Nisida: come cantava Bennato, è un’isola. Al largo di Napoli. Collegata alla terraferma da una sottile striscia di terra. Nota perché ospita un carcere minorile. Un carcere modello. Ci ho trascorso un’intera giornata. Insieme con i cinquanta giovani detenuti: quasi tutti ragazzi napoletani dai 16 ai 20 anni, le cinque ragazze sono quattro rom. Ho parlato con loro. Ho tenuto un corso di motivazione. Per aiutarli a capire cosa significhi avere successo nella vita. Il successo: la loro massima aspirazione. Che per loro si traduce in due parole: soldi e potere. Soldi, e tutto ciò che i soldi possono procurare: vestiti firmati, orologi Rolex, auto di lusso, case di lusso, donne vistose. Potere, e tutto ciò che il potere può procurare: rispetto, onore, leadership, fama.
Tutto ciò secondo la loro distorta visione delle cose. Ovviamente. Sono entrato nel carcere con una maglietta Armani, con scarpe da ginnastica Nike e con un orologio Swatch: niente di particolare, roba da poche decine di euro. Però loro l’hanno subito notato. E mi hanno chiesto quanto costano. Inoltre hanno notato che sono grande, grosso e palestrato. Così mi hanno trattato con rispetto. E hanno chiesto di fare le flessioni e il braccio di ferro con me. Probabilmente se fossi piccolo e mingherlino mi avrebbero trattato diversamente. Perché per loro la forza fisica, la prestanza fisica è un valore. Se sei forte puoi menare. E ti fai rispettare.
Ragazzi da strada, insomma. Che vengono da contesti difficili. Dal giro della mala. Della camorra. Chi è dentro per scippo. Chi per droga. Chi per rissa. Chi per omicidio. Ragazzi che giocano a fare i duri. Ma che, conoscendoli meglio, sono fragili. Deboli. Teneri. Ho fatto loro scrivere qual è la loro più grande paura. Le risposte: restare solo. Passare il resto della vita in galera. Deludere i genitori. Non rivedere più il proprio figlio. E il loro più grande sogno: per qualcuno è fare tanti soldi. E avere tante donne. Per altri è avere un lavoro per tutta la vita. Vivere serenamente. Avere una bella famiglia. Mettere al mondo figli. Trovare l’amore.
Alla domanda “Come ti giudichi?” molti hanno risposto “Un bravo ragazzo che ha fatto cazzate”; o “Un ragazzo sensibile che ha sbagliato. E che vuole ricominciare”. Ricominciare: Nisida è il posto giusto per farlo. E’ un carcere modello. Una cinquantina di ragazzi seguiti da altrettanti operatori ed educatori. I poliziotti sono in borghese. E sono amici dei ragazzi: ridono, scherzano, giocano con loro. Insegnano loro le regole. Che vengono rispettate. Le celle sono linde, ordinate: due ospiti per camera, con il bagno. Le tengono a posto loro, i ragazzi. Non sembrano celle di carcere, ma camere d’albergo.
Il direttore, Gianluca Guida, è un uomo illuminato. Che crede nel riscatto di chi ha sbagliato. Riempie la giornata dei ragazzi con numerose attività: lo sport, il teatro, il corso sub, la cura degli animali, quella dell’orto. E’ affiancato da un altro uomo speciale: Antonio Franco, fondatore dell’associazione Scugnizzi. E un aiuto importante è giunto da un’azienda che in sette anni ha conquistato il mondo. Conservando le sue radici napoletane. Si tratta della catena di ristoranti Fratelli La Bufala. Sono 120 tra Europa e America, e in forte crescita. Un successo straordinario. Ma i suoi leader, Geppy Marotta, Sandro Abeille e Paolo Aruta, sono rimasti persone semplici. Umili. Alla mano. Che non si sono montate la testa. Che vanno ancora in giro per Napoli con un motorino scassato. Che non sono legate ai soldi. E che usano i loro soldi per fare del bene. A Nisida hanno fondato una scuola per pizzaioli: così i ragazzi del carcere potranno, una volta usciti, lavorare onestamente. Sono stato a Nisida grazie a loro: a Geppy, Sandro e Paolo. Mi hanno chiesto di portare un po’ di motivazione ai giovani detenuti. Ma la vera motivazione l’hanno portata loro. All’idea di diventare pizzaioli i ragazzi erano entusiasti. Ed è l’entusiasmo per qualcosa di bello, di buono, di puro che ti fa cambiare vita.