Studia da vent’anni gli sviluppi semantici della governance mondiale, ha monitorato le conferenze Onu del Cairo e di Pechino, dove fu imposta l’agenda dei diritti “gender” nelle normative internazionali. Ha scritto numerosi libri e centinaia di relazioni sul linguaggio postmoderno e sulla rivoluzione antropologica globale. Marguerite Peeters, fra le più autorevoli intellettuali cattoliche, nata negli Stati Uniti, professoressa presso università europee e africane, direttrice a Bruxelles dell’Istituto per la dinamica del dialogo interculturale, spiega a tempi.it: «Il linguaggio è uno dei maggiori veicoli della rivoluzione culturale globale cominciata nel 1989. La lingua che parliamo oggi è identica in tutto il mondo, dal Cairo a Washington, ed esprime un’etica precisa, imposta al popolo attraverso il diritto». Chi ci salverà? «Un uomo cristiano che non starà a guardare. Occorre discernere i segni dei tempi, perché è giunto il momento della riconciliazione, fra l’autorità e l’amore, fra la verità e la carità». Peeters parlerà domani presso il centro pastorale Paolo VI di Brescia in occasione del convegno intitolato: «La famiglia, nuova periferia esistenziale?»
Professoressa, lei sostiene che la post modernità ha iniziato ad imporsi globalmente solo dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, quando molti intellettuali cominciarono ad accettare un sistema di valori e un linguaggio nuovi, senza preoccuparsi di conoscerne l’origine e il significato. Pochi reagirono e chi lo fece mancò di una riflessione appropriata e quindi fallì. Che cosa accadde?
Dopo il Sessantotto c’era chi già lavorava per elaborare una nuova visione del mondo, ma i concetti alla base di questa visione si sono imposti solo dopo la caduta del muro di Berlino, grazie all’Onu e all’ignoranza della maggioranza che, pur non sapendo da dove venisse la nuova terminologia, non si preoccupò di scoprirne l’origine. Così oggi, ad esempio, si parla di “gender” o “global governance” senza sapere che cosa siano e che pericoli nascondano. Chi cercò di opporsi, invece, ebbe un atteggiamento reazionario, che voleva semplicisticamente restaurare il passato senza vagliarlo criticamente. Sono entrambe posizioni sbagliate, convissute anche dentro la Chiesa, che nella maggioranza dei casi seguì passivamente, senza fare lo sforzo di conoscere e discernere.
Abbiamo sostituito la parola felicità con qualità della vita, dall’autorità siamo passati all’autonomia, dalla famiglia alle famiglie, dalla sofferenza con dignità al diritto di morire, dall’identità culturale alla diversità culturale. Secondo lei questa “visione globale” è solo apparentemente neutrale. A cosa mirano i suoi fautori?
Gli impostori non sono i governi né i cittadini, ma gruppi di pressione con finalità molto specifiche. Prendiamo, ad esempio, il termine “gender”, sostituito a “sesso” e tutti gli altri termini relativi alla rivoluzione sessuale. Studiando la loro storia si vedrà che nascono negli anni Sessanta quando cominciò la rivoluzione sessuale femminista che agisce attraverso organizzazioni, lobby e ong molto potenti. I concetti elaborati dal pensiero femminista ora fanno parte del linguaggio dell’Onu e della “global governance”, che ha trasformato gli obiettivi di questa rivoluzione in norme politiche globali. Per fare un esempio cito un organismo molto potente come la International Planned Parenthood Federation che dagli anni Sessanta collabora con l’Onu in materia di natalità, riproduzione e diritti della donna, mentre le altre organizzazioni che operano nello stesso campo si sono piegate alla sua visione, in un regime di monopolio. Così, se durante la Guerra Fredda i governi non si preoccuparono di affrontare certi temi, ma solo della sicurezza, si ritrovarono poi a dover affrontare questioni importantissime come l’ambiente, la vita umana, i diritti universali, posti alla base della cooperazione internazionale, dovendo collaborare con queste ong come uniche interlocutrici.
È vero che le Nazioni Unite sono riuscite a imporre la propria agenda, ma va anche notato che essa riscuote un grande consenso. Come mai?
C’è sicuramente una fragilità che viene da lontano, da quando la secolarizzazione occidentale cammina mano nella mano con la rivoluzione culturale, accolta come liberazione dal fardello della fede ormai formale e da un autoritarismo diffuso. La ribellione avvenne tramite la rivoluzione sessuale, l’uso della contraccezione, il rifiuto della responsabilità e del fine dell’amore, che è la prole. Da qui l’aborto e quindi il divorzio, che hanno generato figli fragili, feriti nella loro identità. Perciò oggi vediamo una donna che ha perso il senso della sua femminilità e dell’accoglienza e che, divenuta aggressiva e ambiziosa, ha fatto allontanare gli uomini. Questi, separati dalla donna, hanno perso a loro volta le proprie peculiarità. Ecco perché il femminismo è intrinsecamente legato all’omosessualità: la ribellione, descritta dallo slogan del “corpo è mio e lo gestisco io”, ha ferito non solo le donne ma tutti, basti pensare all’aborto, le cui conseguenze le pagano anche i figli, gli uomini e gli amici che hanno collaborato all’omicidio. L’ideologia gender attecchisce prorpio perché trova un terreno fertile in questa confusione: una ferita identitaria, che ora è stata trasformata in norma da imporre globalmente. Basti pensare all’Italia dove il ministero delle Pari Opportunità ha richiesto la redazione di libri per le scuole in cui si piega che il dato biologico non ha nulla da dire alla sessualità di una persona.
La decostruzione operata dalla postmodernità comincia con la ribellione contro l’autorità e contro il dato, come un dono fatto da Dio all’uomo per realizzarsi. Da dove nasce questo sospetto?
Certamente la modernità occidentale ha abusato dell’autorità e ha vissuto un cristianesimo abitudinario, percepito come distante e inutile alla vita. Ci eravamo dimenticati che l’autorità per essere tale deve convivere con l’amore, infatti un padre che non ama non sarà mai un padre autorevole. Allo stesso modo ci siamo scordati che l’autorità delle istituzioni è reale se ricerca il bene comune e se è motivata dal servizio al popolo.
Da dove ricominciare?
Le femministe che fecero la rivoluzione posero un problema reale, ma non risposero adeguatamente. Dobbiamo farlo noi: il nostro compito è quello di riconciliare autorità e amore, perché non possiamo amare senza verità né affermare il vero senza amore. Questa riconciliazione necessaria e urgente non può assolutamente avvenire in modo intellettuale o moralistico, ma evangelizzando.
Cosa significa evangelizzare?
C’è bisogno più che mai della testimonianza, che oggi è indispensabile, ma nello stesso tempo c’è un grande lavoro da fare: non possiamo rinunciare a dire le cose come stanno; dobbiamo sforzarci di chiarirle, anche questo è un atto di carità. Ad esempio, un malato può capire che la parola compassione significa portare la sofferenza insieme a lui, e non invece ucciderlo con l’eutanasia, se qualcuno lo compatisce, ma noi siamo responsabili anche di illuminare la coscienza dei nostri fratelli uomini che sbagliano. Senza chiarificazione non c’è vera testimonianza né accoglienza: il vero testimone dell’amore e della verità non userà mai parole ambigue. Questo è un altro esempio di riconciliazione, di unione tra carità e verità, urgentissima.
Lei dice che il «nemico è invisibile». Che cosa significa?
Il nuovo nemico non ha armi consuete, ma sottili e invisibili e agisce senza spargimenti di sangue. Soprattutto è un nemico interno, non più esterno, sta dentro il linguaggio, dentro i diritti umani come dentro la Chiesa stessa. Una parola chiave del Papa è “discernimento”: educare al giudizio deve essere una nostra priorità. Ogni uomo ha questa capacità di vagliare, di distinguere bene da male, vero da falso, ciò che lo rende felice da ciò che lo porta nelle tenebre. Una persona educata e abituata a compiere questo discernimento si renderà conto di ciò che non va. Quando insegno, incontro molte persone che utilizzano la nuova terminologia globale senza essere del tutto in pace, come intuissero che in essa c’è qualcosa di sbagliato. Dobbiamo aiutarle ad usare la coscienza fino in fondo.
Questa nuova cultura globale ha investito anche il mondo cattolico, eppure lei ripete che siamo in un tempo della storia in cui abbiamo l’opportunità di discernere l’azione dello Spirito. Cosa intende?
La prima responsabilità di un cristiano è discernere i segni dei tempi, come ha sottolineato il Papa nella sua recente enciclica. La decostruzione operata dalla postmodernità ha degli aspetti molto positivi, come la distruzione dell’autoritarismo, del colonialismo e del formalismo, al tempo stesso si possono cogliere le aspirazioni globali a favore della solidarietà, del rispetto dell’ambiente o del valore dell’uguaglianza che se reinterpretati nel loro vero significato possono contribuire alla ricostruzione di una civiltà d’amore. È l’urgenza primaria della Chiesa: riflettere e leggere questi grandi cambiamenti, solo così si sprigionerà una nuova primavera, un campo di creatività e azioni positive. È un lavoro chiarificatorio che chiede ai cristiani di essere presenti.
In che senso?
Dobbiamo rifiutare questa ideologia, ma non solo. Questa rivoluzione deve correggere anche i nostri sbagli del passato, come l’autoritarismo o il formalismo appunto.
Come?
Ogni paese si deve inventare delle forme di resistenza e di proposte nuove secondo la sua cultura specifica. Credo, ad esempio, che il movimento della Manif Pour Tous abbia avuto un ruolo molto importante, è stato anche un segno oltre le frontiere francesi, ma questa prima forma necessaria ed eloquente ha bisogno di elaborare anche una visione di speranza. Occorre fare un lavoro culturale profondo per non rimanere a un livello superficiale che vanificherebbe gli sforzi.
Papa Francesco direbbe che occorre trovare nuove forme per evangelizzare in questo contesto.
Sì, la situazione odierna ci chiede una profonda conversione: o restiamo chiusi su noi stessi condannando il mondo oppure facciamo lo sforzo di uscire da noi stessi per incontrare l’altra persona come sofferente e bisognosa di luce. Chi non la pensa come me non va guardato come un nemico ma come un fratello da amare, affinché scopra la verità, da proporre interamente senza rinunciare alla sua radicalità che è quella della fede. Credo che lo Spirito stia chiedendo questo alla Chiesa. Se non comprendiamo la via dello Spirito non ci sarà altra strada per proseguire. Se non ci sforziamo di evangelizzare, testimoniando l’amore e dicendo sempre la verità, il piano della rivoluzione globale procederà.