Non va dimenticato un certo ruolo stabilizzatore della Russia in diversi scenari

Il discorso di Vladimir Putin davanti al Cremlino durante le celebrazioni per il Giorno della vittoria, Mosca, 9 maggio 2022 (foto Ansa)

Sul Sussidiario Enzo Cannizzaro, ordinario di Diritto costituzionale nell’università di Roma La Sapienza, dice: «Il punto è che prima o poi, anche nell’ipotesi di una disfatta sul terreno delle forze russe, con la Russia occorrerà negoziare. E sembra difficile che un negoziato possa suggellare modifiche territoriali ottenute con l’uso della forza. Di conseguenza, cosa resta per un negoziato se non delle forme di garanzia affinché l’espansione economica, culturale e politica verso est non comporti anche un’emarginazione strategica?».

Kiev lotta contro l’aggressione della Russia, l’Occidente appoggia la resistenza dell’Ucraina con armi e sanzioni, gli Stati confinanti con la Russia non possono non fare stringenti scelte difensive di fronte all’aggressività di Mosca. Sono tutti comportamenti “necessari”. È indispensabile però che innanzi tutto a Washington, Berlino e Parigi non si agisca solo mossi dall’urgenza delle scelte immediate, e si indichi dunque una qualche strategia ragionando anche sul problema che pone Cannizzaro.

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Su Fanpage Tommaso Coluzzi scrive: «Draghi ha ribadito ai presenti – secondo quanto spiegano fonti di governo – che la pace sarà quella che vorranno gli ucraini, non imposta da fuori e che sia sostenibile nei prossimi anni. Tutti devono sedersi intorno a un tavolo, con l’Ucraina ovviamente presente e voce principale. Ma l’obiettivo è che ci siano anche Russia e Stati Uniti».

Significativo nel viaggio di Draghi a Washington è stato l’incontro supercordiale con la segreteria del Tesoro americano Janet Yellen, che in varie occasioni ha spiegato a Joe Biden come l’escalation nelle sanzioni alla fine danneggerà anche gli Stati Uniti.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Luca Volonté scrive: «Gli accordi internazionali che hanno stabilizzato la regione negli ultimi decenni sono esauriti, urge un piglio politico intelligente per aggiornarli e trovare nuove intese, ma la “politica” è assente a Bruxelles ed il rischio cresce. Gli “Accordi di Bruxelles” (prettamente amministrativo), sottoscritti da Serbia e Kosovo nel 2013, sotto gli auspici della Ue, non hanno più alcun valore e invece di lavorare per una nuova intesa, l’Europa latita e lascia soffiare sul fuoco ai briganti e avventurieri. Le tensioni sempre più accese tra Serbia e Kosovo, già fortemente aggravatesi dall’inizio dell’anno con le accuse rivolte dal presidente serbo Aleksander Vučić al governo di Pristina di mettere in atto una “sistematica pulizia etnica” verso i serbi e, di rimando le accuse kosovare verso Belgrado di destabilizzare la regione».

Nel suo libro I sonnambuli Christopher M. Clark racconta come all’inizio del Novecento si arrivò alla Prima Guerra mondiale, affrontando le crisi che si presentavano senza un’idea generale di come trovare un ordine mondiale del tipo di quello definito un secolo prima con il congresso di Vienna. Volonté ci aiuta a capire come oggi siamo di fronte non solo alla sciagurata invasione russa in Ucraina, ma anche alla crescita di un disordine mondiale che non si capisce bene come le potenze fondamentali vogliano affrontare.

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Sul Sussidiario Pietro Kuciukian, console onorario armeno in Italia, dice: «Con il rischio di una guerra nucleare, i conflitti locali, quelli che coinvolgono piccoli paesi e popolazioni non numerose, finiscono nel dimenticatoio. È il caso di Armenia e Azerbaigian, che solo due anni fa sono stati coinvolti in un conflitto che ha causato migliaia di morti. Adesso il presidente armeno ha annunciato la firma di un accordo di pace con l’Azerbaigian che ha fatto scattare furiose proteste popolari nel suo paese. Circa duecento manifestanti sono stati arrestati, le strade bloccate nella capitale Yerevan con accampamenti e barricate».

Accanto all’ingiustificabile aggressione all’Ucraina, c’è anche un certo ruolo stabilizzatore che Mosca gioca in diversi scenari.

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Su Tpi Enrico Mingori scrive: «Ma c’è anche un altro elemento da considerare quando si ragiona di come sganciarci dai metanodotti di Putin. E cioè che il mercato del gas, visto dall’attuale prospettiva italiana, sembra un labirinto nel quale tutte le strade portano a Mosca. Molti dei giacimenti africani ed eurasiatici che dovrebbero assicurarci l’indipendenza dalla Russia, infatti, sono gestiti da consorzi di imprese tra cui figurano le grandi partecipate di Stato ex sovietiche, come Rosneft e Gazprom».

La presenza russa in Africa suscita diverse comprensibili apprensioni, però spesso Mosca interviene quando francesi e americani non riescono a contrastare la crescita del jihadismo fondamentalista.

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Su Formiche Ferruccio Michelin scrive: «Un ruolo di primo piano ce l’ha l’Algeria, dove il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, è stato recentemente in visita. Algeri è un partner commerciale privilegiato e un alleato per la cooperazione militare di Mosca. Nel paese da cui l’Italia comprerà la più alta aliquota di gas naturale per staccarsi dalle forniture russe, Gazprom, Transneft e Stroytransgaz sono le tre corporate che hanno contratti in essere e in divenire con la controparte algerina Sonatrach».

Non manca qualche contraddizione nell’affermazione che Algeri ci aiuterà a isolare la Russia.

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Su Scenari economici Leoniero Dertona scrive: «La Cina ha invitato l’Argentina a partecipare ai vertici del 2022 dei Brics, il blocco economico libero che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Il primo passo prima di un accesso al blocco».

Colpisce la difficoltà di Washington a contenere l’influenza cinese (e dunque anche a isolare la Russia) in Sud America.

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Su Startmag Tino Oldani scrive: «Politico, giornale online di proprietà del gruppo Axel Springer, che ha sede a Berlino, ha fatto ciò che nessun altro media ha osato da quando la Russia di Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina: ha compilato la lista dei principali filo-Putin tedeschi (politici, imprenditori e intellettuali), e l’ha pubblicata sulla home page, con un titolo a dir poco sprezzante: “La sporca dozzina”. Al primo posto, come era da aspettarsi, c’è Angela Merkel, seguita dal presidente federale Frank-Walter Steinmeier e dall’ex cancelliere Gerhard Schröder. Tra i dodici filo-Putin, a sorpresa, viene indicato anche il filosofo Jürgen Habermas, 92 anni, da sempre pacifista, considerato il consigliere più influente del partito socialdemocratico, da decenni punto di riferimento obbligato per il mondo culturale tedesco ed europeo con simpatie a sinistra».

La battaglia culturale sul ruolo che la Germania dovrà giocare per costruire nuovi equilibri continentali e globali non è certamente finita, e andrebbe frenata in questo senso la tentazione di liquidare come ininfluenti intellettuali del calibro di Habermas.

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Su Affaritaliani si srive: «Le sanzioni verso la Russia riguardano “solo” 686 milioni di euro di vendite, cioè l’8,9 per cento dell’export italiano nel paese e l’1,5 per cento del totale delle nostre esportazioni. Ma le tensioni e le incertezze generate dall’invasione russa in Ucraina stanno disegnando un nuovo scenario globale con un impatto sull’attività economica difficilmente interpretabile e che si sta manifestando principalmente attraverso uno shock di offerta».

L’avvertimento della Yellen a Biden che l’escalation nelle sanzioni può far male all’economia degli Stati Uniti, così a occhio, potrebbe valere anche per l’Italia.

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Su Dagospia si scrive: «Ma l’ostacolo ai sogni contiani (e di Cottarelli) di resettare il Parlamento, si chiama Quirinale. Mattarella ha fatto sapere a più riprese ai suoi collaboratori che non permetterà l’anticipo di Finanziaria né tantomeno l’apertura anticipata delle urne a ottobre. Prima di tutto c’è una devastante guerra in ballo e far cadere il governo Draghi è da irresponsabili (eufemismo). E anche se entro l’estate si dovesse aprire un tavolo per la pace, c’è poi una gestione del dopo guerra che sarà di sicuro politicamente complessa. E l’ipotesi più ottimista degli analisti di geopolitica prevede il cessate il fuoco tra Russia e Ucraina al termine dell’anno».

Se sono vere le indiscrezioni che Dagospia riporta, è singolare che nello stesso giorno in cui Sergio Mattarella porge le sue congratulazioni a Emmanuel Macron per la sua elezione a presidente, spieghi come la guerra ci impedisca di andare a votare nonostante un Parlamento ormai evidentemente allo sbando. Mario Draghi fa spesso veri e propri miracoli, ma è in una situazione di mancanza di legittimità politica nella quale non solo l’autorevole Wall Strett Journal, ma anche uno Ian Bremmer qualunque lo può insultare e condizionare.

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