Te Deum perché mi lasci la speranza di rivedere la mia Leah rapita da Boko Haram

Anche se soffro, io credo fermamente che Dio sia giusto e non abbia abbandonato me e la mia famiglia

Articolo tratto dal numero di dicembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Da quando mia figlia, Leah Sharibu, è stata portata via nottetempo dal collegio femminile di Dapchi dai terroristi islamici di Boko Haram, nessuno ci ha fatto sapere niente sulle sue condizioni. Allora aveva 14 anni, oggi ne ha 16, ne sono passati quasi tre dal rapimento, eppure ancora non so se Leah stia bene o meno. 

Girano molte voci su di lei: dicono che abbia dato alla luce un figlio, ma non posso sapere nulla con certezza. È davvero una disgrazia che sia tenuta prigioniera nella foresta di Sambisa, la roccaforte di Boko Haram. Io non so che cosa fa né come sta: so solo che soffre molto in cattività nelle mani dei suoi rapitori. 

Ovviamente non siamo felici di questa situazione, come potremmo esserlo?, ma non c’è niente che possiamo fare. Leah ha lasciato un enorme vuoto nei nostri cuori e qui a casa perché ci ha sempre resi felici e orgogliosi quando era con noi. Il governo della Nigeria, guidato dal presidente Muhammadu Buhari, non affronta il caso di Leah in modo serio. Dopo quasi tre anni non è stato fatto nessun progresso per garantire il suo rilascio. 

So che Lui la libererà

Per me e la mia famiglia non è facile. Ogni volta che sono a tavola e mi ricordo di Leah, di quel che sta passando, perdo subito l’appetito. Io prego sempre Dio perché ci aiuti a ottenere il rilascio di mia figlia e di tutti gli altri prigionieri di Boko Haram e perché ci conforti tutti. So che la mia non è l’unica famiglia a soffrire per Leah, tante persone che amano la giustizia e la libertà soffrono in questo momento. Per fortuna ci sono tanti uomini e donne di buona volontà che pregano per noi e che desiderano vedere Leah libera. La loro solidarietà, in Nigeria e in tutto il mondo, significa molto per noi. La nostra famiglia vuole ringraziarli tutti, in particolare la Fondazione Leah Sharibu e la Fondazione per la pace Para-Mallam, che non si stancano di domandare il rilascio di mia figlia e di altri prigionieri di Boko Haram

Anche se soffro, io credo fermamente che Dio sia giusto e non ci abbia abbandonato. Lui opera sempre quando è il momento e quando lo ritiene opportuno. Non ho perso la speranza di rivedere Leah e il fondamento della mia speranza non è un uomo, ma Dio stesso, che è perfetto. Io mi fido di Lui. Certo, mi chiedo quanto a lungo dovrò aspettare ancora, ma credo nella Sua onnipotenza e nella Sua grazia. So che Lui libererà mia figlia.

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Rebecca Sharibu, autrice di questo articolo, è la mamma di Leah Sharibu (il testo è stato raccolto dal reverendo Gideon Para-Mallam)

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Il caso simbolo della persecuzione anticristiana

Il 19 febbraio 2018 i terroristi islamici di Boko Haram hanno rapito 110 ragazze dal villaggio nigeriano di Dapchi (Yobe). Tutte le giovani erano di religione musulmana tranne una: Leah Sharibu, allora 14enne. Dopo un mese di angoscia, il 21 marzo i jihadisti hanno riportato a casa 104 ragazze. «Cinque di noi sono morte durante il viaggio», ha raccontato una di loro. «Leah è l’unica a non essere stata liberata. I terroristi le hanno chiesto di rinunciare alla sua fede cristiana e di convertirsi all’islam. Ma lei si è rifiutata. Hanno detto che finché non lo farà, la terranno prigioniera». 

Il governo della Nigeria, guidato dal presidente musulmano Buhari, sembra non fare nulla per liberare la giovane. Oggi Leah ha 16 anni e secondo notizie impossibili da verificare sarebbe stata costretta a sposare un terrorista di Boko Haram e avrebbe partorito un figlio. Per il coraggio dimostrato rifiutando di convertirsi, Leah è stata definita «l’ambasciatrice del cristianesimo nella Repubblica di Boko Haram», diventando il simbolo della persecuzione contro i cristiani in Nigeria.

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