James Bond, Hitler, Greta cinese. Al circo della Cop26 non manca nessuno

La Conferenza sul clima di Glasgow è un mix di retorica stantia e ansia apocalittica. Alla fiera dell'ipocrisia non partecipano solo politici, attivisti e media, perfino i leader religiosi non resistono alla tentazione dell'iperbole sconclusionata

«Com’è bello sentirsi buoni», cantava Giorgio Gaber nel Potere dei più buoni. Un potere che è stato abusato senza ritegno a Glasgow, durante la Cop26, dagli oltre 100 leader mondiali convenuti, dalla stampa e dagli attivisti sempre a caccia di una foto e di una breve sui giornali. Quest’anno più di altri, però, i partecipanti alla Conferenza sul clima hanno messo in piedi un circo ambientalista, patetico e grottesco, come pochi se ne sono visti in passati.

James Bond e l’Apocalisse alla Cop26

L’asticella è stata fissata subito molto in alto dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che per non farsi impallinare dai giovani di FridaysForFuture e per mettersi al riparo dagli strali di Greta Thunberg, ha subito sciorinato l’intero repertorio catastrofista: «Siamo sull’orlo della catastrofe», ha esordito con lo stesso tono di Frankie il dinosauro. «Le sirene stanno suonando, il nostro pianeta ci sta parlando, dobbiamo ascoltare, agire e scegliere saggiamente. Stiamo andando verso la catastrofe climatica, ci stiamo scavando la tomba con le nostre mani: basta ucciderci con il carbonio, basta perforare e scavare, dobbiamo salvare l’umanità». Niente meno.

Guterres ha calcato la mano, ma poiché le stesse identiche frasi vengono ripetute allo stesso identico modo dagli anni Ottanta, ci ha pensato il padrone di casa, il premier britannico Boris Johnson, a rinnovare un po’ il repertorio della retorica. Traendo spunto da un idolo locale, James Bond, ha dichiarato che l’orologio collegato alla bomba climatica che distruggerà il mondo «corre in modo furioso» ed esploderà presto «se non faremo niente». Johnson ha ricevuto una salva di applausi e tutti i giornali del mondo hanno titolato: «Noi come James Bond contro il cambiamento climatico».

Il risultato sperato è stato ottenuto e Johnson, pur consapevole che una bomba atomica climatica sta per esplodere, ha preso l’inquinante aereo e non l’ecologico treno per tornarsene comodamente e ipocritamente a Londra. Gli attivisti l’hanno subito messo in croce e lui ha scoperto che neanche la retorica è più un pasto gratis.

Chi non fa nulla per il clima è come Hitler

Non solo i politici però si sono fatti prendere dall’ansia climatica. Una brusca retromarcia ha dovuto farla pure l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Fissate da buon aristotelico le premesse del suo sillogismo ambientalista – e cioè che in amore e in guerra tutto è concesso, e che quella contro i cambiamenti climatici è una guerra – ha dichiarato che chi non si impegna per fermare il cambiamento climatico fa un errore più grande di chi non fermò Hitler, permettendo così «un genocidio su una scala infinitamente più grande».

Come si può immaginare, la comunità ebraica si è infuriata accusando il primate anglicano di sminuire la tragedia dell’Olocausto, e così Welby ha dovuto chiedere perdono per l’iperbole eccessiva.

Joe Biden «riposa gli occhi»

Genocidio, estinzione, bomba atomica. Le bestie al circo della Cop26 di Glasgow, senza domatore, si sono sbizzarrite. E poiché vale tutto, Joe Biden non si è fatto sfuggire l’occasione per chiedere scusa per gli errori di Donald Trump (mai per i propri) e per sbandierare che gli Usa guideranno i salvatori del pianeta «dando il buon esempio». Peccato che mentre pronunciava queste parole a costo zero, il senatore Joe Manchin dichiarava alla stampa americana che potrebbe affossare la legge di Biden che contiene il pacchetto climatico con cui gli Usa dovrebbero dare il buon esempio al mondo. È possibile che alla fine il senatore democratico torni sui suoi passi e non faccia fare al suo presidente una figuraccia davanti al mondo intero, sicuramente però non mollerà la presa prima di aver limitato ampiamente l’efficacia ambientale del pacchetto proposto da Biden.

Come riportato sottovoce dal New York Times, il leader americano è anche nei guai per aver chiesto, poco prima di denunciare a Glasgow la «minaccia esistenziale» del cambiamento climatico, ai colossi dei combustibili fossili in patria di aumentare la produzione per limitare la crisi energetica. Un atteggiamento contraddittorio verso l’ambiente difficile da spiegare agli attivisti, al pari del corteo di oltre 80 inquinantissime auto di scorta con le quali ha girato per le vie di Roma durante il G20. Forse pensava profondamente a queste cose il presidente quando è stato sorpreso dalle telecamere ad ascoltare gli interventi alla Cop26 con gli occhi chiusi. Biden, interessatissimo al dibattito, pareva proprio tra le braccia di Morfeo ma forse, come scrive l’Associated Press, stava soltanto «riposando gli occhi».

Tutto cambierà, ma nel 2070

Durante una giornata convulsa, durante la quale l’ansia apocalittica e la retorica più sfrenata l’hanno fatta da padrone, è stato raggiunto un accordo sulla limitazione della deforestazione, ma non è chiaro perché i giornali esaltino un firmatario (Biden) e ne demoliscano un altro (Bolsonaro).

La notizia migliore per il clima alla fine è stata quella uscita dalla bocca del premier indiano Narendra Modi, che ha promesso: «Entro il 2070, l’India raggiungerà l’obiettivo della neutralità carbonica». Tra 49 anni, dunque, alla faccia del mantra «ora o mai più».

Un atteggiamento simile a quello della Cina, il più grande emettitore di CO2 al mondo, che ha snobbato l’evento. Xi Jinping ha preferito non uscire dal paese in tempi di pandemia, in compenso a far parlare del Dragone c’è Ou Hongyi, definita dalla Stampa la “Greta cinese”.

Ci mancava la “Greta cinese”

Parlando al quotidiano torinese Ou sembra confermare le peggiori battute e dicerie sui “fake” cinesi, soprattutto quando si rifiuta di criticare il suo paese sull’inquinamento:

«Non ci sono colpevoli e innocenti, soprattutto non ci sono innocenti. I paesi sviluppati spostano le industrie manifatturiere nei paesi in via di sviluppo per sfruttare la loro terra, l’acqua e l’aria, la natura e le vite umane che sono lì da centinaia di migliaia di anni. Questo è un nuovo colonialismo. Allora chi è il colpevole? Il problema è globale e riguarda tutti, non un singolo paese. Chi benefica della produzione industriale cinese? Non certo solo i cinesi».

L’attivista invita poi a «usare di più mani e cuore e meno il cervello» per risolvere l’Apocalisse climatica. Su questo fronte alla Cop26 di Glasgow, salvo poche eccezioni, non si è risparmiato nessuno.

@LeoneGrotti

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