L’ultimo raid, centinaia di ostaggi nelle mani dei jihadisti. Oggi si prega per la Nigeria

Erano appena tornati a casa, nel Kukawa, dopo due anni da sfollati nei campi profughi. E sono caduti nelle mani dei terroristi dell'Iswap. La Chiesa fa appello al mondo e ai fedeli per salvare il paese stremato da Covid e dai massacri dei macellai islamisti

Avevano fatto appena ritorno dai campi profughi di Maiduguri, percorrendo 180 chilometri scortati da due convogli militari per tornare nel Kukawa, a casa, dopo quasi due anni di lontananza. Avevano viaggiato sicuri, i funzionari del Borno avevano garantito loro che la città era tornata ad essere un posto tranquillo, così, in milleduecento, il 2 di agosto si erano messi in cammino convinti di poter tornare a coltivare le proprie terre. Ottimismo e speranza durarono pochissimo. Nel pomeriggio di martedì 18 agosto il fragore di venti camionette che piombavano in città, a bordo gli jihadisti dell’Iswap, fazione di Boko Haram appoggiata dall’Is, ha precipitato i profughi nell’incubo vissuto due anni prima, nel novembre 2018 durante uno dei più sanguinosi attacchi nella regione. In molti hanno tentato la fuga mentre i terroristi assaltavano la base militare a difesa della città, a centinaia sono stati presi in ostaggio, «e non sappiamo cosa faranno di loro» ha spiegato a France24 un responsabile delle milizie locali, «mercoledì sono partiti i caccia da Maiduguri per affrontare la situazione», ha confermato all’Afp una fonte dei servizi di sicurezza nigeriani.

PROFUGHI, SFOLLATI E CRISTIANI MACELLATI

Sono circa due milioni i profughi del conflitto che da oltre un decennio insanguina la Nigeria, la maggior parte dei quali sfollati dalle terre dello stato del Borno. Molti si sono trasferiti in squallidi campi profughi sovraffollati a Maiduguri, dove 300 mila persone campano oggi solo grazie ai sussidi e alla beneficenza delle organizzazioni internazionali umanitarie, preoccupate dalle iniziative delle autorità governative che affermando di avere sconfitto i gruppi terroristi da circa due anni stanno incoraggiando gli sfollati a tornare a casa.

Se è vero che dal 2014 sono diminuite le occupazioni da parte degli islamisti in diverse città della regione del lago Ciad, è anche vero che in coincidenza dei “rimpatri” in cinque grandi città protette da soldati e trincee per cercare di respingere le incursioni, sono aumentati gli attacchi alle basi militari, ai lavoratori nei campi, ai seminaristi e in generale a tutta la popolazione cristiana, diventata carne da macello per portare avanti la jihad e richieste di riscatto. Secondo il rapporto pubblicato il 15 maggio dall’International Society for Civil Liberties and the Rule of Law (Intersociety, coraggiosa associazione nigeriana che dal 2008 si batte per promuovere le libertà civili, lo stato di diritto, la riforma della giustizia penale e il buon governo nel paese) dall’inizio del 2020, cioè in quattro mesi e mezzo, erano già 620 i cristiani macellati dagli jihadisti islamici: 470 ammazzati dai fulani, 140 in soli 45 giorni, e 150 giustiziati da Boko Haram, e «non meno di 32.000» sarà il bilancio dei cristiani fatti a pezzi dal 2009 alla fine del 2020. Vittime della persecuzione anticristana come il reverendo Lawan Andimi, guida locale della Christian Association of Nigeria (Can) o come il giovane seminarista Michael Nnadi. E si calcola che centinaia di fedeli si trovino ora nelle mani di Boko Haram, tra i quali giovani donne che non hanno voluto abiurare la fede cristiana, come Leah Sharibu e Grace Taku.

COVID E TERRORISTI, È CRISI UMANITARIA

L’attacco al Kukawa, ha commentato al Guardian Bulama Bukarti, esperto di estremismo e analista presso il Tony Blair Institute, «mina la credibilità del governo e rappresenta una grave battuta d’arresto degli sforzi per il reinsediamento di sfollati interni e rifugiati. Molti temevano che non fossero state messe in atto misure sufficienti per garantire la sicurezza e l’incolumità dei rimpatriati e questo assalto lo conferma». Insieme agli ostaggi si parla di cittadini uccisi mentre lavoravano nelle fattorie o raccoglievano erba da ardere. L’Iswap non è nuovo ai sequestri oceanici, è stato il gruppo a rapire le 100 studentesse a Dapchi (tutte liberate tranne la cristiana Leah Sharibu) o alla diffusione dei video delle sue esecuzioni, tra i più terribili quello dell’uccisione di Daciya Dalep universitario cristiano rapito il 9 gennaio mentre percorreva l’autostrada Damaturu-Maiduguri: ad ammazzarlo un bambino di 8 anni che armato di pistola dichiarava «non smetteremo di uccidere i cristiani».

La scorsa settimana le Nazioni Unite hanno denunciato l’aggravarsi della crisi umanitaria, esacerbata dalla pandemia: su 13 milioni di persone che vivono negli stati devastati dal conflitto, nelle regioni del Borno, Adamawa e Yobe, si calcola che 10,6 milioni avranno bisogno di assistenza umanitaria quest’anno, il 50 per cento in più rispetto allo scorso anno. 1,8 milioni restano ancora sfollati.

QUARANTA GIORNI DI PREGHIERA PER LA SALVEZZA

Oggi, 23 agosto, vescovi e comunità cristiane hanno indetto una giornata di preghiera ecumenica nazionale. In una nota a firma del segretario generale, Daramola Joseph Bade, i membri della dall’Associazione cristiana nigeriana (Can) hanno esortato le chiese del Paese a dedicare un quarto d’ora nell’arco di una giornata per «pregare Dio con una sola voce, affinché in Nigeria sia fatta la Sua volontà». Un’intenzione semplice per ricordare l’appello che papa Francesco aveva lanciato durante l’Angelus dell’Assunta, ricordando gli “attacchi terroristici” che da mesi insanguinano la Nigeria. Ieri, 22 agosto, i vescovi della Conferenza episcopale nigeriana, hanno anche iniziato i “40 giorni di preghiera per la salvezza del paese” che dureranno fino al 30 settembre invitando i fedeli a recitare quotidianamente a mezzogiorno, dopo la preghiera dell’Angelus, un Padre Nostro, tre Ave Maria ed un Gloria al Padre per implorare la fine dei massacri e della crisi.

Foto Ansa

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