«Vi imploro di fermare il genocidio del popolo dell’Artsakh»

L’appello del presidente della repubblica sotto assedio. Non ci sono cure e presto non ci sarà più cibo per migliaia di malati gravi, donne incinte, disabili, anziani e bambini. «La comunità internazionale non può più restare a guardare»

Un frame del video diffuso da Tempi che racconta i sette mesi di «catastrofe umanitaria» in Artsakh

«Vi prego di non dimenticare che l’Artsakh è attualmente l’unico territorio al mondo sotto assedio completo, dove anche la comunità internazionale non ha accesso. Non vi preoccupa il fatto che, dal punto di vista dei diritti umani, l’Artsakh non sia diventato una zona grigia ma un buco nero in cui possono verificarsi tutti i crimini immaginabili dalla civiltà umana? Non vi rendete conto che tale impunità internazionale e la concessione di un altro genocidio daranno luogo a nuovi crimini, forse anche contro i vostri stessi popoli? Pertanto, imploro e chiedo a tutti voi di agire prontamente e fermare questo genocidio in corso del popolo dell’Artsakh prima che diventi troppo tardi».

È solo una parte del lungo appello che l’8 agosto il presidente della Repubblica dell’Artsakh, Arayik Harutyunyan, ha inviato alla comunità internazionale affinché adotti misure urgenti per revocare l’assedio e impedire il genocidio del suo popolo.

«L’Azerbaigian sta trasformando l’Artsakh in un campo di concentramento»

Dopo le accuse durissime rivolte al regime di Baku e all’Europa – «L’Azerbaigian sta trasformando l’Artsakh in un campo di concentramento», «La comunità internazionale non può più restare a guardare mentre l’Azerbaigian porta avanti in modo meticoloso la sua politica, che altro non è se non un tentativo di pulizia etnica e genocidio ai danni del nostro popolo» -, Harutyunyan torna a richiedere con forza l’apertura del Corridoio di Lachin, l’unica strada che collega l’Artsakh e i suoi 120 mila abitanti all’Armenia e al resto del mondo. E, come già ribadito a Tempi, sottolinea che «la nostra posizione incrollabile è che affinché i negoziati abbiano luogo, è necessario innanzitutto garantire condizioni favorevoli ed eque. Successivamente, dovrebbe essere istituito un meccanismo internazionale con un relativo mandato internazionale per definire i criteri per il processo negoziale. Tali criteri dovrebbero basarsi sulle norme del diritto internazionale e della prassi internazionale. In caso contrario, non possono essere oggetto di discussione le proposte di avviare trattative con una parte che rimane impegnata nella sua intenzione criminale di distruggere l’altra parte con ogni mezzo, sia esso militare, economico o politico».

Per il presidente della Repubblica dell’Artsakh, mostrare inerzia o indifferenza in queste circostanze equivale nientemeno che condonare il crimine di genocidio; le sue richieste alla comunità internazionale, dalla Repubblica d’Armenia all’Onu, dall’incoerente Federazione Russa al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dalla Croce Rossa ai media, sono precise. In particolare all’Unione Europea viene richiesto l’utilizzo di tutti gli strumenti possibili «compresa l’imposizione di sanzioni, per intensificare la pressione sull’Azerbaigian» e di «rimanere fedeli ai valori e ai principi proclamati dall’Unione Europea, astenendosi in particolare dal dare priorità al partenariato energetico con l’Azerbaigian rispetto ai diritti umani e alle libertà». Il riferimento è ai contratti per la fornitura di gas firmati dall’Ue con il regime azero, ritenuto «partner affidabile» («Com’è possibile che per Bruxelles il gas sia più importante del diritto alla vita di 120 mila persone?»).

Stepanakert è in ginocchio, «presto sarà impossibile sfamare tutta la popolazione»

Nel frattempo si aggrava il bilancio della «catastrofe umanitaria» (testimoniata dal video diffuso dal governo locale e pubblicato da Tempi qui) alimentata da oltre sette mesi di isolamento. «“Dacci oggi il nostro pane quotidiano” ha scritto Marut Vanian sulla sua pagina Facebook in cui da otto mesi annota giorno dopo giorno la lenta agonia di Stepanakert, la capitale. La città è in ginocchio, le scorte di cibo ridotte al lumicino, i negozi letteralmente svuotati. Da tempo sono iniziati i razionamenti e il prossimo raccolto, a causa della penuria di carburante e fertilizzanti dovuta al blocco dell’Azerbaijan, crollerà del 70%: presto sarà impossibile sfamare tutta la popolazione. Gli azeri hanno anche tagliato le forniture di elettricità, gas e acqua potabile». Giovedì la Stampa ha pubblicato un grande reportage da Stepanakert, capitale del Nagorno Karabakh, la piccola enclave armena dove 120 mila persone sono «tenute letteralmente in ostaggio», «di cui 8.450 malati gravi privi di cure adeguate, 2.000 donne in gravidanza senza assistenza, 30.000 bambini e 20.000 anziani a rischio malnutrizione, 9.000 disabili abbandonati a sé stessi». Drammatica la situazione negli ospedali dove «medicinali e ossigeno scarseggiano da settimane».

La situazione è ancora più grave dal 15 giugno, quando l’Azerbaigian ha chiuso il checkpoint sul corridoio Lachin ai camion che portavano gli aiuti umanitari della Croce rossa internazionale. Il 27 luglio il blocco di 360 tonnellate di aiuti inviati dal governo Nikol Pashinyan all’Artsakh. Dal 29 luglio la Croce rossa ha dovuto sospendere anche il trasporto dei malati, fino ad oggi autorizzato previa comunicazione dell’elenco dei pazienti da evacuare. Da quando cioè Vagif Khachatryan, un armeno di 68 anni, è stato arrestato dalle guardie di frontiera azere al checkpoint di Lachin. Tempi vi aveva raccontato la sua storia qui: l’uomo si trovava a bordo di uno dei convogli che trasportavano 15 persone evacuate in Armenia dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc) quando è stato prelevato dai militari con l’accusa di aver preso parte al massacro di 25 persone nel villaggio di Meshali durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh nel 1991. Accusa infondata secondo la famiglia e i difensori dei umani dell’Artsakh e dell’Armenia, ma che costituisce un precedente preoccupante: come Khachatryan, la maggior parte della popolazione maschile adulta del Nagorno-Karabakh ha combattuto contro l’Azerbaigian durante la guerra del 1991-94 o del 2020, e ha prestato servizio in quelli che la nota di Baku definisce «gruppi armati illegali».

«In Nagorno Karabakh è in corso un’autentica operazione di pulizia etnica»

Qualcuno che riesce a raggiungere Erevan c’è, ha spiegato un funzionario governativo alla Stampa, ma ad un prezzo altissimo: «Gli ammalati e i loro accompagnatori sono stati sottoposti a procedure di controllo umilianti e a trattamenti degradanti: li hanno filmati e successivamente le immagini sono state sfruttate dalla propaganda azera per dimostrare la normale apertura del Corridoio di Lachin. Ma era tutto falso». Tutte le azioni intraprese dall’Azerbaijan in questi mesi, denuncia il ministro degli esteri armeno ripreso dal quotidiano torinese, dalle manifestazioni dei finti ecoattivisti all’installazione del posto di blocco illegale a Lachin, «sono state pianificate per rendere impossibile la vita alla nostra popolazione: in Nagorno Karabakh è in corso un’autentica operazione di pulizia etnica».

Una Shoa, quella armena, che dura da 108 anni, ricorda la scrittrice Antonia Arslan che sempre sulla Stampa firma un intervento sui nuovi scenari aperti per lo studio e la comprensione del Metz Yeghèrn, il genocidio degli armeni, e per l’indagine sullo stretto collegamento esistente con l’olocausto ebraico. Un filone affrontato da I peccati dei padri. Negazionismo turco e genocidio armeno (Guerini, 2018) della filosofa americana Siobhan Nash-Marshall e Giustificare il Genocidio. La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismarck a Hitler dello storico tedesco Stefan Ihrig, anche’esso uscito in questi giorni per Guerini. Due libri che portano alla luce «una verità che in molti ancora negano. Un filo lega i massacri degli ebrei da parte dei nazisti a quelli subiti dal mio popolo».

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