Un voto emblematico di che, se non del fatto che Biden è l’uomo del Potere?

Ma quale alleanza multietnica, minoranze, poveri e immigrati. Dice niente che nella capitale dell'impero l'avversario di Trump abbia vinto con una percentuale di cui si vergognerebbe perfino Putin?

Cronache di mezzo lockdown / 6

Lascio ad altri, come il nostro magnifico Leone Grotti di ieri, il compito di approfondire ed eventualmente integrare le intelligenti e calme riflessioni di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, sul voto per le presidenziali Usa. A leggere bene, non c’è nulla di cui debbano andare entusiasti gli eventuali vincitori democrat. E detto da un autorevole membro di quella schiatta, il direttore di un complesso politico culturale industriale, mi pare onesto e notevole: Joe Biden non ha affatto vinto appellandosi al fronte “multietnico” (per esempio «negli ispanici permangono valori cattolici», ahinoi), Trump non ha affatto perso ma ha anzi ridisegnato il Partito repubblicano, ricostituito una realtà popolare che darà filo da torcere alla sinistra delle élite, ha rafforzato la presenza in Senato e la sua stessa esistenza in questi quattro anni da presidente, anche se ora probabilmente uscente, in un modo o nell’altro, in un segno di contraddizione e in una serie di strappi in seno alla convenzionale società americana, ha restituito vigore alla politica. E di conseguenza forza alla democrazia.

Mai tanti americani erano andati a votare per le presidenziali. Paradossalmente ci sono andati o hanno trasmesso il loro voto ai postini, nel pieno di una pandemia che vede gli Stati Uniti al vertice dei paesi più colpiti. Con quasi 10 milioni di contagiati e 240 mila morti. Credo sia il risultato più importante della presenza sulla scena politica del grande Donald. Come scrive esattamente Molinari (e dovremmo imparare noi in Italia dove da un ventennio la democrazia è sostanzialmente sospesa, trasferitasi in sbobba di quattro cani giustizialisti per strada):

«È stata la passione per la partecipazione al voto a imporsi sulla paura del Covid ed anche a tenere assieme una comunità nazionale che è profondamente lacerata sui valori».

Avessimo noi questa passione, non saremmo qui a vegetare sotto un establishment di morti che camminano, senza identità, volto, pensiero. Attaccati ai social come all’ossigeno.

Ciò detto, guardate questo screenshot.

Dice niente che nella capitale di tutto il potere politico economico e lobbistico degli Stati Uniti, Washington District of Columbia, Biden abbia vinto con una percentuale che perfino Putin si vergognerebbe di esibire?

Hanno vinto con il 92,6 per cento! E sarebbe un voto emblematico di che? Dell’alleanza multietnica, minoranze, poveri e immigrati? O piuttosto l’evidenza che Biden è l’uomo del Potere per eccellenza? L’uomo delle multinazionali, dei signori del complesso politico industriale militare, dei lobbisti della disponibilità degli esseri umani come chimere e consumatori di ormoni e farmaceutica. L’uomo degli investitori nelle cliniche della eutanasia, dell’aborto e della droga libera. L’uomo al comando con la sua vice Kamala Harris, la coppia presidenziale più anticattolica di ogni tempo (vedi articolo di First Things ripubblicato qui).

Scrivevamo prima delle elezioni che Trump è stato un grande presidente. Non ha fatto guerre, ha messo allo stesso tavolo di riconoscimento e di pace arabi e israeliani influenti. Risollevato l’economia. Agito con una radicale defiscalizzazione che ha favorito la crescita dell’occupazione e un aumento di quasi il 5 per cento dei redditi nel quartile di lavoratori dagli stipendi più bassi. Poi è arrivato il Covid in America come non è arrivato in maniera così devastante (o non ancora) da nessuna parte del mondo. Provocando ad oggi quasi 10 milioni di contagi e 240 mila morti. Eppure metà degli americani, il popolo, non lo ha abbandonato. Mentre tutto l’establishment e tutti i cagnolini intellettuali, hollywoodiani, New York Times provinciali, hanno cercato di farlo a pezzi con le accuse più subdole, calunnie, menzogne.

Adesso vediamo cosa farà questa vecchia conoscenza – essendone stato il vice – della peggiore presidenza (ancorché mitizzata ad usum circenses) nella storia degli Stati Uniti. Quella che ha fatto suicidare i popoli del Mediterraneo istigandoli alle “primavere arabe” per vendere loro le piattaforme digitali. Quella che ha attaccato a sangue l’alleanza uomo-donna e, sostengono i talebani, ha addirittura favorito la nascita dello Stato dei tagliagole e assassini seriali dell’Isis. Temiamo che in verità quel 92,6 per cento rilevi di ambienti che auspicherebbero una nuova fase di conflitti: con la Russia proseguendo sulla scia dell’Euromaidan in Ucraina; in Siria, di nuovo finanziando tagliagole e Turchia per liquidare Assad.

«Oggi noi trasferiamo il potere da Washington al popolo». Questo fu l’incipit del primo discorso da presidente degli Stati Uniti pronunciato da Donald Trump. Quattro anni dopo, ecco il simbolico 92,6 per cento di Washington D.C. a significare che il Potere si riprende ciò che un politico popolare gli aveva tolto. Resta il sostanziale risultato di parità. Nonostante il massiccio dispiegarsi di propaganda di establishment fino alle prime notizie di veri e propri brogli. Il Re è nudo. Povero Re. E povero anche il cavallo.

Foto Ansa

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