(Aggiornamento. Si parla di oltre 100 morti negli scontri e 500 feriti. Gli insorti hanno fatto prigionieri una sessantina di poliziotti)
Ventisei persone sono rimaste uccise negli scontri di piazza in Ucraina. È il bilancio più grave da quando sono cominciate a novembre le proteste contro il governo di Viktor Yanukovich, che, poche settimane fa, sembrava aver raggiunto un accordo con l’opposizione guidata da Vitaly Klitchco. «La tensione è tornata altissima a causa del mancato accordo sulla riforma della Costituzione ma ho l’impressione che l’irrigidimento dell’ala dura della protesta sia anche colpa delle dichiarazioni dell’Unione Europea», afferma a tempi.it l’ex ambasciatore e giornalista Sergio Romano.
Romano, quali sono le responsabilità politiche dell’Unione Europea?
Fino a quando l’Unione Europea continuerà a fare dichiarazioni severe facendo pressione sul governo, l’ala dura della protesta le prenderà come scusa per tornare in piazza e creare un clima di ancora maggiore tensione. Temo che ci troviamo, con le dovute differenze di contesto, di fronte a una situazione simile a quella siriana.
Cosa intende?
La protesta che vediamo è composta da nuclei diversi e spesso non riconoscibili: noi non sappiamo bene chi siano le persone in piazza. Spesso le immagini parlano da sole però: ci sono persone che confezionano bombe molotov, milizie che appaiono organizzate e pronte a combattere.
Non è un movimento pacifico?
Sappiamo che nella protesta ci sono anche elementi del vecchio nazionalismo ucraino, che è anti-russo prima di tutto e che nella storia è emerso nel momento in cui ha goduto di un appoggio esterno. È successo così con l’occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale e anche durante la Prima guerra mondiale. Questo per dire che c’è molto di “vecchio” in questa protesta. Poi, certo, ci sono anche i ceti popolari in piazza che pensano che l’Ucraina starebbe meglio nell’Unione Europea, però dobbiamo fare attenzione: il giorno in cui questa battaglia fosse vinta, chi prenderebbe il potere? Chi avrebbe il controllo della piazza? Quale componente si imporrebbe sulle altre?
L’Unione Europea non vede questo rischio?
L’Europa si è sentita personalmente coinvolta, forse anche per risentimento visto che stava per concludere un accordo [commerciale di libero scambio] che è saltato all’ultimo momento. Ma anche questo accordo non è interesse di tutti i paesi membri: l’Italia, ad esempio, non mi sembra si sia schierata e non è il solo paese. Chi ha più interessi in questa faccenda sono gli stessi che hanno molto caldeggiato la rivoluzione del 2004: Polonia, Svezia e Lituania, che non vogliono vedere l’Ucraina gravitare nell’orbita russa. Ma questo è molto difficile da ottenere per Kiev.
La Russia può offrire di più?
Non parlo solo di ragioni economiche, ma anche di ragioni storiche. Noi ora parliamo di nazionalismo ucraino come se fosse un dato naturale, da riconoscere e favorire, ma per molti decenni essere ucraino ha voluto dire essere “diversamente russo”. In epoca sovietica l’ucraino non era distinguibile dal russo: l’intellettuale ucraino o la Tymošenko non parlavano ucraino, non lo conoscevano, l’hanno imparato dopo. Ucraini e russi erano cugini di primo grado.
Cosa si aspetta l’opposizione dall’Unione Europea?
L’opposizione dà per scontato qualcosa che io non penso l’Ue sia disposta a concedere: siamo certi che quando si porrà a Bruxelles il tema dell’adesione all’Ue dell’Ucraina, la si lascerà entrare? Io penso che allora le posizioni cambieranno. Del resto, non possiamo dimenticare che l’Ucraina, che oggi è uno Stato con le sue frontiere, comprende la Crimea che tradizionalmente non è ucraina ma russa: è stato un dono di Kruscev quando le frontiere non contavano niente perché si trattava di Stati federati dell’Unione Sovietica. Fu un gesto di generosità russa, che poi Yeltsin non reclamò indietro per non creare tensioni, chiedendo in cambio un accordo pluriennale per la base navale di Sebastopoli, poi rinnovato.
Fino a qualche settimana fa sembrava che la situazione potesse tornare alla normalità.
Era stato trovato un accordo: il governo offriva amnistia e liberazione dei prigionieri in cambio dell’evacuazione degli edifici governativi occupati. Su questo si era fatto un passo avanti. Ma alcuni gruppi volevano tornare in piazza e hanno preteso di più, cioè la riforma dello Stato. Ora, noi come Unione Europea vogliamo mettere bocca anche su questo? Vogliamo entrare nel merito e prendere posizione sul problema della Costituzione in Ucraina? Non penso.
Nelle ultime ore l’Ue ha avanzato l’ipotesi di imporre sanzioni all’Ucraina.
Non abbiamo già avuto sufficienti esperienze dei risultati che producono le sanzioni? L’Ue e la Ashton mi sembra che facciano fatica a rivedere la propria linea e vengano trascinati dagli avvenimenti, tanto che parlano ogni giorno. Fanno sempre una dichiarazione. Il desiderio di mostrarsi una potenza e un esempio in tema di rispetto dei diritti umani non deve obliare il fatto che le nostre prese di posizione potrebbero dare forza a una protesta di cui non conosciamo bene la composizione. Insomma, l’Ue dovrebbe essere meno ciarliera.
La Russia ha promesso a Kiev di investire 15 miliardi in titoli di Stato ucraini e di ridurre il prezzo del gas di un terzo. Offerte legittime?
Due di questi miliardi mi sembra che siano già stati investiti. Ad ogni modo, in politica internazionale il concetto di legittimità è molto difficile da applicare. La Russia ritiene che l’Ucraina non debba appartenere all’area di influenza europea perché teme che le frontiere dell’Ue si spostino ancora di più dentro l’area dell’ex Unione sovietica. Mosca percepisce come un’aggressione queste manifestazioni di incoraggiamento verso una sorta di secessione ucraina, anche se non in senso stretto. Come si vede, la situazione è molto complessa e noi la stiamo rendendo ancora più complicata.