Il sogno americano. Ecco cos’è riuscito a fare il ventitreenne Jeremy Lin, playmaker dei New York Knicks di origine taiwanesi e di fervente fede cristiana. Il fenomeno del coach Mike D’Antoni, subentrato a causa dell’ennesimo infortunio di un acciaccato Carmelo Anthony, ha trovato la propria strada sul parquet del Madison Square Garden, diventando in fretta titolare e l’idolo dei tifosi della Grande Mela. Il primo giocatore Nba laureatosi ad Harvard dal 1955, la leggenda di Lin, ha avuto il suo apice nella sfida contro i Los Angeles Lakers, dove ha sfidato Kobe Bryant, campione indiscusso della Nba, piazzando l’assurda cifra di 38 punti.
Mentre in America impazza la “Lin-sanity”, in Cina i giornali non partecipano con lo stesso entusiasmo. Nonostante l’Nba sia seguita da circa 300 mila persone, la storia di Lin sarebbe, secondo il China Daily, quella di «un buon giocatore, ma sensazionale solo perché cinese». E questo, per inverso, dimostra il razzismo americano. Il Global Daily, invece, incolpa Lin di «aver rinnegato le sue origini, e di essere un americano con la faccia da cinese» vendutosi alla fama. Nessuno è profeta in patria, ma a New York il giocatore continua a far sognare i Knicks. E, adesso, i playoff non sono più un’illusione.