Quello che Berlusconi non ha capito della Meloni. E del voto degli italiani

Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ieri in Senato durante l’elezione del presidente (foto Ansa)

Su Formiche Roberto Arditti scrive: «Ma sul piano politico il risultato è già raggiunto e chiude il primo tempo della partita. Resto del mondo – Meloni 2-1. Un gol per la Meloni, che elegge La Russa. Un primo gol per gli avversari che vedono dividersi la maggioranza alla prima occasione (e senza permettere loro di rimediare con il voto del pomeriggio) e un secondo gol perché riuscire (da minoranza) ad essere determinanti al primo giorno della legislatura è un record non da poco».

Quando Gianfranco Fini agì per destabilizzare Silvio Berlusconi, perse in prima istanza, ma preparò la via al governo Monti. La rottura provocata da Forza Italia invece è stata subito isolata. Perché? Si può spiegare tutto con qualche strapuntino che vorrebbe Matteo Renzi? Con una vendetta dei renziani restati nel Pd contro Enrichetto Lettino? In realtà dietro Fini c’era una Casa Bianca che considerava Berlusconi troppo amico di Vladimir Putin, mentre ora considera affidabile Giorgia Meloni e così, in tempi di guerra in Ucraina, gli “americani” di Italia viva e Pd si sono comportati di conseguenza. Quindi sul “resto del mondo” citato da Arditti, io andrei un po’ più cauto.

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Su Atlantico quotidiano Federico Punzi scrive: «La buona notizia arrivata ieri dal Senato è che Giorgia Meloni sembra consapevole della forte investitura popolare ricevuta e abbia tutta l’intenzione di farla pesare. Sicuramente nei confronti degli alleati, vedremo se anche nei confronti del Quirinale. L’enorme vantaggio che dovrebbe sfruttare sin da subito, infatti, che né i giallo-verdi né Lega e Forza Italia nel governo Draghi hanno avuto, è che nessuno oggi – né gli alleati né il Colle – si può permettere di presentarsi agli italiani e giustificare la mancata nascita di un governo Meloni, o una sua troppo precoce dipartita».

Non so se la Meloni si sia mossa sempre con la necessaria calma di una leader che deve tenere insieme la coalizione e contemporaneamente deve trasmettere l’autorevolezza di chi dovrà guidare la nazione in una fase difficile. Comunque è per lei vantaggioso che le grane scoppino subito, così da prendere immediatamente, se ci riuscirà, tutte le misure necessarie per affermare la sua capacità di comando.

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Su Startmag Francesco Damato scrive: «Al Senato, in apertura della diciannovesima legislatura, Silvio Berlusconi si è presa, ma al rovescio, tutta la scena. Partito col proposito di far mancare l’elezione di Ignazio La Russa a presidente ordinando, o facendo ordinare, l’astensione dei suoi per fargli mancare i 104 voti necessari, ma riservandosi il diritto personale di derogare all’ordine votando, non si sa bene però come, l’ex presidente del Consiglio si è trovato prigioniero della sua trappola. O del suo “teatrino”, come una volta lui stesso chiamava la politica fatta dagli altri disprezzandola».

Senza dubbio, dopo il voto su Ignazio La Russa, chi più dovrà riflettere sulle proprie prospettive è Silvio Berlusconi, che non ha ben compreso il momento che stiamo vivendo e ha pensato che si potesse riproporre quella politica un po’ pasticciata in tanti campi (per esempio sulla giustizia, sulla politica estera, sulla televisione) che spesso lo ha caratterizzato nella sua guida del governo. Oggi il vecchio patron di Mediaset deve riflettere meglio sulla situazione che si è aperta. A lui non è stato dato un voto (ottimo dopo tutte le scissioni che ha avuto Forza Italia) per correre da solo, ma per garantire una certa moderazione di tutto il centrodestra: è stato un voto alla carriera, non un invito a un neo protagonismo. Nella Meloni può trovare una partner per battaglie garantiste ma non pasticciate (vedi Carlo Nordio), per difendere una grande impresa italiana come Mediaset (vedi la politica “nazionale” di Fratelli d’Italia), ma non una galoppina che prenderà ordini.

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Su Scenari economici Leoniero Dartona scrive: «“Tutti devono seguire (la Fed) perché altrimenti la loro moneta viene [svalutata]”, ha detto Borrell a una platea di ambasciatori dell’Ue, secondo quanto riportato dal Financial Times. “Tutti corrono ad aumentare i tassi di interesse, questo ci porterà a una recessione mondiale”. Ovviamente le parole di Borrell sono state pesate, non dette a caso, con superficialità, e sono state accompagnare a un’accusa a tutte le parti di non aver assunto gli stessi altissimi standard etici che la Ue ritiene di dare al mondo, con un tono molto simile al “Fardello dell’Uomo Bianco” di epoca coloniale».

Borrell è critico verso la Fed. Bruno Le Maire denuncia gli Stati Uniti per il prezzo del loro Gnl, la Turchia prepara un hub del gas insieme alla Russia, l’Arabia Saudita risponde per le rime a Washington sul prezzo del petrolio, Emmanuel Macron è pronto ad accordi con Riyad su petrolio e difesa, e insieme sostiene che non vanno usate armi nucleari anche se Mosca lo farà in Ucraina. Vladimir Putin va sicuramente sconfitto per la sua inaccettabile aggressione all’Ucraina, ma siamo sicuri che il mondo troverà equilibri più stabili se si rinuncerà a politica e diplomazia?

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