Contenuto riservato agli abbonati

Teresa, che tiene insieme tutto e tutti e non ha nemmeno un nome

Di Fabio Cavallari
30 Maggio 2025
Senza una parola capace di riconoscerla, anche la dedizione più grande si consuma nell’invisibilità. E quando crollerà, non ci sarà modo nemmeno di dirci che cosa avremo perduto
Teresa
Immagine generata con l'intelligenza artificiale di OpenAi

«Mai come oggi la parola ha perduto ogni connotazione sostanziale, ed è divenuta esclusivamente uno strumento tecnico», scriveva Pietro Barcellona nel suo libro La parola perduta (Dedalo). Era il 2007. Sono passati diciotto anni. E quella parola, già allora smarrita, oggi è muta. Non si è solo impoverita. È stata addomesticata. Svuotata della sua forza generativa, ridotta a funzione. Abbiamo perso la parola. Non quella urlata. Non quella che arreda i dibattiti. Abbiamo perso la parola che sa toccare. Che sa ferire e guarire. La parola che nomina ciò che accade. Che riconosce. Perché se non sai più chiamare una cosa, non sai più nemmeno vederla.
Il dolore è diventato “disagio”. La solitudine “autonomia”. La fragilità “vulnerabilità sociale”. Parole che anestetizzano, trasformano la carne in funzione, la realtà in protocollo. Ma ciò che non sai più nominare, non sai più nemmeno curarlo.
Le parole ci guidano. Oppure ci perdono. E oggi le parole non ci guidano più. Ci proteggono. Ci giust...

Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno

Articoli correlati