Il Parlamento di Strasburgo si prepara all’invasione degli euroscettici

Alle elezioni di maggio oltre un quarto dei seggi dell'Europarlamento potrebbe essere assegnato a partiti intenzionati a stravolgere le attuali politiche di Bruxelles. Ecco chi sono e cosa riusciranno a fare

In Francia un ministro degli Interni socialista che fa prelevare dalla polizia una studentessa rom kosovara per espellerla dal paese insieme al resto della famiglia mentre è in gita scolastica e che non perde occasione per dichiarare che l’integrazione dei nomadi nella società francese è estremamente difficile e che la cosa migliore sarebbe che facessero ritorno nei paesi dell’Est europeo dai quali provengono. In Inghilterra un primo ministro conservatore a capo di un governo di coalizione che comprende i sinistrorsi liberaldemocratici il quale si propone di introdurre una legislazione in base a cui un cittadino di un paese dell’Unione Europea potrà avere accesso al mercato del lavoro di un altro paese membro solo quando il reddito pro capite della sua patria avrà superato una certa soglia, e nel frattempo introduce in fretta e furia una nuova legislazione che rende più difficile per gli immigrati accedere al welfare britannico. In Olanda un ministro degli Esteri laburista che organizza una conferenza multilaterale europea per cercare consenso su un progetto di riduzione delle competenze e delle norme dell’Unione e dei poteri della Commissione europea, a cominciare dalle quote rosa nei consigli di amministrazione delle società e dall’«omologazione forzata» in materia di assistenza e sicurezza sociale (leggi: eccessi di generosità in materia di congedi per maternità e di misure per gli immigrati).

Cosa succede ai rispettabili dirigenti dei rispettabili governi espressione del tradizionale establishment dei paesi dell’Unione Europea? No, Manuel Valls, David Cameron, Frans Timmermans e altri politici come loro della destra e della sinistra moderate europee non sono impazziti. È che hanno tutti lo stesso problema: all’approssimarsi delle elezioni per il Parlamento europeo previste per la fine di maggio, partiti euroscettici ed eurocritici stanno facendo razzia di voti nelle loro file, agitando i temi dell’immigrazione, della sovranità nazionale e della messa in discussione della partecipazione alle istituzioni comunitarie.

Contro le politiche di austerità
In Francia il Front National, fino a pochi anni fa esorcizzato come una minaccia alla democrazia, tale da spingere tutti i partiti della destra e della sinistra a una santa alleanza al secondo turno delle elezioni presidenziali per scongiurare la vittoria del suo leader Jean-Marie Le Pen (2002), oggi sotto la guida della figlia Marine si appresta secondo i sondaggi a diventare il partito più votato di Francia, col 24 per cento dei suffragi alle prossime elezioni europee. In Gran Bretagna l’Ukip, Partito per l’indipendenza del Regno Unito che meno di quattro anni fa aveva conquistato solo il 3 per cento dei voti alle elezioni politiche ed era considerato un partito da pub dotato di un programma fatto di un solo punto (l’uscita di Londra dall’Unione Europea), è accreditato di un 26 per cento alle europee che ne farebbe il secondo partito del paese davanti ai Conservatori del premier Cameron. In Olanda il Partito della Libertà di Geert Wilders non è più una sorpresa: nel 2009 il suo leader era un reprobo che le autorità britanniche dichiaravano “persona non gradita” e rispedivano in patria appena sceso dall’aereo che lo aveva portato a Londra, per timore che la sua islamofobia causasse problemi di ordine pubblico; l’anno dopo il partito conquistava il 15,5 per cento alle elezioni politiche con un programma che comprendeva lo stop all’immigrazione dai paesi musulmani e l’uscita dall’euro, e diventava determinante per la vita di un governo di centrodestra che appoggiava dall’esterno; successivamente il partito è sceso al 10 per cento, ma un sondaggio del 23 dicembre scorso gli dà addirittura il 27 per cento delle intenzioni di voto in vista delle europee, che lo farebbe essere primo partito olandese con quattro punti di vantaggio sui socialisti.

Altri partiti euroscettici o eurocritici che i sondaggi danno in gran forma sono l’Fpö, il Partito della libertà austriaco del defunto Jörg Haider, fino alla morte sospettato di criptonazismo, che tutti gli istituti danno fra il 25 e il 26 per cento delle preferenze, primo partito del paese davanti ai socialisti e ai popolari; in Ungheria gli ultranazionalisti antisemiti dello Jobbik, stimati al 17 per cento; in Italia il Movimento 5 Stelle che oscillerebbe fra il 20 e il 22 per cento; in Grecia i neonazisti di Alba Dorata, nonostante gli arresti per accuse di natura criminale dei loro massimi leader, sono costantemente sondati poco sopra il 10 per cento. Ad Atene è di casa anche il più forte partito eurocritico di sinistra radicale di tutta l’Europa: Syriza di Alexis Tsipras, che col 29-30 per cento delle intenzioni di voto pare superare di un’incollatura Nea Dimokratia (centrodestra) del premier Antonis Samaras. Il gruppo politico Sinistra unitaria europea-Sinistra verde nordica, al quale aderiscono vari partiti comunisti europei, la Linke tedesca, Izquierda Unida spagnola e il Sinn Féin nordirlandese, lo presenterà come candidato presidente della Commissione europea.

Tutto lascia presagire che il prossimo Parlamento europeo sarà affollato di deputati di partiti radicalmente ostili alle politiche di austerità degli ultimi cinque anni attribuite alle istituzioni comunitarie di Bruxelles, favorevoli all’uscita del loro paese dall’area dell’euro o addirittura all’abbandono dell’Unione Europea come tale. Nessun analista politico, però, ritiene che euroscettici ed eurocritici saranno in grado di bloccare i lavori del Parlamento o di fare approvare provvedimenti volti alla disintegrazione dell’Unione.

In Parlamento siederanno 766 eurodeputati e di questi gli eurocritici di destra e di sinistra dovrebbero essere al massimo 200, cioè un po’ più di un quarto del totale e circa il doppio di quanti erano nel Parlamento uscente. Restano pur sempre 550-560 seggi che andrebbero a popolari, socialdemocratici e liberali, i tre gruppi principali del Parlamento europeo. Già ora questi tre gruppi (che esprimono tutte le alte cariche europee: il presidente uscente della Commissione Barroso, il presidente del Consiglio Van Rompuy, il presidente del Parlamento Schultz) votano insieme i provvedimenti proposti al vaglio parlamentare nel 70 per cento dei casi. Il restante 30 per cento delle votazioni si risolve la metà delle volte con decisioni approvate da maggioranze di centrodestra formate da popolari, liberali e conservatori, e l’altra metà da maggioranze di sinistra formate da socialdemocratici, liberali e verdi. Quello che un’alta marea di deputati euroscettici al Parlamento europeo provocherà, sarà verosimilmente un serrate le file dei tre gruppi europeisti: la percentuale di votazioni che vedrà convergere il Partito popolare europeo, l’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici e l’Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa aumenterà. Le logiche di “grande coalizione” domineranno.

La frammentazione della destra
Gli euroscettici non peseranno in maniera determinante sui lavori del parlamento anche per un’altra ragione: diversamente dalla sinistra radicale, che è interamente riunita nel gruppo Sinistra unitaria europea di cui abbiamo parlato prima, gli antieuropeisti di destra sono da sempre frammentati. Nella legislatura uscente sono organizzati in due gruppi distinti, e cioè Conservatori e riformisti europei (Cre) ed Europa della libertà e della democrazia (Eld) più una forte presenza fra i non iscritti. Per creare un gruppo politico al Parlamento europeo sono necessari almeno 25 deputati in rappresentanza di almeno sette paesi. La destra radicale ha una lunga storia di gruppi che nascono e dopo poco muoiono o si trasformano. Il gruppo delle Destre europee, creato da Jean-Marie Le Pen nel 1984, andò in crisi per le tensioni fra l’Msi italiano e i Republikaner tedeschi sulla questione dell’Alto Adige. Nel 2007 il gruppo Identità, tradizione, sovranità è collassato per gli scontri fra gli ultranazionalisti di Grande Romania e Alessandra Mussolini, eletta nella lista di Alternativa sociale. Oggi troviamo gli euroscettici moderati nel Cre, che comprende i conservatori britannici, i polacchi del PiS (il partito dei gemelli Kaczinsky) e l’Ods dell’ex presidente ceco Vaclav Klaus; nell’Eld ci stanno la Lega Nord, l’Ukip britannico, i Veri finalndesi, il Partito popolare danese. Fra i non iscritti si incontrano grossi pesci come il Front National francese, il Partito della libertà olandese, l’Fpö austriaco, lo Jobbik ungherese, il Vlaams Belang belga (favorevole all’indipendenza delle Fiandre).

È probabile che nel prossimo Parlamento europeo si assisterà a una scomposizione e ricomposizione di questi gruppi, oppure al loro incremento da due a tre. A dare il via alle grandi manovre è stata Marine Le Pen, decisa a portare la sua formazione fuori dai non iscritti: la partecipazione a un gruppo significa più uffici, funzionari e interpreti a disposizione, partecipazione garantita in tutte le commissioni e più tempo di parola nei dibattiti parlamentari. Le Pen e Wilders, che da soli dovrebbero più che raddoppiare il numero dei loro eurodeputati che nel Parlamento uscente erano in tutto 7, si sono incontrati e hanno lanciato la creazione dell’Alleanza europea per la libertà, che oltre a loro dovrebbe raccogliere l’Fpö austriaco, il Vlaams Belang fiammingo, i Democratici svedesi, l’Alternativa per la Germania (che alle politiche tedesche ha preso il 4 per cento) e due formazioni strappate all’Eld: la Lega Nord e i lituani di Ordine e giustizia. Hanno rifiutato la proposta l’Ukip britannico, i popolari danesi e i Cinque stelle italiani, verso i quali pure la Le Pen aveva allungato le antenne. Sono stati tenuti fuori dal progetto perché troppo estremisti e antisemiti lo Jobbik ungherese, Alba dorata greca e i bulgari di Ataka.

Quale sarà la mossa della Merkel?
I fatti diranno se il nuovo gruppo euroscettico sarà più coeso di quelli che lo hanno preceduto: secondo uno studio britannico l’Eld, il gruppo al quale apparteneva la Lega Nord, risulta essere di gran lunga il meno compatto fra quelli dell’europarlamento. Solo nel 40 per cento delle votazioni i suoi 35 membri hanno votato tutti allo stesso modo. Negli altri gruppi il tasso di coesione nelle votazioni oscilla fra l’80 e il 95 per cento. Ma come si è detto, agli euroscettici non importa troppo influire sulle decisioni del Parlamento europeo: il vero obiettivo è prendere il potere nei loro paesi per attuare programmi che prevedono referendum per l’uscita dall’euro o dall’Unione Europea; la denuncia degli accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone; il blocco dei negoziati sull’accesso della Turchia alla Unione Europea. L’obiettivo di Marine Le Pen è diventare la prima donna presidente di Francia nel giro di dieci anni; quello di Geert Wilders di essere il prossimo capo del governo olandese.

Alcuni commentatori, come José Ignacio Torreblanca su El País, scrivono che gli euroscettici hanno vinto le elezioni europee e in un certo senso quelle nazionali prima ancora che si svolgano, per le ragioni già evocate: i governanti si stanno muovendo nella direzione degli antieuropeisti. Nel Regno Unito David Cameron si impegna a organizzare un referendum popolare che deliberi sull’appartenenza del paese all’Unione Europea, ovvero accede alla ventennale richiesta di Nigel Farage leader dell’Ukip; in Francia il governo socialista, allarmato dai sondaggi che danno il Front National come prima formazione politica, studia ogni ostruzionismo possibile per impedire l’entrata dei lavoratori di Romania e Bulgaria nel regime di totale apertura delle frontiere e dei mercati del lavoro. Adesso ci manca solo che Angela Merkel annunci l’uscita di Berlino dall’euro per mettere in fuorigioco gli euroscettici di Alternativa per la Germania.

@RodolfoCasadei

Exit mobile version