualche modo.
Sembra un po’ Bergman, un po’ l’Allen drammatico e un po’ Il grande freddo. E i personaggi sembrano usciti dalle canzoni di Springsteen: gente in lotta con i propri sbagli e con ferite che sembrano non lasciare scampo. Ma c’è un’altra cosa che rende il film ancora più grande: la capacità di Lonergan di raccontare il dolore senza le parole, mostrando più che dicendo. Mostrando attraverso gli scenari invernali, il volto di Affleck, il rapporto contraddittorio con un nipote che pare l’ultimo appiglio per la vita.
Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan
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