A Milano serve un sindaco di guerra, il manager Beppe Sala non c’entra nulla

Men che meno il sindaco dei calzini arcobaleno c’entra col combattente sant’Ambrogio, guerriero e condottiero, scomodato da lui nell'annunciare la sua ricandidatura

Cronache di mezzo lockdown / 19

Non è un segreto per nessuno che chi scrive è uomo di parte almeno quanto lo sono i colleghi fedelmente associati al Pd, al grillismo, alle procure… O quelli che affettano neutralità dall’alto di emolumenti politicizzati da capogiro (araldica Fabio Fazio).

Dopo di che, il mio collega con cui condivido il ruolo di peones Alessandro De Chirico, mi dice: «Ma ti rendi conto che Sala ha scelto il giorno di sant’Ambrogio e ha fatto tutto un discorso alla sant’Ambrogio per dire che si ricandida sindaco? Come si fa a osare tanto?». Mi piace la reazione dell’altro peones del gruppo misto Andrea Mascaretti. «Ci è andata ancora bene. Avrebbe potuto osare di peggio e farlo il 25 dicembre».

Coraggio amici, prendiamola nel verso giusto. E il verso è questo: Milano è una città taxi. Per il sistema politico che fa capo a Roma. E per quello economico che fa capo alla finanza e ai grandi fondi immobiliari internazionali. A questo riguardo, parlando di taxi si può dire che l’autista Sala sia stato cattivo? L’è minga cattiv – si dice a Milano di un uomo buono ma corto – l’è gnurant. Sarei ingiusto e diffamatore a dire che Sala è ignorante. Sala è persona preparata, competente. E furba. Però ha un difetto, madornale per un uomo al comando di qualsiasi cosa, sia essa un’impresa o una città: non ha un briciolo di visione. E non gli interessa avercela.

Si è fatto rimorchiare dalla propaganda ideologica e farmacologica mettendosi i calzini arcobaleno. Prima, per benedire coppie di uomini e soprattutto il loro ardore (dopo averli fatti concepire dall’utero in affitto di una donna) a ottenere iscrizioni di duplice paternità all’anagrafe. Poi è andato in confusione perché neanche sant’Ambrogio riesce a spiegarsi cosa possa significare avere due persone dello stesso sesso come mamma e papà, papo e mammo. Per il resto si è comportato mediamente bene. Ma senza dare segni di cognizioni che non fossero i brillanti numeri del suo brillante assessore al bilancio Roberto Tasca. Anche gli altri assessori non si sono comportati male. Niente di più che ordinata e ordinaria amministrazione.

Ma ecco che adesso questa mancanza di visione e indifferenza ideale, viene al pettine come un nodo importante quanto il portafogli della gente ricca e perbene che ha votato prima Pisapia, poi Sala. Gente che vive, vuole vedere il verde e va in bicicletta green entro la cerchia dei Navigli. Bellagente sotto il Duomo di Milano. A proposito: per quanto tempo sotto il Duomo di Milano l’inquilino Alberto Genovese ha fatto il bello e il cattivo tempo? Sto ancora aspettando risposta a una interrogazione al sindaco Sala in proposito. Mentre alle periferie, dove ci aspetteremmo il voto a destra a valanga per la primavera del 2021, provano e proveranno nei prossimi mesi a metterci una pezza le associazioni territoriali collegate con l’amministrazione centrale e che per comprensibili ragioni hanno puntellato un decennio di consiliatura di sinistra e di estrema sinistra.

Bene, tutto questo decennio di dominio, pressoché incontrastato, nonostante che con Stefano Parisi l’ultima volta andò male solo per un pugno di voti, a cosa è servito? E a cosa serve adesso che è capitata una tragedia come il Covid? È servito e serve, il dominio Sala-Pd, da marzo ad oggi, a fare campagna contro l’assessore alla Sanità della Regione. È servito a gridare “Fontana non ci dai le mascherine!” (questo accadde nel marzo in cui il governo Pd si incartava nella loro distribuzione e il commissario Arcuri ammetteva che «sì, c’è stato un problema»: capiremo poi un giorno tra qualche anno perché qualcuno a Roma ne aveva acquistate 801 milioni di mascherine, già il 10 marzo, ma qui a Milano non se n’è vista nessuna, tant’è che la Regione si è messa far da sé rischiando – come poi è accaduto puntualmente – l’inchiesta della procura).

È servito – il sentirsi dominatori assoluti della scena pubblica da parte di Sala e del Pd – a portare in città il segretario Zingaretti a fine febbraio e a organizzare con lui e il sindaco Sala aperitivi nel nome di #milanononsiferma. Aperitivi – disse il virologo Crisanti (e non noi) alla trasmissione della Gruber – che in quella settimana di fine febbraio furono decisivi per il dare il la all’assembramento di persone e al successivo scatenamento del virus in Lombardia.

Insomma, sei arrivato fin qui, caro Beppe, con tanta fortuna e il grande affanno degli ultimi sei mesi. Hai davanti a te una città che ha bruciato la ricchezza di un decennio, piagata da una demografia che non le dà scampo quanto al futuro e abitata da un’immigrazione ormai incontrollata. In questo casino come fai a figurarti di essere un sant’Ambrogio con la scipitezza del “voglio una fase nuova”?

Detta così come l’hai detta annunciandoti ricandidato su Instagram, non solo non significa niente. Ma se ci vuoi proprio trovare un’idea, è l’idea di qualcosa che smentisce la consiliatura precedente.

Ma Sala dopo Sala sempre Sala è. Fase vecchia. Fase nuova. Manager al primo giro, adesso di colpo, da un giorno all’altro, dopo averci pensato mesi, tira fuori questa immagine alla cardinale di Milano e niente meno che epigono di sant’Ambrogio? Non funziona. Si dice sia un ripiego perché non ha avuto la cadrega (e lo stipendio) del super manager di Stato. Sia quel che sia, è un fatto che Sala non ha mostrato grande entusiasmo nel ruolo di primo cittadino. Prova ne è la sua scarsissima partecipazione alle sedute del Consiglio comunale.

D’altra parte cos’ha dato il nostro bravo manager di Expo alla città? Che valore aggiunto ha rappresentato per una Milano che fino al 27 febbraio dell’anno 2020 correva, guadagnava, si divertiva da sé, senza che si sentisse in giro mormorare che sì, certo, grazie al cielo abbiamo un sindaco che non porta solo i calzini della pace, dei migranti e del multigender, ma pure la mutanda di Albertini con sotto due affari così?

Cos’e stato da sindaco il Sala? È stato il gestore della ricchezza pubblica che già in parte aveva in pancia storicamente il Comune di Milano (si pensi ai bilanci miliardari di partecipate quali Atm, Sea, Amsa, aziende di trasporto, aeroporti e energia). In parte è stata la ricchezza veicolata dagli anni d’oro dopo Expo (che poi fu un evento immaginato e tenacemente realizzato da Moratti e Formigoni). Ricchezza venuta dagli investimenti dei grandi fondi e società immobiliari non nelle periferie, ma nel centro borghese. Soldi che hanno impresso una meravigliosa impronta newyorkese alla città con gli skyline di Porta nuova e dell’ex Fiera. Soldi che investiti negli scali ferroviari dismessi daranno vita a quartieri avveniristici, al nuovo stadio Milan-Inter e a nuove infrastrutture sportive. Le piazze sulla linea della prima circonvallazione saranno riqualificate da veri e propri maghi dell’architettura. E il polo scientifico-commerciale-universitario di Human Technopole sorgerà sulle ceneri di Expo. Che se l’Expo non è stato niente di più che una Las Vegas di cartone fatta per lustrare gli occhi e attrarre turismo nel nome di una “Esposizione universale”, il nuovo polo scientifico e universitario sarà la porta dell’Italia all’Olimpo dei capitali internazionali.

Non è che l’opposizione in Consiglio comunale non abbia volentieri accompagnato questo sviluppo di Milano. Lo ha fatto opponendosi – quando aveva un senso non distruttivo opporsi – solo all’arroganza del potere di una maggioranza autosufficiente che si è presa tutto: dalla presidenza di tutte le commissioni ai Cda che contano. A Renzi e, a ricaduta, al suo uomo Sala, Expo ha offerto visibilità e un bel giro sulla giostra del Potere. Ora la belle époque è finita. Arriva il tempo della guerra e dello sguardo alla ricostruzione postbellica, se e quando la pandemia sarà sotto controllo. Viene il tempo della personalità politica, delle decisioni e dell’azione che non inizia e finisce col video selfie mattutino.

C’entra nulla con una fase di guerra il “manager Giuseppe Sala”. Questo, almeno, a nostro modo di vedere che l’abbiamo visto in azione in questi cinque anni. Ripeto, l’uomo è tutt’altro che incompetente e privo di carattere. Ma non è il suo, scendere nella trincea di fango e sangue per mettersi al mitragliatore politico in compagnia della contessa Fai piuttosto che con le Dame multi culti del Corriere della Sera e di Repubblica. Men che meno il sindaco dei calzini arcobaleno c’entra col combattente sant’Ambrogio. Anche se il sindaco di Milano uscente si è voluto ricandidare presentandosi su Instagram col maglioncino nero e due orecchie della camicia bianca sopra il girocollo. Proprio come si vestivano preti una volta finita la Messa.

Forse che Sala ha ricevuto il benestare dal sistema che dal Pd arriva giù ai sacri palazzi d’Oltretevere? Non lo so. Però ho in una scarpa un sassolino che mi dice da una parte la contentezza per l’Ambrogino (beh, se lo merita e l’ho proposto io) al ciellino fondatore della Compagnia delle opere e presidente di Fondazione Sussidiarietà, con tutto il suo giro esemplare di brava gente e brave imprese sociali. Dall’altra, non mi sembra affatto convincente che uno come Vittadini possa avere simpatia politica per la sinistra e per Sala. È un mio amico Vittadini. Ed è naturalmente un amico che sbaglia.

Dunque, per parte nostra continueremo a osservare che nella Milano che era grassa e che è diventata magra col Covid, oggi non basta più avere al timone una brava persona ma un po’ gatta morta. Oggi abbiamo bisogno di una personalità competente sì, ma anche appassionata e scatenata. Che sappia cosa vuol dire una città ormai a maggioranza di anziani e single. E nella quale i bambini sono stati messi praticamente al bando da una politica che ha privilegiato le piste ciclabili, i giardini che hanno fatto grande il sistema degli spacciatori, l’accoglienza dei migranti clandestini. E infine ha fatto grande il sistema del profluvio di carte, procedure, protocolli, commissioni di trasparenza, legalità, anticorruzione.

Chiacchiere e distintivi di una oligarchia burocratica che – codici degli appalti alla mano – ha paralizzato l’operosità della gente (ricordatevi che in Italia ogni iniziativa economica non di Stato è mafia o ’ndrangheta fino a prova contraria), confermando così l’idea di Kafka che non “i rapporti di produzione capitalistici” ma le carte delle burocrazie statali sono le catene dei popoli. Insomma, tra il Covid virus e il Covid Roma, al prossimo giro Milano ha bisogno e deve perciò trovarsi una personalità giovane e guerriera. Meglio donna. Ma se è un uomo va bene lo stesso. Purché non sia floscio mainstream.

Volete scomodare sant’Ambrogio, che per altro sono l’unico giornalista e consigliere comunale che ha citato il Santo in diverse occasioni in questi anni in Consiglio comunale, il sant’Ambrogio guerriero e condottiero, a cavallo e con la spada sguainata che campeggia in un gigantesco affresco proprio sulla testa dello scranno del sindaco? Allora ricordate che Ambrogio non sapeva neanche cosa fosse un golfino nero e colletto bianco sul girocollo da chierico. 

«Solo i cani che sanno latrare per i padroni», scrisse in una sua lettera civile e politica sant’Ambrogio, «sanno difendere le loro case. Perciò impara anche tu a levare la tua voce per Cristo, quando feroci lupi ne assaltano l’ovile, impara a tener pronta nella tua bocca la parola, perché non sembri che tu, come un cane muto mantenendo un silenzio imputabile a tradimento, abbia abbandonato il posto di guardia affidato alla tua fedeltà».

Veniva giù tutto all’epoca in cui egli fu eletto vescovo che non era neanche battezzato. Eletto a furor di popolo, mica da chierici imbellettati. Pestilenze, guerre, impero romano morente. Ambrogio salvò Milano benché dall’imperatore al papa, dai principi alla quasi totalità dei vescovi, erano tutti soccombenti all’Oriente ariano e perciò anticristiano.

Abbiamo bisogno di un sant’Ambrogio anche adesso? Ok. Se è così Sala proprio non ce lo vedo cane da guardia di una città oggi soccombente a Roma. Beppe dai calzini arcobaleno.

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