La fulgente democrazia cinese raccontata dal Blog di Beppe Grillo

Una delle proteste spontanee scoppiate nei giorni scorsi in Cina contro i durissimi lockdown e le assurde regole anti Covid imposte dal regime di Xi Jinping, Pechino, 27 novembre 2022 (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia Giulia Belardelli scrive: «La visita di tre giorni del presidente cinese Xi Jinping alla corte del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman è destinata ad aprire una nuova fase nei rapporti tra la potenza economica globale e il gigante energetico del Golfo. L’obiettivo di entrambi è di rendere le relazioni tra Arabia Saudita e Cina sempre più strette sul piano commerciale, economico e militare: secondo l’agenzia di stampa saudita Spa, la delegazione cinese dovrebbe firmare accordi dal valore di 30 miliardi di dollari con Riad».

Ecco una notizia che spiega come definire una politica estera che sia atlanticamente ed europeisticamente liberaldemocratica in un mondo assai articolato, è particolarmente complicato. Non è un compito che possa essere assolto con il propagandismo retorico o con poteri essenzialmente tecnocratici.

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Sul Post si scrive: «Il 27 aprile 2015 l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni firmò quattro accordi di cooperazione internazionale con il suo corrispettivo cinese Wang Yi, fra cui un memorandum per pattugliamenti congiunti delle due polizie, che vennero poi presentati dal ministro dell’Interno Angelino Alfano l’anno successivo e iniziarono nel maggio 2016 a Roma e Milano, nell’ambito della “lotta al terrorismo, al crimine organizzato internazionale, all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani”. I pattugliamenti congiunti sono stati interrotti nel 2020, in corrispondenza delle misure di contenimento della pandemia da coronavirus. Secondo Safeguard Defenders quelle prime stazioni di polizia italiane diventarono un modello per la creazione di centri simili in altri paesi e nel corso del tempo iniziarono a svolgere operazioni illegali volte a “molestare, minacciare, intimidire e spingere al rientro in Cina particolari obiettivi”. Secondo Laura Hart, direttrice della campagna della Ong, il metodo prevederebbe “inizialmente telefonate, poi minacce ai parenti rimasti in Cina, infine l’impiego di agenti sotto copertura all’estero, che possono arrivare anche a pratiche di adescamento e rapimento”».

Dalla “polizia cinese” di Gentiloni alla “via della Seta” di Giuseppe Conte, la degradazione della democrazia avviata con il suo commissariamento da parte di Giorgio Napolitano a partire dal governo Monti in poi, ha reso permeabile il potere italiano a tutte le varie compagnie di ventura mobilitate da influenze straniere. Così Roma si è privata di una vera visione nazionale della politica estera, sostituendola con retoriche propagandistiche che hanno aperto varchi a un’influenza non tanto russa (il grandimperialismo moscovita può corrompere ma non attrarre) quanto cinese (la linea multilateralista e mercantilista della seconda potenza economia mondiale ha qualche chance anche “egemonica”, non solo corruttiva). Un governo finalmente scelto dagli elettori e non da intrighi di palazzo potrebbe contrastare ogni manovra egemonistica di Pechino e avviare un’azione in controtendenza soprattutto rispetto agli ultimi 11 anni. Ma il compito non sarà facilissimo.

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Sul Blog di Beppe Grillo Fabio Massimo Parenti, foreign associate professor di Economia politica internazionale alla China Foreign Affairs University di Pechino, scrive: «Le proteste della scorsa settimana, che ad oggi sembrano rientrate, hanno visto il coinvolgimento di un numero di persone molto contenuto (gruppi di centinaia di persone in diverse città). Nel contempo, la possibilità di un’ulteriore allargamento delle stesse sembra essere stata neutralizzata dai primi provvedimenti di allentamento delle misure di contenimento, già annunciati ed implementati da alcune autorità cittadine sulla scorta delle nuove indicazioni del governo centrale. “Le città che stanno aggiustando le proprie politiche includono Chengdu, Tianjin, Dalian, Shijiazhuang e Shenzhen”, scriveva il Gts pochi giorni fa. In generale possiamo asserire che mentre la maggioranza della popolazione sembra ancora accettare i sacrifici personali, sociali ed economici derivanti dal rispetto pieno di tutte le regole anti Covid – per motivi di sicurezza e responsabilità sociale – una parte crescente della popolazione, composta soprattutto da persone a basso reddito ma anche da piccoli imprenditori, sembra non tollerare più gli effetti negativi generati dalle restrizioni antipandemiche. Finalmente molti apprendono che in Cina si può protestare e manifestare liberamente grazie a un quadro normativo e legislativo affinato nel corso degli ultimi 20 anni. Codificato da una legge del 2005 su raduni e manifestazioni, e dal relativo regolamento applicativo, il diritto di manifestazione è ampiamente riconosciuto e tutelato in Cina. Lo stesso discorso vale per il potenziamento dei sindacati, di partito ed indipendenti, ed il correlato diritto di sciopero. Le proteste di questi giorni offrono dunque un’altra lezione a coloro che da decenni disconoscono l’intensa dialettica democratica tra autorità e popolazione in Cina».

Ricostruire una vera politica estera, naturalmente atlantista ed europeista ma anche consapevole e non retorica, non è – come scrivevo prima – affatto facile perché le “compagnie di ventura” ben strutturate e finanziate, come si può cogliere dalla citazione dell’articolo di Parenti qui riportata, sono assai vivaci e niente affatto isolate, come dimostrano i rapporti della “compagnia” filocinese Grillo&Conte non solo con posizioni radicali di sinistra come quelle di Maurizio Landini e Massimo D’Alema, ma anche con la Confindustria di Carlo Bonomi e con importanti ambienti cattolici a partire da Romano Prodi.

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Su Startmag Gianluca Zappa scrive: «Sta suscitando non pochi malumori, ai piani alti di Confindustria, l’ultima presa di posizione del sindacato interno al Sole 24 Ore di cui l’associazione degli industriali è principale azionista. Tutto nasce dal comunicato del comitato di redazione pubblicato oggi sul quotidiano diretto da Fabio Tamburini: documento col quale i rappresentanti sindacali dei giornalisti prendono le distanze dallo speciale Focus China uscito domenica scorsa. Si tratta di pagine sostanzialmente a pagamento, commissionate solitamente per fare pubblicità in una forma ibrida, i publiredazionali da sempre croce (per le redazioni) e delizia (per le aziende editoriali) nei giornali. Al di là dalle osservazioni di carattere professionale, gli industriali non solo evidenziano la bizzarra intenzione del comitato di redazione del quotidiano di voler spiegare cos’è la Cina ai lettori mettendo in evidenza la scarsa democrazia e la politica estera imperialista di Pechino, ma soprattutto si chiedono se i giornalisti del Sole 24 Ore siano a conoscenza del fatto che una buona fetta degli iscritti a Confindustria fa affari con industrie cinesi. E sparare addosso al Dragone non sembra proprio una strategia vincente, si mormora tra molti esponenti confindustriali dell’associazione presieduta da Carlo Bonomi in cui ha da sempre un certo peso Marco Tronchetti Provera che in Pirelli ha i cinesi proprio in casa, ossia in azienda. Tutto questo peraltro – si bisbiglia in viale dell’Astronomia, sede della confederazione degli industriali – dimenticando che quelle pagine ingrassano il fatturato. Non c’è dubbio che i publiredazionali siano distanti dal giornalismo puro e il direttore del quotidiano confindustriale, Fabio Tamburini, sta facendo i salti mortali per mantenere i giusti equilibri tra esigenze editoriali e obiettivi di bilancio. Gli ultimi dati dicono che in edicola sia in picchiata (come d’altronde quasi tutti i giornali, ma al Sole circolano numeri davvero preoccupanti sulle copie giornaliere vendute in edicola), ragion per cui nel 2023 dovranno proseguire ancora i tagli e i sacrifici».

Ecco un’analisi intelligente che usa un avvenimento particolare (le contestazioni del Cdr a un publiredazionale sulla Cina del Sole 24 Ore) per mettere in luce la mediocrità dell’attuale guida di una Confindustria priva di una visione nazionale che le permetta di fare i conti con la politica. È evidente che l’Italia rispetto a Pechino debba agire insieme con fermezza e con intelligenza, avendo presente l’orizzonte della sua fondamentale scelta liberaldemocratica occidentale, ma anche la difesa di un’importante area di export. Ci sarebbe bisogno in questo senso di una grande borghesia consapevole, capace di articolare il suo rapporto con la politica di fronte a questo scenario. Invece troppo spesso quel che si manifesta è un mediocre spirito burocratico teso a preservare oscure aree di potere, assai penetrabili da influenze straniere.

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