Scontro con Russia e Cina o negoziati? Le due linee degli Usa sulla guerra

L'Unione Europea non ha quasi voce in capitolo sul conflitto in Ucraina. Gli Stati Uniti di Biden vogliono combattere su due fronti, ma cresce la posizione "realista" di Kissinger

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, con l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger in una foto del 2009 (Ansa)

Anche se la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen dichiara che l’Unione Europea vuole che l’Ucraina vinca la sua guerra difensiva contro la Russia, l’Unione Europea non conta nulla nell’evoluzione del conflitto e nelle decisioni strategiche nei riguardi della Russia. A contare sono soltanto gli Stati Uniti: è lì che si decide la strategia dello scontro in corso. A Bruxelles si prende atto di quello che si decide a Washington e ci si adegua.

L’Unione Europea conta poco

L’Unione Europea ha stanziato 1,5 miliardi di euro di aiuti militari all’Ucraina, cifra equivalente agli 1,3 miliardi di sterline che la Gran Bretagna da sola ha approvato. Il pacchetto di 40 miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina che Biden ha fatto approvare dal Congresso contiene ben 20 miliardi di aiuti militari. Certo, ci sono anche gli aiuti militari bilaterali di paesi Ue, ma quelli sono appunto bilaterali, riflettono preoccupazioni e interessi nazionali, e infatti quelli della Polonia non sono paragonabili a quelli della Spagna, e così via.

La Ue non può approvare il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia comprendente l’embargo sul petrolio e in prospettiva sul gas, perché ciò azzopperebbe la ripresa economica post Covid dei grandi paesi industriali che ne fanno parte, e segretamente capi di governo e ministri di vari stati si compiacciono di poter far ricadere la responsabilità dello stallo sul primo ministro ungherese Viktor Orban. Infine Emmanuel Macron, capo di Stato del paese che esercita la presidenza di turno dell’Unione Europea fino alla fine di giugno e autore di innumerevoli scambi telefonici (soprattutto nei giorni delle presidenziali francesi) con Putin, ha cessato di chiamare il Cremlino quando ha capito che da quelle parti prendono in considerazione soltanto le posizioni degli Stati Uniti.

La posizione di Biden e quella di Kissinger

Negli Usa si possono ormai distinguere due posizioni per quanto riguarda la gestione del conflitto e più in generale la politica estera americana: quella incarnata dal presidente Joe Biden e quella espressa dal 99enne ex segretario di Stato Henry Kissinger. Non è stravagante mettere sullo stesso piano la posizione del capo di Stato in carica con quella di un anziano statista che non ha più poteri decisionali, quando si fa attenzione al fatto che contro il pacchetto di aiuti da 40 miliardi all’Ucraina hanno votato 11 senatori repubblicani e 57 congressisti. L’unanimità davanti all’aggressione russa dell’Ucraina è già venuta meno anche negli Usa e non solo in Europa.

La strategia di Biden è quella di andare allo scontro sia con la Russia (già fatto, con Putin che è caduto rovinosamente nella trappola delle provocazioni Nato) che con la Cina prima che si saldi l’alleanza fra questi due rivali degli Usa, e di attuare ciò attraverso grandi alleanze che permettano di ridurre i costi della sfida per gli Stati Uniti; i 32 paesi che insieme agli Usa forniscono armi e volontari all’Ucraina sono già un esempio di quello che Biden intende, mentre nel quadrante Asia-Pacifico si sta cercando di arrivare allo stesso risultato innervosendo la Cina in tutti i modi.

La provocazione di Biden su Taiwan

Il Quad che riunisce Usa, Giappone, Australia e India viene sempre più rappresentato come una “Nato indo-pacifica” in fieri; si riuniscono in questi giorni forum di cooperazione degli Usa coi paesi asiatici e dell’Oceania come l’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity che comprende 11 paesi della regione (Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malaysia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) ad esclusione della Cina; ci si dedica ad exploit retorici come la dichiarazione di Biden che gli Usa interverrebbero militarmente contro un’eventuale invasione cinese di Taiwan.

La natura provocatoria di quest’ultima mossa non sta tanto nel fatto che Biden abbia esplicitato l’intenzione americana di scontrarsi militarmente con le forze armate cinesi, ma che abbia detto che «È un impegno che ci siamo assunti». Non è così: i rapporti degli Usa con Taiwan dopo che Washington non riconosce più il suo governo come quello ufficiale della Cina (1979) sono regolati dal Taiwan Relations Act, che stabilisce che «gli Stati Uniti metteranno a disposizione di Taiwan strumenti e servizi di difesa nella quantità necessaria per consentire a Taiwan di mantenere una sufficiente capacità di autodifesa».

Inoltre la legge afferma che tale politica non può essere modificata unilateralmente dal presidente e che l’eventuale decisione di difendere Taiwan sarà presa con il consenso del Congresso. Biden ha insomma detto che la politica Usa su Taiwan non deve più essere quella stabilita ai tempi di Kissinger e di Jimmy Carter e da allora sempre in vigore, e che lui la cambierà.

Attenti alla relazione Russia-Cina

La posizione kissingeriana, esplicitata nell’intervento dell’ex segretario di Stato a Davos, si impernia su due convinzioni: che gli Stati Uniti non debbano lottare su due fronti, cioè contemporaneamente contro Cina e Russia, perché questo facilita il compattamento di un’alleanza fra i due competitor degli Usa anziché una divaricazione; che non è nell’interesse degli Usa avere un’Europa permanentemente destabilizzata da una guerra a bassa o ad alta intensità con la Russia su suolo europeo.

Come scrive Ambrose Evans-Pritchard sul Daily Telegraph, «ha detto al World Economic Forum che la Russia era stata una parte essenziale dell’Europa per 400 anni ed è stata il garante della struttura dell’equilibrio di potere europeo nei momenti critici. I leader europei non dovrebbero perdere di vista la relazione di lungo periodo (con la Russia, ndt), e nemmeno dovrebbero rischiare di spingere la Russia in una alleanza permanente con la Cina».

L’obiettivo americano secondo Kissinger

In buona sostanza, dice Kissinger, l’obiettivo americano non può essere quello di respingere i russi fuori dall’Ucraina e accogliere quest’ultima nella Nato (anzi: ha ripetuto la sua convinzione di otto anni fa secondo cui l’Ucraina dovrebbe diventare, come stato neutrale, un ponte fra l’Occidente e la Russia); e nemmeno gli obiettivi di dare una lezione alla Russia e indebolirla al punto che non possa e non voglia più attaccare un paese vicino come ha fatto con l’Ucraina e di provocare un cambio di regime a Mosca hanno senso, se non sono completati da una prospettiva strategica che assomigli più alla Conferenza di Vienna del 1815 che a quella della Conferenza di Parigi e del trattato di Versailles del 1919.

Si tratta cioè di associare la Russia, sconfitta sul campo di battaglia ucraino, a un nuovo, stabile e formalmente concordato sistema di sicurezza europeo (come fece l’austro-ungarico Metternich con la Francia napoleonica sconfitta), e non di punirla e umiliarla, creando così i presupposti per una destabilizzazione interna del gigante euro-asiatico che potrebbe innescare una spirale catastrofica per l’Europa, gli Usa e tutto il mondo (come fecero le potenze dell’Intesa a Versailles punendo esageratamente la Germania e così gettando i semi della Seconda Guerra mondiale). Secondo i kissingeriani gli interessi a lungo termine degli Usa si tutelano per questa via e non organizzando una “coalizione delle democrazie” da contrapporre a una “coalizione delle autarchie”. Questi sarebbero anche gli interessi a breve, medio e lungo termine dell’Europa, e bisognerebbe che lo capissero tutti.

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