Una proposta per riformare il sistema scolastico e dargli piena autonomia

Statali e paritarie in rete per una vera libertà di educazione. Dalla scelta dei docenti alla loro formazione. Tre scuole statali sperimentali propongono alle istituzioni una "riforma" del sistema. A partire da una esperienza in atto

Ospitiamo la proposta avanzata da tre scuole sperimentali di Milano, Genova e Firenze alle rispettive Regioni per un’applicazione sistematica del principio di autonomia e della libertà mdi educazione. Di seguito due interventi: il primo di Pietro Calascibetta, dirigente scolastico dell’istituto sperimentale Rinascita A. Livi di Milano e coordinatore della rete “Scuole Laboratorio”; il secondo di Gianni Rossoni, assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro di Regione Lombardia.

Il 14 giugno il ministro ha firmato il decreto autorizzativo che permette alla scuola Rinascita-Livi di Milano, congiuntamente agli istituti Scuola-Città Pestalozzi di Firenze e Don Milani di Genova riuniti in rete, di proseguire la ricerca e la sperimentazione del progetto “Scuola Laboratorio” approvato nel 2006, adeguandolo alle nuove esigenze emergenti dal sistema e dalla società.
Ringrazio il direttore di Tempi per avermi dato la possibilità di spiegare in cosa realmente consiste questo progetto di cui si è molto parlato, che certamente non può essere considerato una riproposizione della vecchia sperimentazione anni ’70, né un tentativo di conservazione di presunti privilegi, ma vuole essere la sperimentazione concreta di una vera e propria proposta strutturale che come tale vogliamo sottoporre ai decisori politici di Lombardia, Liguria e Toscana, nonché nazionali.

I lettori che hanno seguito le travagliate vicende dell’iter di rinnovo del decreto, sanno dell’apprensione che il ritardo nella firma del decreto ha creato nei genitori e nei docenti delle tre scuole, ma anche nei molti che credono che tale progetto, unico in Italia, possa essere una proposta originale in grado di portare un contributo, magari piccolo, ma concreto, al rilancio del sistema scolastico pubblico che, a più di 10 anni dal varo dell’autonomia, mostra la corda rispetto alle aspettative di riqualificazione e di rinnovamento endogeno che si pensava innestasse l’autonomia una volta avviata. Perché questo progetto può essere utile al sistema? Perché punta a realizzare, nell’ambito delle autonomie scolastiche, una nuova realtà che offre un servizio scolastico all’utenza, ma allo stesso tempo organizza le risorse umane e la struttura interna in modo da costituirsi in “laboratorio professionale” per le scuole pubbliche presenti nel territorio, sia rispetto alla formazione dei docenti in servizio e al tirocinio dei nuovi, sia per l’individuazione e sperimentazione di contesti di insegnamento e apprendimento per i ragazzi. Questa struttura, in sintesi, è animata dagli stessi docenti e ha la mission di mettere in moto dal basso la cultura e la pratica dell’innovazione e contemporaneamente di attuare una formazione “peer to peer” centrata sulla diffusione delle pratiche professionali concretamente agite dai docenti nei contesti di lavoro, valorizzando il protagonismo degli attori principali dell’autonomia scolastica: le famiglie e i docenti, nonché gli stessi studenti, in una dimensione cooperativa e democratica.

A parere di molti e anche nostro, infatti, la situazione di stallo del sistema deriva dalla sottovalutazione della centralità di due disposizioni presenti nel Regolamento (275/99). La prima riguarda l’“autonomia di ricerca, sviluppo e sperimentazione” (art. 6) che non viene assunta come metodologia abituale per la gestione del Piano dell’Offerta Formativa della scuola, ma viene considerata spesso un optional o un’attività aggiuntiva, anche per la mancanza di una formazione specifica degli insegnanti in questo campo. La seconda disposizione riguarda il lavoro di rete (art. 7) che viene sì utilizzato, ma in modo circoscritto allo sviluppo di specifici progetti e non come pratica strutturale in grado di creare sinergie stabili e flussi continui di comunicazione professionale tra i docenti e tra le scuole pubbliche nel territorio creando comunità di pratiche interattive.

I problemi posti alla scuola dal rapido mutare della società e delle sue modalità di costruzione del sapere, soprattutto oggi in presenza di nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, fa emergere in modo più che evidente che il cuore dell’autonomia scolastica non è la flessibilità in sé e neanche la concorrenza, ma la capacità delle scuole di produrre innovazione in itinere in un processo circolare e continuo in modo da adeguare costantemente e in modo flessibile i contesti di apprendimento alla società in evoluzione, alle disposizioni normative generali e alle teorie dell’apprendimento. D’altronde l’innovazione e la cooperazione vengono indicate come le chiavi di volta per uscire dalla crisi in tutti i settori. Perché non dovrebbe esserlo per la scuola? È proprio riflettendo su queste problematiche e sui bisogni del sistema, che è nata nel 2006 la proposta dei nostri tre istituti di costituirsi in “Scuole Laboratorio” di sistema e di sperimentarne il prototipo attraverso la richiesta di autorizzazione al ministero ai sensi dell’art. 11 del Dpr 275/99.

Quali sono le modalità operative che si stanno sperimentando in questo prototipo in fieri? Per quanto riguarda la formazione è appena il caso di far presente che qualsiasi contesto di apprendimento di pratiche professionali deve essere significativo, cioè deve permettere di venire in contatto con le pratiche più innovative e deve basarsi sulla possibilità di incontrare esperienze ricche di stimoli che possano permettere una riflessione sia sugli aspetti problematici sia su quelli creativi dell’insegnamento. Ne sanno qualcosa i giovani che scelgono per gli stage post diploma o post università, le aziende più avanzate dove è possibile veramente poter venire in contatto con stimoli, strumenti e pratiche orientate a scoprire le possibilità di evoluzione della professione piuttosto che pratiche routinarie già obsolete in un mondo in rapido divenire. La sfida del progetto in questo ambito pertanto è di strutturare il contesto della “Scuola Laboratorio” in modo da poter offrire ai docenti in formazione un’organizzazione del lavoro tra docenti ed esperienze di insegnamento e di interazione con studenti, insegnanti, genitori e territorio che possano costituire un vero ambiente significativo per la formazione tramite stage e scambi di docenti, come previsto dallo stesso regolamento e quasi per niente attuato, e tramite il tirocinio assistito per i nuovi docenti offrendo così anche un modello sperimentale per l’attuazione del Regolamento sulla formazione iniziale. L’attivazione poi nelle “Scuole Laboratorio” di “Centri Risorse per lo sviluppo professionale dei docenti” con il compito organizzativo di promuovere incontri, dibattiti, seminari di presentazione delle esperienze e delle pratiche gestiti dai docenti e anche dai genitori delle scuole del territorio sui loro specifici bisogni, completa le azioni in questo ambito.

Per quanto riguarda invece la ricerca di pratiche didattiche innovative, la “Scuola Laboratorio” privilegia, come si è detto, la dimensione della rete per condividere i bisogni, le riflessioni e le proposte che nascono con i docenti, i genitori e gli operatori del territorio animandone l’interazione. La “Scuola Laboratorio” si assume poi il ruolo di portare a sintesi le proposte concrete di innovazione emerse e di guidarne la sperimentazione con l’aiuto di esperti nella propria struttura e/o nelle altre scuole coinvolte curando il monitoraggio, l’osservazione dei risultati e la documentazione in modo da mettere in comune l’esperienza, ma anche rendendola fruibile, attraverso una documentazione generativa, a tutti in rete telematica. Tutto questo in collaborazione con l’università e l’amministrazione scolastica, evitando il rischio di una sterile autoreferenzialità. In questo ambito è particolarmente avanzata l’esperienza della scuola Pestalozzi di Firenze.

Per completare l’informazione va detto che il nuovo progetto dal significativo titolo “Dalla Scuola Laboratorio verso la Wiki School”, appena approvato con il decreto del 14 giugno, individua coerentemente nella comunicazione e nella costruzione cooperativa della conoscenza un potente contesto di apprendimento che può trovare nelle tecnologie della comunicazione e dell’informazione uno strumento formidabile a patto che si riesca a “inventare” pratiche didattiche che tengano conto degli aspetti pedagogici e valoriali propri di un’istituzione scolastica. Si tratta pertanto di realizzare un ambiente didattico-strutturale innovativo relativo alla scuola primaria e secondaria di primo grado, caratterizzato dal graduale superamento del contesto classe, dall’utilizzo delle tecnologie della comunicazione in modo da favorire ancor meglio un apprendimento cooperativo degli studenti e, in parallelo, dei docenti dentro la scuola nonché in rete e la collaborazione scuola-famiglia in coerenza con gli studi, le teorie e le esperienze internazionali.
I docenti della “Scuola Laboratorio” o “Wiki School”, come potremmo dire da oggi, sono pertanto chiamati a svolgere in buona sostanza due compiti: insegnare agli alunni e allo stesso tempo occuparsi del sostegno alle scuole attraverso il coordinamento della progettazione in rete, la formazione e il tutoraggio dei colleghi, la documentazione dei percorsi, L’organico in più che è stato chiesto, la cui entità può essere naturalmente concordata, serve proprio per attivare questa nuova modalità di lavoro sul territorio con i docenti e con i genitori e per monitorare e documentare tutta l’attività di ricerca-azione. Da qui anche la necessità di selezionare i docenti per i compiti necessari che sono diversi da quelli richiesti alla generalità dei docenti. Si tratta di un investimento che l’amministrazione scolastica fa e mette a disposizione a vantaggio del sistema nel suo complesso anche se è allocato in tre realtà. Si tratta di una strategia di spesa orientata, in una situazione di crisi come l’attuale, a potenziane alcune realtà che si impegnino a svolgere una funzione di risorsa per tutti. Naturalmente questo richiede una precisa rendicontazione, come è giusto che sia, e una sinergia con le amministrazioni.

Certamente il compito che ci proponiamo non è facile, si tratta, infatti, di una proposta di sistema un po’ lontana dal comune modo di vedere le scuole, cioè come semplici erogatrici del servizio di istruzione e non anche come veri e propri centri di ricerca professionale e di produzione di cultura per il territorio da parte dell’intera comunità scolastica. Nel portare avanti questa proposta con tenacia, nonostante le difficoltà, ci conforta però il fatto che si tratta di un’idea che dal 1974 è già realtà nel sistema scolastico finlandese e che noi abbiamo mutuato per la sua vicinanza al nostro sentire di scuole sperimentali e alla nostra esperienza pluriennale, ma anche perché il sistema finlandese in questi anni è stato preso a modello di efficacia a livello internazionale. In Finlandia vi sono delle scuole di sistema, chiamate “Teacher Training Schools”, dove si eroga il servizio scolastico e contemporaneamente si offre un contesto specializzato per la formazione dei docenti in collegamento con l’università. La nostra proposta, per il naturale adattamento alla situazione italiana, si differenzia per alcuni aspetti, tra i quali il fatto di costituire una rete di istituti “Laboratorio” sul territorio nazionale interfacciata con le reti locali delle singole “Scuole Laboratorio” e sul fatto che protagonisti e animatori dell’azione di ricerca sono gli stessi docenti delle scuole autonome sulla base dei loro reali bisogni e in modo cooperativo. Questo per valorizzare e attuare il dettato dell’autonomia scolastica.

Ci rendiamo conto, però, che le “Scuole Laboratorio” o “Wiki School” hanno senso se inserite in modo organico in un sistema, divenendone parte integrante con un preciso ruolo istituzionale. In caso contrario, giustamente, non se ne comprenderebbe l’esistenza, né si giustificherebbe l’impiego di risorse aggiuntive che sarebbero considerate un privilegio rispetto alle scuole di ordinamento. Io credo che la sfida da affrontare oggi a livello istituzionale nel campo dell’istruzione sia proprio quella di trasformare l’insieme delle scuole, isolate e in perenne competizione, in un vero e proprio sistema dove le istituzioni scolastiche autonome, statali e paritarie, le associazioni, i servizi, insomma tutti i soggetti che si occupano di istruzione e formazione possano interagire ciascuno con la propria specificità e ruolo creando proprio una sinergia di sistema basata su una governance direttamente legata ai bisogni delle famiglie e degli operatori scolastici.
Le scuole del progetto, essendo contesti particolarmente favorevoli all’innovazione, possono anche sperimentare e favorire la diffusione di nuove modalità di collaborazione tra genitori, scuole e territorio per la realizzazione di iniziative di “life long learning” per gli adulti, offrendo ai genitori stessi e ai residenti occasioni di arricchimento anche interculturale, di confronto, di conoscenza della propria identità culturale e di fruizione di eventi inserendosi tra le iniziative di integrazione dei cittadini e di governo del territorio in accordo con l’ente locale e con le associazioni in una logica di sussidiarietà orizzontale coinvolgendo in modo organico come protagonisti della formazione anche gli studenti che possono comunicare i loro studi e ricerche traendone un enorme vantaggio sul piano dell’apprendimento, come l’esperienza del progetto di comunicazione della scienza, Scienze Under 18, ideato da Rinascita, ha dimostrato.

La sinergia tra le scuole del sistema pubblico (tra statali e statali e anche tra statali e paritarie) è la condizione, a nostro avviso, perché vi possa essere uno sviluppo qualitativo dell’intero sistema, soprattutto in tempi di crisi economica, perché da questa relazione può nascere anche una messa in comune reciproca delle risorse e delle opportunità, tra scuola e scuola e tra settore statale e paritario, come si sta realizzando in alcune esperienze pilota presentate in questo giornale.
A livello nazionale è quasi impossibile immaginare la realizzazione di un vero e proprio sistema organizzato, ma noi pensiamo che la proposta di sperimentare nel concreto una struttura come quella sopra descritta possa trovare un ascolto qualificato e un interesse proprio negli enti locali impegnati nella realizzazione di un sistema pubblico di istruzione territoriale adeguato alle sfide poste dalla modernità e dal federalismo. La rete interregionale delle tre “Scuole Laboratorio” può anche offrire un’occasione per studiare e sperimentare modalità di interazione innovative tra il sistema nazionale e i sistemi regionali di istruzione favorendo una circolazione autonoma dell’expertise alimentata direttamente dagli stessi docenti tra le varie realtà locali. Nei prossimi anni il rapporto della rete delle “Scuole Laboratorio” con il territorio e con l’amministrazione scolastica dovrà quindi essere sicuramente più stretto e organico in modo che le “Scuole Laboratorio” con i “Centri Risorse per lo sviluppo professionale” possano diventare parte integrante del sistema-regione e locale di istruzione e formazione anche per lo sviluppo della quota regionale dei piani personalizzati di studio. È questa una proposta che facciamo ai decisori politici locali delle tre regioni ed è anche una scommessa che intendiamo portare avanti insieme ai nostri partner: Scuola-Città Pestalozzi di Firenze e Don Milani di Genova.
Pietro Calascibetta

I progetti di autonomia delle tre scuole Rinascita-Livi di Milano, congiuntamente agli istituti “Scuola-Città Pestalozzi” di Firenze e “Don Milani” di Genova rappresentano un’interessante esperienza sia in quanto risorse per il territorio, sia per il loro status di maggiore autonomia, che può offrire spunti di forte interesse per la governance del sistema di istruzione nel suo insieme. Mi riferisco qui in particolare alla scuola di Milano, a cui ho già avuto modo di manifestare personalmente l’interesse affinché questa realtà contribuisca attivamente alle azioni di ricerca e di formazione degli insegnanti, così come il prof. Calascibetta bene evidenzia nel suo intervento. Uno dei temi che ritengo si debba affrontare insieme è quello dell’innovazione della didattica di fronte alle tecnologie dell’informazione. Unitamente alle classi e scuole 2.0 – pregevole iniziativa del Ministero dell’Istruzione – ed alle altre sperimentazioni in essere, vogliamo lavorare insieme perché le ICT entrino fortemente nella didattica. Serve un approccio che non sia solo tecnologico, ma che riparta dalle fondamenta epistemologiche e dalle modalità di apprendimento, ripensando il ruolo del materiale didattico, del docente, dell’organizzazione della scuola per classi e discipline. Queste, come altre sfide importanti, le vogliamo affrontare insieme ai docenti ed alle scuole, a partire proprio da quelle, come la scuola Rinascita, che vogliono rappresentare una risorsa per le altre scuole e per il territorio. Non sarebbe infatti giustificata un’assegnazione maggiore di risorse – strumentali o di personale – se tale investimento restasse confinato all’interno della singola scuola e non fosse rivolto a tutto il sistema scolastico. In tal senso lo sviluppo anche di reti di scuole diventa un’opzione di significativo interesse.

Vi è però un secondo elemento di interesse per queste esperienze di autonomia rafforzata, ed è esattamente il fatto che rappresentano un punto di riferimento per lo sviluppo della stessa autonomia scolastica. Si tratta, per questo, di recuperare non solo quell’autonomia di ricerca, sviluppo e sperimentazione di cui all’articolo 6 del DPR 275 del 1999, ma di rilanciare il pieno compimento dell’autonomia scolastica ricollegandosi ed attualizzando quelle idee che portarono al regolamento del 1999 e al cambiamento della Costituzione nel segno del decentramento. Autonomia scolastica e decentramento sono infatti due aspetti indissolubili, poiché è la loro combinazione che rappresenta la vera svolta rispetto all’attuale sistema centralista.
Ritengo ormai non più differibile abbandonare una gestione accentrata del sistema scolastico per un affidamento pieno del servizio educativo alle scuole autonome, lasciando allo Stato la definizione delle norme generali e la valutazione dei risultati e alle Regioni e agli Enti Locali la relazione diretta con le scuole per la condivisione dei servizi aggiuntivi, per il servizio allo studio, delle strutture e attrezzature, nonché per il rapporto con il tessuto produttivo, per una scuola che sempre più deve diventare “scuola della comunità”. Ciò rappresenterebbe oggi la vera azione modernizzatrice per il sistema scolastico e il superamento dell’autoreferenzialità e dei sentimenti diffusi di disillusione e frustrazione, nonostante le grandi risorse umane e professionali che sono presenti nelle scuole.

Regione Lombardia ha già attuato, per il sistema di Istruzione e formazione professionale, il passaggio ad un modello sussidiario, fondato su libertà e responsabilità. La Regione non eroga né gestisce direttamente il servizio, ma sostiene le persone nello sviluppo del proprio capitale umano e regola la rete degli operatori attraverso la definizione degli standard minimi di qualità e la valutazione dei risultati. Nei percorsi regionali di Istruzione e formazione professionale per i giovani dai 14 ai 18 anni – ma lo stesso avviene per la formazione continua e le politiche attive del lavoro – gli studenti possono frequentare gratuitamente grazie alla dote di 4.500 euro che la Regione assegna loro e che possono spendere scegliendo l’istituzione formativa che preferiscono. D’altro canto gli enti (sia pubblici sia privati) hanno piena autonomia giuridica, finanziaria – ricevono il finanziamento direttamente dalla dote degli studenti e lo gestiscono in piena responsabilità – e organizzativa: decidono quali figure professionali assumere e con quali criteri e procedure. Tutto ciò naturalmente nel rispetto delle regole regionali sull’accreditamento e sulla qualità dei servizi da erogare, nonché delle regole generali del lavoro e della sicurezza. Analogamente, per il sistema di istruzione bisogna ripartire dall’esperienza delle scuole che già hanno la possibilità di selezionare il personale, che hanno goduto di più ampi spazi di autonomia, eventualmente ampliando la rete della sperimentazione.

I punti fondamentali per la piena autonomia sono noti: la selezione e il reclutamento del personale, il finanziamento complessivo assegnato direttamente alla scuola, la revisione degli organi di governo, la differenziazione dei ruoli e dei contratti del personale, l’attivazione di una valutazione di sistema. Bisogna riprendere un dibattito ampio e di alto livello, con il coinvolgimento di tutte le forze politiche e delle scuole, con un protagonismo di quelle che hanno potuto sperimentare alcuni elementi di maggiore autonomia. Su questo tema dobbiamo superare strumentalizzazioni e interessi di parte, perché ne va del futuro del nostro Paese.
D’altro canto e allo stesso modo attuare il decentramento previsto dall’articolo 117 della Costituzione significa accettare che i diversi livelli istituzionali della Repubblica possano assumere appieno il proprio ruolo e la propria responsabilità, attraverso un federalismo che ne liberi le diverse potenzialità di sviluppo. Lo Stato deve restare garante dell’unitarietà della nazione attraverso la fissazione dei “livelli essenziali delle prestazioni”, consentendo a ciascun territorio di sviluppare le forme organizzative più adeguate ai fabbisogni specifici di persone e imprese e valorizzare il patrimonio dei diversi sistemi locali.

Non sono più sostenibili interventi centrali che, regolando la vita della scuola in ogni dettaglio, generano nei dirigenti e nei docenti una cultura attenta agli adempimenti formali che deresponsabilizza rispetto all’obiettivo reale dell’apprendimento degli studenti. In tal senso la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione nell’ambito dell’attuazione del federalismo fiscale, rappresenta un’occasione ed un passaggio imprescindibile nella direzione dell’assunzione di responsabilità e quindi di autonomia da parte delle scuole, delle Regioni e degli Enti Locali, perché significherà da parte dello Stato il superamento di una regolazione del processo di erogazione del servizio per giungere ad una determinazione dei risultati che i diversi soggetti istituzionali, ciascuno per la propria competenza, devono raggiungere.
Gianni Rossoni

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