Pubblichiamo le riflessioni del prof. Massimo Molteni, direttore sanitario e responsabile della ricerca in psicopatologia all’IRCCS Medea – La Nostra Famiglia sulla decisione della Suprema Corte di Giustizia Americana che ha revocato il divieto di vendere videogiochi violenti ai minorenni, precedentemente deciso da una legge dello Stato della California.
Ci ricordiamo cosa accadde nell’agosto 2008, in quello che fu chiamato lo “scandalo” del latte alla melamina? Alcuni produttori cinesi aggiunsero in maniera fraudolenta questo composto tossico per rendere qualitativamente migliore il latte che vendevano. La melamina ha una alta componente di azoto e, poiché la qualità del latte può essere misurata con un indicatore indiretto come la percentuale di composti azotati disciolti in esso, alcuni produttori hanno trovato questa soluzione economica e redditizia – per loro ovviamente – contando su controlli poco accurati.
Grande fu lo scandalo, tanto che le autorità cinesi condannarono a morte alcuni degli autori di questa fraudolenta sofisticazione alimentare. Quali danni causa la melamina? Curioso a dirsi, ma non ci sono prove della sua tossicità in acuto sull’uomo: ci sono solo studi negli animali che, lecitamente, possono aiutare a prevedere e ipotizzare effetti tossici sulla salute umana di questa sostanza. Nell’animale, la melamina può provocare calcolosi vescicale, specie se interagisce con l’acido cianurico, fino a creare un danno ai tubuli renali e sembra potere avere un effetto cancerogeno: nulla di simile è mai stato documentato nell’uomo.§
In questo caso, pur in assenza di prove causative certe, la sofisticazione alimentare e la relativa truffa fu vietata e sanzionata: lo sdegno popolare fu enorme, perché attentare, almeno in potenza, alla integrità dei bambini fu considerata una condotta degna della massima riprovazione. C’è da credere che nessuno avrebbe accettato di salvaguardare il diritto ad un lauto guadagno, di questo si trattava, bilanciandolo con una migliore informazione per gli acquirenti sul rischio connesso, ad esempio evidenziando sulle confezioni: “presenza di melamina nel latte”! Se un prodotto è potenzialmente tossico, non può essere commercializzato.
La recente sentenza della Suprema Corte di Giustizia Americana sui videogiochi violenti venduti ai minori ha affermato un principio diverso: poiché non ci sono prove causative certe che l’utilizzo dei videogiochi esplicitamente violenti provochino un aumento di aggressività e di comportamenti violenti nei bambini che li utilizzano e poiché tale divieto confligge con il diritto alla libertà di espressione e si configurerebbe come un potenziale abuso dello Stato nei confronti di quei genitori che ritengono accettabile che il loro figlio possa entrare in contatto con questa “tipologia di opinioni”, la Suprema Corte, con una maggioranza schiacciante, 7 vs 2, ha deciso di dare torto allo stato della California, abolendo la legge di divieto di vendita ai minori di videogiochi ad esplicito contenuto di violenza, approvata alcuni anni fa. Nei poll giornalistici su alcuni siti web americani, la maggioranza dei cittadini americani sembra favorevole a questa sentenza (62% vs 38%).
Nel 2010, il giro di affari delle aziende che commercializzano questi “prodotti”, considerati dalla Suprema Corte americana espressione della libertà di pensiero artistico e come tale tutelato dal primo emendamento della loro Costituzione, è stato pari a 18 miliardi di dollari. E’ nota da almeno un decennio la correlazione tra l’utilizzo di video-giochi violenti e le condotte aggressive e violente nei bambini e negli adolescenti: numerosi studi psicologici sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali, da diversi gruppi di ricerca, in maniera indipendente e con conclusioni sovrapponibili.
Queste ricerche hanno “misurato” l’aumento di reazioni violente e di comportamenti aggressivi nel periodo immediatamente successivo all’esposizione ai video-giochi, stabilendo una forte correlazione tra i due eventi e ipotizzando una possibile influenza sulle condotte violente anche nel tempo. La Suprema Corte americana ha ritenuto però che le prove non fossero tali da dimostrare una sicura relazione causale tra la sovra-esposizione mediatica e i comportamenti violenti assunti nella quotidianità: infatti misurare una “reazione comportamentale” in una situazione sperimentale controllata non determina di per sé “prova certa” circa l’esistenza di un nesso causale nel comportamento umano naturale. Altre ricerche e pubblicazioni scientifiche evidenziano una correlazione diretta tra la quantità di tempo passato davanti a video-giochi violenti e le condotte aggressive osservate in età evolutiva: dall’insieme dei dati in possesso della comunità scientifica è ragionevole credere che l’utilizzo di questi video-giochi sia perlomeno un fattore di rischio per lo sviluppo di comportamenti violenti e aggressivi.
L’American Academy of Pediatrics ha recentemente concluso (2009) che l’esposizione a diverse forme di violenza contenuti nei diversi media – videogames inclusi – può contribuire al “comportamento aggressivo”, a desensibilizzare dalla violenza, all’insorgenza di incubi e angosce profonde. Analoga posizione è stata assunta anche dalla Associazione Psicologi Americani: anzi, si sta facendo strada l’ipotesi che anche i video-giochi possano dare origine a qualche forma di “dipendenza”, non solo psicologica. Il rischio è quindi “ragionevolmente” probabile. A fronte di questa “ragionevole probabilità”, qual è il valore in gioco che apparentemente si contrappone? Secondo la Corte, la libertà di opinione. E’ dimostrabile con identica probabile ragionevolezza che la produzione dei videogiochi violenti sia soprattutto una “espressione artistica” di libertà di opinione?
Siamo inoltre così sicuri che queste nuove tecnologie, così realisticamente coinvolgenti anche sul piano emozionale, che attivano molte aree cerebrali con stimolazioni percettive dirette e con la diretta attivazione di aree pre-motorie e emozionali, abbiano lo stesso effetto dei racconti di favole? La strega di Hansel e Gretel è finita bruciata, ma l’immaginazione evocata dalle parole non sembra proprio avere le stesse conseguenze di una “simulazione incarnata”: i piloti hanno il simulatore di volo per apprendere comportamenti operativi utili in volo, non il racconto di un ipotetico viaggio aereo.
La bellezza e la semplicità di una teoria possono essere un indicatore di veridicità: in un recente articolo, Giorgio Israel, sempre molto attento alle questioni relative alla “buona scienza”, ha riproposto con vigore le ragioni di una “scienza non utilitaristica e empiristica”, citando Poincarè: “Lo scienziato non studia la natura perché è utile, ma perché ne prova piacere e ne prova piacere perché è bella. Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena studiarla e la vita non varrebbe la pena di essere vissuta». Affermare che gli schemi di comportamento che vengono acquisiti e poi agiti – sempre si intende con libertà – siano legati all’esperienza diretta effettuata e che tale influenza sia molto più forte durante le prime fasi dello sviluppo, appare idea “semplice”, vecchia di millenni, verosimilmente molto naturale, in grado, su base del tutto empirica, di strutturare addirittura un pensiero pedagogico e di convincere le istituzioni sia politiche che religiose a dedicare speciale attenzione alla formazione dei bambini e dei ragazzi.
Smembrare corpi umani, uccidere con accanimento sadico chiamando ad una partecipazione attiva il giocatore come appare in molti videogiochi, è “arte” o “scandalo”? Dare scandalo ai piccoli ha addirittura meritato la “macina al collo”, nella tradizione cristiana. L’idea che la bellezza di un comportamento altruistico possa scaturire dall’avere avuto modo di sperimentare simili comportamenti – vedendoli, facendosi coinvolgere emotivamente, vivendoli attraverso l’esempio tangibile – e che tale esperienza favorisca il costituirsi di tracce mnestiche che ci servono da punti di repere per i futuri comportamenti possibili da attivare, appare di solida e immediata evidenza fenomenica, prima che oggetto di dimostrazione quantitativa neuro-scientifica.
Nel caso in questione, l’onere della prova della insussistenza di ogni dannosa influenza dei videogiochi violenti dovrebbe essere posta in capo a chi ritiene legittimo utilizzare la fragile influenzabilità dell’essere umano, specie dei più piccoli, per sviluppare la sua attività di profitto. Il profitto è naturale finalità della intraprendenza umana: può essere perseguito a discapito di ciò che è vero e giusto? E la libertà di crescita, il più possibile non influenzata da manipolazioni esterne indotte dalla tecnologia utilizzata a fini utilitaristici, anche contro e oltre la possibilità di controllo dei genitori, è verità rispettosa della natura umana: non per costruire un mondo utopico dove tutto sia sotto il controllo “occhiuto” dello scienziato che stabilisce cosa debba essere il Bene e il Male, ma per evitare che gli utilitarismi derivanti dalla smania del guadagno forzino i sistemi “naturali” dove l’uomo è chiamato a crescere e operare.
In fondo, essere dalla parte dei bambini, è un modo di verificare se si è dalla parte dell’Uomo, o se ci si accontenta di essere dalla parte del Potere Economico. La Suprema Corte Americana, pur nella sua articolata e per nulla banale motivazione, in nome di una Idea di Libertà, ha finito con lo stare, inevitabilmente, dalla parte del potere economico: la libertà non è un costrutto teorico “filosofico” assoluto, ma è la espressione “incarnata” più elevata della persona umana, che si sviluppa giorno dopo giorno, attraverso la concreta esperienza quotidiana, purchè questa non sia artatamente manipolata in maniera anche occulta e non sia “violato” il nostro apparato cerebrale e mentale.
Riportare alla umanità, ossia alla libertà, i bambini-soldato, allevati quotidianamente nella violenza, è operazione non scontata: si può essere certi che una continua esperienza “simulata” di violenza efferata nel chiuso delle proprie stanze non produca danni simili nella mente e nel cervello dei nostri bambini? Sembra una provocazione, ma, evidenze alla mano, il latte alla melamina è meno “tossico” delle immagini di violenza inaudita ed efferata cui tutti, bambini compresi, siamo “gratuitamente” sottoposti. Sempre che si concordi che i comportamenti violenti, almeno nei ragazzi, siano l’espressione di uno sviluppo “potenzialmente negativo”. Qualche commentatore, anche in Italia, ha parlato di vittoria della Libertà. Già, ma di quale “idea di libertà”?