Si può strepitare per l’“autoritarismo” della Meloni e tacere su quello di Pechino?

L’ex presidente del Consiglio Romano Prodi (foto Ansa)

Su Dagospia Marco Tronchetti Provera dice: «L’Europa rischia di diventare il vaso di coccio fra Cina e Stati Uniti».

Chissà perché talvolta quando ascoltiamo certe dichiarazioni di alcuni imprenditori italiani, ci viene in mente quella borghesia cinese che i portoghesi a Macao, qualche secolo fa, definivano “compradora” perché vendeva interessi strategici nazionali per profitti personali.

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Sul Sussidiario Edoardo Canetta scrive: «Nei giorni scorsi parlavo di questa “strana coppia”, Vaticano e Cina, che in questo momento sembra si stiano muovendo in parallelo alla ricerca di una soluzione diplomatica della guerra in Ucraina. Credo proprio che questo non avvenga per caso. Ricordo che il 14 settembre mi trovavo ad Astana in occasione della visita pastorale in Kazakistan di papa Francesco e che tutta la città era piena di bandiere del Vaticano e della Cina, esposte in modo alternato».

Per un cristiano la pace è una missione fondamentale. Per un democratico difendere l’Occidente dall’egemonismo di uno Stato poliziesco come quello cinese, è un impegno certamente meno universale e sul quale è necessaria una vigilanza critica e puntuale, morale e politica, però è un impegno a mio avviso oggi ineludibile.

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Su Affaritaliani si scrive: «È già fallito, ancora prima di nascere, il progetto Silk-Faw, quello di creare in Emilia-Romagna una motor valley con le supercar dei cinesi e i fondi anche degli Usa. Un progetto caro soprattutto all’ex premier Romano Prodi».

Adesso Prodi ce l’ha (anche se essendo una persona intelligente critica chi ha messo a tacere Eugenia Roccella) con Giorgia Meloni che sarebbe troppo autoritaria perché non si è preoccupata di tenere Fabio Fazio e Lucia Annunziata alla Rai. Nello stesso tempo l’indimenticabile presidente dell’Iri e poi presidente del Consiglio, protagonista di quelle meravigliose privatizzazioni che sono state definite anche con il suo nome (le privatizzazioni alla Menem-Prodi-Eltsin) appare molto meno preoccupato dall’autoritarismo di Pechino. In questo senso appare in grande sintonia con quei diversi esponenti della sinistra italiana che hanno fatto proprio l’antico motto: business is business.

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Sul Blog di Beppe Grillo Fabio Massimo Parenti, foreign associate professor di Economia politica internazionale alla China Foreign Affairs University di Pechino, scrive: «Eppure, nonostante gli evidenti vantaggi nel rafforzamento delle relazioni economiche tra Italia e Cina (la Bri ha dimostrato di essere un’iniziativa inclusiva, pragmatica e di successo), Roma sembra vittima della sua endemica limitazione di sovranità, frutto di una dipendenza non-scritta dagli Stati Uniti sin dal termine della Seconda Guerra mondiale. Quale unica vera potenza mediterranea in Europa, grazie alla sua posizione privilegiata, l’Italia è tradizionalmente un sorvegliato speciale. Perciò, indipendentemente dai colori dei singoli governi, il paese sembra voler continuare a sacrificare gli interessi nazionali sull’altare dei vincoli geopolitici, che agiscono sotto forma di interferenze esterne, ormai operanti da decenni all’interno della comunità italiana. Di conseguenza, non deve sorprendere che, stando a Bloomberg, Meloni avrebbe manifestato la sua disponibilità a rompere l’accordo con la Cina durante un incontro con il portavoce della Camera dei rappresentanti Usa Kevin McCarthy».

Tra tanti pacifisti incerti se impegnarsi politicamente e tanti politici-affaristi certissimi sull’esigenza di impegnarsi nel business, almeno Beppe Grillo ci mette la faccia e spiega come solo Pechino ci possa difendere dall’influenza degli Stati Uniti. Chissà se a sinistra qualcuno ragiona sulla non trascurabile influenza che il “partito cinese” ha oggi nel nostro paese.

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