
Nel recentissimo dibattito inerente il nuovo governo, è stato evidenziato il problema scuola e formazione professionale. È stato fatto in modo abbastanza generico, focalizzando gli interventi prevalentemente su apertura e/o chiusura, sulla necessità di un affronto innovatore, sul rapporto scuola/lavoro, dichiarando il problema assolutamente urgente. Tuttavia non sono mancate cadute culturali: tre interventi, parlando di scuola, hanno evidenziato che non si è, nella introduzione del designato presidente del consiglio, assolutamente citato il termine “scuola pubblica”, rimarcando così l’obiettivo statalistico dell’educazione e della formazione. Ciò detto evidenzia come c’è una forte insipienza culturale: chi ha parlato non ha considerato che “pubblica” è anche la scuola paritaria, quella scuola libera e diversa da quella statale ma operante nello sviluppo del “bene comune”. Nessuno ha avuto il coraggio di correggere il valore della contraddistingue la scuola tutta: cioè tutta pubblica perché a servizio della comunità.
I tempi continuano ad essere oscuri, e certamente per le scuole non statali assai problematiche.
Assolutamente confortante quanto detto recentemente da Don Villa a Tempi, e l’esempio da lui fatto circa le “guardie svizzere e la difesa a costo della vita dei suoi soldati”. Oggi, forse non basta dialogare – ahimè inascoltati – ma comunitariamente procedere ad una “mobilitazione generale”, non interessata solo da parte delle scuole paritarie e delle loro componenti – spesso indifferenti – ma dell’intera comunità cristiana che attui una “mobilitazione generale”. E ancora Don Villa ricorda l’editoriale studentesco (Milano Studenti del 1965). “Non basta più la libertà della resistenza, facciamo la resistenza per la libertà”. Giusta osservazione, ma la comunità cristiana è pronta, o meglio è disposta a questa mobilitazione. Va detto che spesso le motivazioni di una scuola libera cattolica non sono più appannaggio culturale di molti cristiani e di molte istituzioni che li aggregano (es. le Parrocchie). Non c’è più un discorso educativo scolastico. Non c’è più una passione educativa.
Forse non è inutile ripercorrere alcune convinzioni, che sono state e sono accantonate, e che albergano nella costatazione che l’uomo è protagonista della storia. E ciò è fatto innegabile.
La centralità della persona umana è principio essenziale che la comunità nazionale pone al centro della sua organizzazione, e, al tempo stesso, riconosce la priorità del singolo e delle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, rispetto alla sua stessa esistenza.
Su questo filone, si esprime l’impegno in promozione dell’educazione, della famiglia, della scuola.
Da qui la delusione circa le mancate risposte di una classe politica assente e indifferente, incapace di attendere alle giuste attese della comunità nazionale.
La riflessione è: che cosa sta particolarmente a cuore ai genitori e alle famiglie? In sintesi una risposta che accomuna tutto: ai genitori e alle famiglie sta particolarmente a cuore il principio della libertà di educazione, e la diffusione di una mentalità e di una prassi culturale, e soprattutto politica, che non solo rispetti tale principio, ma lo renda fecondo di opere e di frutti. La vera libertà della persona umana dipende in gran parte dalla sua educazione: per questo la libertà di educazione e di insegnamento è la condizione e la fonte di ogni altra libertà e quindi, fondamento di una società democratica. L’interesse all’educazione, ha origine con la nascita di un figlio e che accompagna ogni genitore, e non rappresenta affatto un fatto privato, bensì un fatto pubblico.
Il problema è quindi della massima importanza, giacché l’uomo nulla ha di più prezioso della libertà e nulla desidera di più che la perfezione della propria personalità. Quella libertà che motiva e sostiene la responsabilità: infatti la libertà coincide con la fedeltà ad un impegno che investe tutte le manifestazioni esistenziali dell’uomo. La libertà identificandosi con la responsabilità educativa, ne diviene la risposta esistenziale.
Ecco che allora, la priorità dell’impegno formativo ed educativo determina l’importanza della famiglia e della scuola. Sta loro a cuore il futuro, il tesoro di un patrimonio culturale, una formazione delle nuove leve giovanili: è una battaglia non di interesse corporativo – come qualcuno vorrebbe far credere – ma nell’interesse del Paese, della società di domani.
È la battaglia per una scuola libera: * attenta al bisogno della persona nel suo contesto familiare e sociale; * una esperienza viva in grado di opporsi, nel cuore dei giovani, all’invasione del nulla; * una scuola – e una cultura – che si fonda sulla libertà, non sullo Stato.
Questo comporta la necessità della libertà della scuola (statale e non statale che sia) e di una effettiva libertà di scelta educativa, la cui richiesta è quindi un traguardo ineludibile per il bene comune: non è una battaglia di parte e non può essere sacrificata per altre emergenze.
Purtroppo, nel nostro Paese, a fronte di conclamate aperture liberiste – e parziali elemosine in campo economico – prende sempre più piede un centralismo negli interventi di interesse sociale, tale da soffocare ogni tipo di problematiche della persona. Sembra moltiplicare le ostilità in ordine alla libertà di educazione. È necessario rispettare compiutamente il pluralismo delle istituzioni educative e formative, rispettando così quelle diversità tra istituzioni che sono la base di una società solidaristica.
Va quindi rispettato e attuato un sistema scolastico “libero”, e ciò può avvenire soltanto cambiando ottica. Quell’ottica che viene suggerita al nuovo governo e particolarmente al nuovo Ministro all’istruzione Patrizio Bianchi, e alle Ministre Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna, rispettivamente alle autonomie e alla coesione territoriale. È così che si aiuta la formazione delle nuove generazioni, aiutandole a capire che non c’è solo la diversità di “genere”, ma una diversità culturale a cui aderire o meno: questa è libertà
Il discorso sulla libertà della scuola non è riducibile soltanto all’aspetto giuridico, sul quale, peraltro, si insiste. Il discorso si apre a ragioni extra-giuridiche, messe in luce dalla crisi del sistema democratico e del mutamento epocale. Il passaggio ad una democrazia matura impone, oggi più che mai, una scuola di libertà. “Come si fa a resistere senza perdere il coraggio? Come si fa a non perdere la speranza? Ci vogliamo aiutare a uscire dallo stallo culturale e da un monismo educativo statuale?”
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