Non faremo a tempo a vedere squadernato (se lo vedremo squadernato) prima del dopo elezioni il sistema di potere che ha tenuto in piedi un colosso dai piedi d’argilla come il Monte dei Paschi di Siena. Ma in un paese dove il caso Mps mette in fibrillazione l’intero sistema e ne conferma l’asse politico-economico “bancocentrico”, dove le quattro più importanti banche hanno strozzato il credito a famiglie e imprese, hanno “incagli” (cioè mancati pagamenti di rate, mutui, sconfino di conti correnti) per centinaia di miliardi mentre il patrimonio pubblico, quotato quanto l’intero debito italiano, resta immobilizzato per i veti delle corporazioni e dei “grandi mangioni” annidati nel cuore dello Stato, cosa è successo con l’Imu di Monti? È successo che, con voto decisivo di Pd e Udc (il Pdl ha votato contro), sono riusciti a tassare anche volontariato e no profit, cioè l’unica parte del sistema-paese che offre un po’ di ossigeno agli otto milioni di poveri italiani e fa risparmiare lo Stato, nell’ambito dell’istruzione, dell’assistenza, della solidarietà agli ultimi, decine di miliardi. La vera e scandalosa storia del balzello più odioso che c’è? Eccola.
Tutto comincia un anno fa esatto, febbraio 2012, con la modifica della normativa sulle esenzioni Imu, imposta dal governo Monti su indicazione europea con un emendamento all’articolo 91 del “decreto liberalizzazioni”. Con l’emendamento, in pratica, l’esecutivo introduce il concetto di “attività commerciali” a fare da spartiacque tra le imprese che sono tenute a pagare la tassa e quelle che ne sono esenti. Alle prime preoccupazioni su cosa si intenda per “attività commerciali” è il presidente del Consiglio a rispondere, garantendo davanti alla commissione Bilancio del Senato l’esclusione dell’imposta per le scuole dell’infanzia parrocchiali, purché siano statutariamente senza fini di lucro, paritarie e disposte ad accogliere gli alunni senza discriminazioni. Poi arriva il regolamento attuativo, che per i duri di comprendonio specifica che per ottenere l’esenzione Imu l’attività deve essere svolta «a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e tali da non coprire integralmente il costo effettivo del servizio». Dopo di che prende iniziativa il ministero delle Finanze – siamo a dicembre 2012 – con la risoluzione
1/DF/2012, secondo la quale le attività non caratterizzate da tariffe simboliche o a titolo gratuito sono chiamate a pagare l’Imu subito fin dal 2012, versando tutto entro il 17 dicembre. Per terminare l’anno ecco palesarsi, infine, la filosofia europea che sta dietro a tutto questo e che è solo la premessa di quello che ci aspetterà: «Quando le no profit operano sullo stesso mercato degli attori commerciali dobbiamo essere sicuri che non beneficino di vantaggi non dovuti», esterna il commissario europeo alla Concorrenza Joaquin Almunia.
In barba alla riforma Berlinguer
Era giusto fare chiarezza sulle esenzioni dall’Imu, perché dal 1992, anno in cui fu inventata l’Ici e in cui furono inserite le esenzioni, qualcuno ha approfittato della non univocità delle interpretazioni. Ma dalla correzione di una norma alla sua abolizione ne passa. Fin dall’inizio di questa disputa, un fronte di parlamentari – i pidiellini Maurizio Lupi e Gabriele Toccafondi in testa – denuncia che il regolamento in elaborazione a Palazzo Chigi rischia di appioppare l’Imu a opere di pura carità che se va bene arrivano a pareggiare i conti, opere che contibuiscono al bene di tutti e senza le quali lo Stato dovrà sborsare cifre molto superiori agli introiti della nuova tassa per crearle e mantenerle.
Bisogna stabilire cosa si intenda per “attività commerciali”. Le imprese no profit, di volontariato possono essere ritenute “attività commerciali” perché usufruiscono di una convenzione o pagano chi ci lavora, possono richiedere anche una retta per coprire parte dei costi. Mense per i bisognosi, opere educative, centri per i giovani, per madri in difficoltà, per stranieri che non hanno un alloggio. Realtà nate magari da enti religiosi ma oggi spesso gestite da cooperative sociali, fondazioni, gruppi di volontari. Una mensa della Caritas che paga un cuoco part time svolge attività commerciale? Una scuola che deve assumere gli insegnanti è un’attività commerciale? Un centro per tossicodipendenti con educatori o una struttura per ragazze madri che gode di una convenzione con un Comune, ma anche un centro per la raccolta di generi alimentari da distribuire ai bisognosi che paga un affitto, sono tutti casi di attività commerciale?
La modifica introdotta dal governo nel decreto liberalizzazioni crea una situazione paradossale. E il paradosso si complica ulteriormente per le scuole non statali, scuole pubbliche a tutti gli effetti che per poter dichiararsi tali devono per legge essere attività commerciali. Se non lo sono, non possono aprire. Dal punto di vista fiscale le scuole sono considerate dallo Stato enti commerciali. E mentre una legge nazionale (legge Berlinguer) afferma che le scuole sono tutte “pubbliche” e si dividono in statali e non statali, ora un’altra legge minaccia di non far pagare l’Imu alle scuole statali e di farla pagare invece a quelle non statali. Eppure fanno la stessa identica cosa.
Con Lupi e Toccafondi, dunque, il Pdl si prende a cuore il problema da subito. «Il nostro emendamento – racconta il deputato fiorentino ricostruendo le fasi della battaglia cominciata nel febbraio scorso – non manteneva lo status quo, non volevamo salvare chi fa profitto e distribuisce utili nascondendosi dietro le “zone grigie” della legislazione. Proponevamo di esentare dall’Imu solo il no profit. L’emendamento prevedeva che al posto di “attività commerciali” fosse inserito “attività non lucrative”». Dopo mesi di discussioni, a fine ottobre l’emendamento viene discusso. E il 2 novembre viene approvato all’unanimità dalla commissione Bilancio della Camera, con parere favorevole del governo Monti.
E la famosa multa miliardaria?
Lunedì 5 novembre, però, l’esecutivo chiede il ritorno immediato della norma in commissione, pretendendo la modifica e il ripristino del testo base, ovvero del termine “attività commerciali”. Motivo? In caso contrario l’Europa, secondo i professori, avrebbe sanzionato l’Italia per miliardi di euro. «Nelle 36 ore seguenti quasi ininterrottamente abbiamo chiesto che ci venisse mostrata la sentenza europea di condanna nei confronti dell’Italia per l’aiuto illegale alle opere di carità e alle imprese no profit, con l’ipotetica sanzione miliardaria», ricorda Toccafondi. La domanda, però, cade nel vuoto e gli autori dell’emendamento non cedono alla richiesta di ritorno al “testo base”. Il 6 novembre la proposta del governo passa coi voti contrari di Pdl e Lega e quelli favorevoli di Udc e Pd.
È la già citata dichiarazione da Almunia a spiegare quale sia la “linea” europea che ha portato il governo Monti alla modifica della norma. Una linea che secondo Toccafondi «preoccupa non solo per la questione Imu, ma più in generale sugli aiuti diretti e indiretti che gli enti locali assegnano agli enti no profit. Il commissario non vuole che siano concessi “vantaggi indebiti” alle “no profit che operano sullo stesso mercato degli attori commerciali”. Ma le scuole paritarie stanno in un mercato dove ci sono i collegi privati. Perfino chi svolge attività di recupero con persone svantaggiate, disabili, minori con problemi, carcerati o ragazze madri, insegnando loro un mestiere, producendo in piccolo anche qualcosa, può a tutti gli effetti essere considerato all’interno di un “mercato”. Tutti i settori dell’assistenza e del recupero di per sé possono essere di “mercato”. Dobbiamo solo sperare che in Europa i concetti di “mercato” e di “attività commerciale” siano diversi dai nostri. Intanto però sappiamo che in Italia le imprese no profit pagano l’Imu. E chissà cosa accadrà alle altre forme di aiuto rivolte a questo mondo: detrazioni, regimi fiscali agevolati, contributi…».
Il parlamentare toscano ha in mente alcuni esempi concreti che «mi tornano in mente ogni volta che si tenta di far passare l’idea che non stia succedendo niente». A Firenze c’è un’opera nata dalla creatività cristiana del cardinale Giovanni Benelli, «una realtà storica – nella definizione di Toccafondi – che si occupa di adolescenti in situazioni personali e familiari difficili, ragazzi a rischio di comportamenti devianti, giovani che hanno fatto uso di droghe. I volontari li seguono a scuola, nel doposcuola, fanno corsi di formazione e soprattutto li ascoltano e combattono insieme a loro. Migliaia di ragazzi in questi anni sono diventati adulti grazie a questa realtà che può operare perché la curia fiorentina mette a disposizione una struttura». Struttura per la quale adesso i responsabili dell’opera devono sborsare una bella sommetta per pagare l’Imu. «Mi chiedono: “Come facciamo?”. A me sale un misto di orgoglio e rabbia. Orgoglio perché vedere quante cose belle ci siano nella storia di questo paese non può che rendere orgogliosi. Rabbia perché non è possibile che non ci si renda conto del danno che stiamo causando».
Un mutuo per saldare le imposte
Altro esempio. È, in sintesi, la medesima situazione in cui si ritrova attualmente qualunque scuola paritaria no profit d’Italia. Racconta Toccafondi: «Ho incontrato una fondazione che ha un bel fabbricato in cui si trovano un asilo nido paritario, una scuola dell’infanzia, una primaria, una secondaria di primo grado e di secondo grado (un liceo) con circa 600 alunni. Ebbene, la fondazione dovrebbe pagare di Imu circa 40 mila euro. Ma il presidente, conti alla mano, mi ha confessato: “Noi quei soldi non li paghiamo per il semplice motivo che non ce li abbiamo. Lo Stato è in arretrato di un anno con il contributo, mentre noi tutti i mesi dobbiamo pagare gli stipendi, la mensa, il riscaldamento, e tutto il resto”».
Poi c’è il caso di una parrocchia nel Trevigiano. «È guidata da don Carlo», spiega l’onorevole, «un prete combattivo che non si è voluto arrendere all’idea di lasciare vuoti i suoi immobili». Qui Toccafondi passa a elencare cosa fa don Carlo nella sua parrocchia e quanto deve pagare di Imu per ciascuna attività: «Stanza di 92 metri quadrati di proprietà dell’oratorio usata da un circolo: 458 euro di Imu. Casa alpina gestita dal circolo parrocchiale, usata per i campi scuola estivi e invernali ai cui partecipanti è chiesto un contributo di 100 euro a settimana: 1.902 euro di Imu. Salone polivalente usato da un’associazione per scopi ricreativi: 3.168 euro. Ex canonica di 22 stanze affittata a comunità religiosa che si occupa di accogliere i minori inviati dal Tribunale dei minori (unica struttura che genera profitti per 1.200 euro al mese): 869 euro di Imu. Scuola dell’infanzia: 7.114 euro». A Toccafondi don Carlo ha detto di aver pagato tutto, «anche se gli F24 sono stati saldati con denaro che la parrocchia non aveva, chiedendo un prestito alla banca». Solo la quota della scuola dell’infanzia non è stata pagata «perché la retta richiesta per consentire alle famiglie di iscriversi è solo un frazione dei costi sostenuti. Non permette neanche di portare il pareggio in bilancio, figurarsi di pagare l’Imu».
Non basta? Anche la Pubblica Assistenza Fratellanza Popolare di San Donnino, una Onlus di Campi Bisenzio (Fi), è finita sulle cronache di qualche giornale locale quando i suoi responsabili hanno deciso di raccontare la loro storia. Hanno pagato 11.414 euro di Imu per una sede composta da: centralino, camere in cui dormono i volontari, bagni, garage per i mezzi di soccorso. Anche l’attività sanitaria e socio-sanitaria svolta in quei locali, dunque, è ora considerata attività commerciale. «Per far fronte a questa spesa enorme non prevista – sottolinea Toccafondi – hanno dovuto rinunciare all’acquisto di un defibrillatore che avrebbe dovuto essere messo sull’ambulanza di emergenza. Soldi che i volontari avevano raccolto in un anno intero di attività e di iniziative».