Solo nel mondo di Beppe Grillo la Cina «non pratica il dominio sugli altri»

Intervento di Xi Jinping al 20esimo congresso del Partito comunista trasmesso in diretta per le strade di Pechino Cina, 22 ottobre 2022 (foto Ansa)

Sul Blog di Beppe Grillo Fabio Massimo Parenti, foreign associate professor di Economia politica internazionale alla China Foreign Affairs University di Pechino, scrive: «La Cina ha dimostrato che è possibile svilupparsi senza praticare il dominio sugli altri, senza l’uso della forza e senza approfittare dei propri successi a svantaggio di altri. L’ascesa cinese è infatti rimasta pacifica, consentendo al paese di divenire una potenza mondiale sotto molti aspetti. Pace e sviluppo debbono essere patrimonio comune di tutta l’umanità. Su ciò la Cina potrà continuare a costruire un ampio consenso internazionale. Ad oggi il paese ha rapporti diplomatici stabili con 181 paesi del mondo ed ha stabilito 113 partnership con paesi e organizzazioni regionali, entrambi cresciuti negli ultimi 10 anni».

Xi Jingping, particolarmente dopo il 2011, ha abbandonato la linea denghista dello sviluppo senza egemonismo e ha adottato un atteggiamento sostanzialmente imperialistico, indubbiamente aiutato dagli errori della politica estera americana, che va oltre a quello tradizionale (lo storico comportamento cinese verso Xinjiang, Tibet e Taiwan). Le possibilità di manovra di uno Stato tecnologicamente poliziesco motivato nazionalisticamente sono rilevanti e solo un “foreign associate professor” all’università di Pechino può non rendersene conto.

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Su Formiche Domenico De Masi scrive: «Così stando le cose, la ricostruzione della sinistra non consiste, come vagheggia il Pd, nel recupero della sua egemonia sui 5 stelle e sui gruppi radicali. Né consiste nel costringere le tre formazioni in un unico contenitore, destinato fatalmente a scindersi ben presto, come dimostrano 230 anni di storia. Sta nella orgogliosa consapevolezza della propria specificità da parte di ciascuna delle tre formazioni, ognuna delle quali, procedendo parallelamente alle altre e confrontandosi continuamente con esse, deve approfondire per proprio conto la sua formazione culturale e deve riflettere a fondo sul modello di società postindustriale e socialdemocratica da proporre agli elettori».

Vi sono tanti sociologi capaci di leggere la politica (e dunque la storia) con qualità; ve ne sono altri invece che cercano di interpretare le dinamiche socio-politiche come se potessero determinarsi in un ambiente astratto dal quadro internazionale, e dunque non comprendono come la politica sia innanzi tutto politica estera e come la questione di fondo oggi sia quella del rapporto con la nuova influenza di Pechino.

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Sul Sussidiario Giulio Sapelli scrive: «Così non può non stupire che il cancelliere Scholz, nel divampare di una guerra che divide non solo l’Europa, decida di recarsi in Cina sotto la pressione dell’industria automobilistica tedesca mentre la transizione digitale ed elettrica rappresenta il pericolo di quella desertificazione ripresa dall’armamentario ideologo-geopolitico tedesco in funzione di quel capitalismo sino-teutonico che costituisce l’antemurale più benevolente per tutte le transizioni europee».

Dopo aver passato un decennio a lodare la politica di Angela Merkel, che con le sue scelte da bottegaia ha infilato l’Europa nei guai in cui si trova dopo l’aggressione russa all’Ucraina, forse oggi qualcuno sarà più attento ai rischi che una linea puramente mercantilistica della Germania di Olaf Scholz verso Pechino può far correre al Vecchio Continente.

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Su Huffington Post Italia Claudio Paudice scrive: «Il debutto ufficiale ai tavoli di Bruxelles avverrà giovedì ma la premier Giorgia Meloni sa già che molte delle sue richieste si scontreranno idealmente contro un muro a settecento chilometri di distanza: quello di Berlino. Il ministro tedesco delle Finanze, noto falco dell’austerity (altrui), Christian Lindner, ha inviato un doppio messaggio all’Italia. Ha ribadito il suo rifiuto a un nuovo intervento finanziario comune finanziato dalla Commissione per contrastare il caro energia, sulla falsariga di quanto già fatto dall’Unione Europea durante la pandemia».

Chissà se i nostri media mainstream, abituati a gridare al sovranista-populista contro chiunque invitasse a tener conto dei problemi dell’Unione Europea per quel che erano e della necessità di tener bene gli occhi aperti sui vari interessi nazionali, per mantenere viva la prospettiva di una “vera integrazione” continentale, sapranno fare i conti con i fatti che la dura realtà delle cose propone loro.

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