«Il green pass non risolve il problema scuola. Dateci ciò che serve a tenerla aperta»

Rachele Furfaro, fondatrice a Napoli della scuola paritaria impresa sociale “Dalla parte dei bambini”: «In Italia abbiamo il vaccino ma restano le classi pollaio, trasporti affollati e nessun piano tamponi»

Una delle tante manifestazioni a Napoli contro la rinnovata chiusura delle scuole in Campania decisa a marzo scorso dal governatore De Luca (foto Ansa)

«Abbiamo il green pass ma le classi pollaio restano. Non abbiamo risolto il problema del trasporto scolastico. Non abbiamo un piano gratuito di tamponi periodici. Si è discusso e deciso come intervenire sul singolo docente che non si vaccina ma non di come intervenire sui settori cardine della possibilità di riaprire. Io sono d’accordo sul green pass. Ma è evidente che il green pass non può essere la soluzione al problema “scuola”. Non ferma i contagi e credo di parlare a nome dei tanti che come me si sono battuti e si batteranno sempre per le lezioni in presenza quando dico che la scuola non sta aperta con le certificazioni verdi. Vogliamo le scuole aperte? Ci vogliono spazi adeguati, distanziamento, separazione dei flussi di ragazzi e bambini dal trasporto giornaliero, dispositivi di protezione adeguati, tamponi (salivari per i più piccoli) gratuiti alle elementari dove non ci sono classi vaccinate. Non si può parlare solo di green pass».

Fatevi un giro nel sud Italia per capire la portata delle parole di Rachele Furfaro, fondatrice della scuola paritaria impresa sociale “Dalla parte dei bambini” e presidente della Fondazione dei Quartieri Spagnoli Foqus. Fatevi un giro in Campania e a Napoli. Da qui Furfaro, più volte intervistata da Tempi, aveva diretto un coraggioso appello al ministro Azzolina: «La soluzione non è tenere chiuse le scuole ma, semmai, tenerle aperte 24 ore su 24 e immaginare come farle funzionare». Funzionare: Furfaro c’era riuscita, con un modello di scuola attiva e “all’aperto” ispirata alle pratiche di Freinet (qui vi abbiamo raccontato come funziona) registrando zero contagi. Un modello che non era stato risparmiato dalle serrate calate dall’alto dalla Regione.

In Campania il 100 per cento del personale scolastico ha ricevuto almeno una dose, il 96,4 per cento è del tutto immunizzato, il 36,5 per cento dei ragazzi tra i 12 e 19 anni ha fatto e attende il richiamo. Ma il governatore De Luca insiste: «Bisogna vaccinarsi, almeno l’80 per cento, altrimenti noi le scuole non le apriamo. Non c’è nessun obbligo a vaccinarsi, ma neanche a tenere le scuole aperte». Non la preoccupa questo vincolare “di fatto” al green pass la scuola in presenza?
Comprendo la preoccupazione del governatore che pensa alla tenuta del sistema sanitario, ma non credo si debba arrivare a un braccio di ferro con la scuola e ad attribuire la responsabilità delle aperture o delle chiusure della scuola ai singoli e alle loro vaccinazioni. Con un anno e mezzo di pandemia alle spalle, oggi abbiamo il dovere e la possibilità di fare scelte informate e consapevoli: oggi sappiamo quanto costa e cosa comporta decidere di tenere una scuola aperta o chiusa non solo dal punto di vista sanitario. Non possiamo non tenere conto dei risultati disastrosi dei test Invalsi o fingere che il livello degli studenti italiani sia rimasto fermo al 5 marzo 2020 e che siamo precipitati ancora più in basso nella classifica Ocse-Pisa. Non possiamo analizzare i rischi del presente senza pensare che stiamo ipotecando il futuro di una generazione. È il momento di prendere decisioni sulla base non solo di problematiche sanitarie ma anche educative, sociali, di tenuta del patto con le famiglie e soprattutto della fragilità delle economie familiari. E farlo consultando non solo gli esperti, ma ampie rappresentanze di scuole e genitori. In questo senso credo il governatore non debba giocare sulla contrapposizione bensì sulla collaborazione tra istituzioni, scuola, docenti e famiglie.

Resta agli amministratori locali la possibilità di chiudere le scuole in zona arancione o rossa in caso di focolai. Per prevedere le chiusure solo in “casi eccezionali” il governo ha stanziato 200 milioni (che si aggiungono ai 70 previsti dal Sostegni bis) agli enti locali per interventi di edilizia scolastica, affitti e noleggi di nuovi spazi e aule. Servirà?
Veda lei, siamo ad agosto. Si riapre tra un mese, siamo in emergenza da un anno e mezzo. Nel Meridione poco è cambiato dal 5 marzo 2020: a cosa servono i fondi adesso per settembre, il green pass del maestro se i bambini delle elementari restano compressi in classi pollaio o se i ragazzi continuano a prendere mezzi sovraffollati? Io ricordo i molti suggerimenti dati dalle scuole alla politica un anno fa per organizzare scuolabus, separare ragazzi e bambini dai flussi dei trasporti normali. I mezzi sono pochi e non bastano. Il ministro dell’Istruzione decide a scopo cautelativo che per i docenti senza certificato è prevista la sospensione e perderanno lo stipendio: io andrei cauta, non solo perché si aprono temi di sopravvivenza economica e costituzionali, ma anche perché non possiamo far passare l’idea che la responsabilità di arginare i contagi, seppur simbolicamente, ricada sui docenti quando sappiamo benissimo che sono necessari e urgenti interventi su più fronti. Ripeto: spazi, trasporti, tamponi.

Il caso di Napoli e dei ragazzini sacrificati all’altare della Dad è finito su Le Monde, del suo modello di scuola “aperta” con zero contagi ha parlato anche la Bbc.
Il nostro modello non si improvvisa. Segue un percorso di formazione dei docenti e una modalità educativa che discende dalla filosofia della scuola attiva: per noi lo spazio ha funzione educativa, a ciascun ambiente la sua materia. Non si tratta di  “portare i bambini all’aperto”, creare un diversivo. Il nostro è un metodo scientifico dinamico, strutturato su uscite, attività extracurricolari e campi scuola che rende ogni spazio, il panettiere, la via del quartiere, il mare, il museo, uno spazio di educazione. Abbiamo affrontato la pandemia con l’autonomia, ben sapendo che ciò che funziona per le scuole del centro di Milano o di Bologna non funziona a Napoli o nei Quartieri Spagnoli dove per molti l’italiano resta una lingua straniera. Chi ha pensato che perché la scuola ci fosse bastasse accendere un pc non è mai stato qui e io credo nemmeno in tanta parte di periferie o scuole d’Italia frequentate da bambini in situazione di forte disagio sociale. Parlo di quartieri ad alta densità abitativa, inoccupazione, tassi di abbandono scolastico superiori al 30 per cento. Nei Quartieri Spagnoli si arriva al 31 per cento tra gli 8 e i 14 anni. Con costi per il paese inaccettabili. Per questo ribadisco quanto avevo scritto al ministro: noi con la didattica a distanza abbiamo perso il contatto con oltre l’80 per cento degli alunni.  Se vogliamo affrontare il problema scuola lo Stato si impegni a supportarla e lasciarla libera, rimuova «gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese», come da articolo 3 della Costituzione. Non può limitarsi alla presa in carico del singolo docente o bidello rispetto al suo obbligo vaccinale. Supporti la scuola permettendole davvero di restare aperta e di farsi carico di questi bambini.

A proposito di libertà, nel Sostegni bis è stato approvato un emendamento che vincola i finanziamenti alle scuole paritarie come la sua a una serie di obblighi di trasparenza da realizzarsi entro agosto.
Sono vent’anni che vengono trattate come di serie B scuole che appartengono al sistema di istruzione pubblica, che vivono già dentro a un percorso di regole e trasparenza, pena la perdita della parità scolastica e che sollevano lo Stato dai costi di milioni di studenti. Potremmo parlare ore del modello danese dove scuole libertarie statali lavorano di concerto alla qualità dell’istruzione dei suoi studenti. E farci qualche domanda se la Finlandia innalza l’obbligo scolastico a 18 anni mentre noi, nelle zone più fragili d’Italia, continuiamo a perderci i ragazzi a 13 anni, senza che nessuno se ne accorga.

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