Tutti indignati per i Mondiali in Qatar, ma non chiamateli boicottaggi

Di Emmanuele Michela
10 Ottobre 2022
Le maglie senza scritte della Danimarca in segno di solidarietà vendute a 80 euro e le altre forme di protesta "soft" contro la Coppa del mondo a cui comunque andranno tutti. Anche la difesa dei diritti umani è marketing, nel calcio
Qatar Mondiali
A Doha, tifosi scattano selfie davanti al grande orologio che segna il conto alla rovescia verso il Mondiale del Qatar (foto Ansa)

Sono morte più di 6.500 persone – stima il Guardian – per realizzare gli stadi di Qatar 2022, ma a quasi un mese dall’inizio della manifestazione (20 novembre) ormai tutto fila liscio verso il calcio d’inizio. E il mezzo silenzio con cui il mondo del pallone vive l’attesa di questo evento è la radiografia perfetta di un settore che troppo ha barattato di sé, in nome dell’apparenza.

Le maglie a 80 euro della Danimarca in Qatar

Prendi la Danimarca, per esempio: settimana scorsa la Hummel, azienda che produce le divise della nazionale di Copenaghen, ha presentato le maglie con cui Kjaer e compagni giocheranno la Coppa del Mondo. La prima è tutta rossa, la seconda tutta bianca: niente inserti, loghi, sponsor, nomi sulle spalle o altro, in segno di protesta. «Non vogliamo essere visibili durante un torneo che a migliaia di persone è costato la vita», ha scritto l’azienda, con un Tweet ripreso da tutti i siti e giornali di informazione sportiva – della serie: cerca visibilità facendo credere che nulla te ne frega della visibilità.

Non bastasse ci sarà pure una terza maglia (quante nazionali hanno una terza maglia?), nera, «il colore del lutto», hanno specificato ancora i danesi, appena prima di metterle in vendita sul sito della Hummel al costo di 80 euro – le jersey valgono come capi di moda, ormai, pure quando hanno scopi nobili. Lecito chiedersi se davvero la nazionale avrà modo di indossarle tutte e tre nell’arco del torneo, ma forse l’obiettivo principale di quelle casacche non era poi quello.

Qatar, il boicottaggio sobrio di danesi e tedeschi

La scelta è quella della sobrietà come stile di boicottaggio. Non guasti i piani – diciamocelo: per boicottare bisognerebbe disertare del tutto la competizione, ma chi ha il coraggio di farlo? –, fai parlare di te e riesci ad essere pure glamour. Non bastasse, i danesi hanno fatto sapere che ci andranno giù pesanti con il Qatar, e per non arricchire ulteriormente il Paese del Golfo terranno a casa mogli e fidanzate: niente voli, niente alberghi, niente spese in più.

A Doha tremano, c’è da crederlo, un po’ come quando, lo scorso anno, la Germania scese in campo con le maglie che componevano la scritta “Human Rights” nel vittoria contro l’Islanda, primo passo dei tedeschi verso il mondiale tanto contestato: «Parlare oggi di boicottaggio – avrebbe poi detto il calciatore Toni Kroos – rischia di essere oramai inutile vista la prossimità della competizione e in più mi chiedo: sarebbe davvero servito? Non credo proprio. L’unica speranza è che parlarne oggi faccia in modo che in futuro chi organizza la Coppa del Mondo prenda in esame questi problemi e la situazione possa migliorare».

«Catastrofe umana e ambientale». Poi tutti in campo

Non se la passano poi tanto meglio i francesi: i sindaci delle più grandi città del Paese – Parigi e Marsiglia in testa – hanno deciso di cancellare la proiezione delle partite della Nazionale su maxischermi nelle piazze. Il motivo vero è quello economico: con i salti mortali che anche Oltralpe stanno facendo per il risparmio energetico, sarebbe ingiustificabile montare screen che costano migliaia di euro. A ciò si aggiunge però anche il boicottaggio “sobrio”, di una competizione che «è progressivamente diventata una catastrofe umana e ambientale – sono le parole di Benoit Payan, sindaco di Marsiglia –, incompatibile con i valori che ci aspettiamo promuova lo sport e in particolare il calcio».

In Belgio e Olanda, la scorsa primavera, alcuni tra i principali sponsor delle due nazionali – come Carrefour, GLS, Jupiler, ING – avevano annunciato la loro forma di boicottaggio “soft”: non avrebbero utilizzato i biglietti per le partite cui avevano diritto in qualità di sponsor, né avrebbero portato clienti in viaggio in Qatar, e – addirittura – non avrebbero usato immagini del Mondiale nelle loro campagne pubblicitarie.

Inglesi indignati. Fino a che non vinceranno

In Norvegia – tra le prime nazionali “sovversive”, a scendere in campo con una maglia che richiamava la difesa dei diritti umani – sono stati più democratici: a giugno 2021 i 368 delegati della Federazione calcistica norvegese sono stati chiamati al voto. Vogliamo andare ai Mondiali o no? A scuotere, mesi prima, il calcio di Oslo era stato il Tromso, club della massima serie categorico nelle dichiarazioni: «Non possiamo più stare seduti a veder gente morire in nome del calcio». Il boicottaggio, in ogni caso, non è stato approvato dai votanti, questo sebbene la nazionale di Haaland già all’epoca era ben lontana dalla qualificazione a Qatar 2022.

Insomma, tutto si muoverà nella sobrietà dell’apparire, più che dell’opporsi. Lo ha scritto qualche giorno fa pure il Guardian, ricordando la divisa dei danesi, le fasce arcobaleno che indosseranno molti capitani contro le discriminazioni sessuali, o il tifoso gay invitato dalla federazione tedesca a parlare di omosessualità all’ambasciatore qatarino. Gesti che «sono meglio di nulla, ma il tempo stringe per ogni tipo di azione che potrebbe lasciare un’eredità positiva da un Mondiale che non avrebbe mai dovuto essere assegnato a questa nazione. Il calcio è un gioco globale, e un torneo in Medio Oriente è auspicabile in linea di principio, ma non è questo il modo».

Poi cita un fondo, sostenuto da Amnesty International e da altre associazioni umanitarie, con il quale la Fifa dovrebbe ripagare i lavoratori migranti e le loro famiglie, danneggiate da questo Mondiale. «È il momento di smettere di pensare, e di agire». Il calcio passa in secondo piano, lasciano intendere. Li aspettiamo al primo passo falso della nazionale inglese.

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