Rod Dreher: «Nella mia America è quasi una nuova guerra civile»

L'autore de "L'Opzione Benedetto" sulle troppe tensioni che dividono il paese, dove oggi conta più sentirsi bene che affrontare la realtà. Anche nella Chiesa

Articolo tratto dal numero di Tempi di ottobre (attenzione, di norma l’accesso agli articoli del mensile è riservato agli abbonati: abbonati subito!)

Quando l’editrice San Paolo qualche mese fa ha deciso di tradurre in italiano The Benedict Option e di organizzare un tour di presentazione del libro in Italia, Rod Dreher non aveva esattamente la strada spianata davanti a sé: per mesi La Civiltà Cattolica di padre Antonio Spadaro aveva bombardato il libro accusandolo di essere una forma larvata di eresia donatista (puristi nostalgici delle persecuzioni di Diocleziano, seguaci del vescovo Donato), di essere affetto dal “complesso di Masada”, cioè dalla sindrome dell’accerchiamento e del martirio fine a se stesso, di rifiutare il dialogo e l’apertura al mondo in nome dell’intransigenza.

Su un’altra rivista gesuita, la statunitense America, il libro di Dreher veniva contrapposto a La bellezza disarmata di don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e liberazione, come due modi incompatibili e reciprocamente escludenti di proporre il cristianesimo all’uomo d’oggi. Alla vigilia del tour italiano, in un tweet lo storico della Chiesa della scuola progressista di Bologna Alberto Melloni lanciava l’accusa più infamante di tutte: Rod Dreher altro non sarebbe che un complice del complotto contro papa Francesco entrato nella fase operativa col famoso dossier Viganò.

A quel punto, però, la corrente aveva già invertito la sua direzione, e non tanto per l’effetto mediatico del dossier Viganò, ma principalmente per il rapporto di un gran giurì della Pennsylvania che aveva ricostruito come per 70 anni una serie di vescovi cattolici avessero coperto 300 sacerdoti predatori sessuali di minorenni e per la caduta in disgrazia di Theodore McCarrick, al quale papa Francesco aveva tolto il cardinalato dopo che la diocesi di New York aveva appurato la veridicità di un caso di molestie su un minore ad opera del prelato.

L’abbandono della Chiesa cattolica da parte di Dreher nel 2006, all’epoca boicottato dall’interno per le sue inchieste sulla pedofilia fra le file del clero, appariva a quel punto sotto una luce diversa. Le parole di apprezzamento di padre Georg Gänswein, segretario di Benedetto XVI, alla presentazione dell’Opzione Benedetto alla Camera dei deputati a Roma, e l’incontro cordiale fra don Carrón e Rod Dreher a Milano (ha scritto il giornalista americano sul suo blog: «Ho incontrato un cristiano di mente aperta e di cuore aperto. Di questi tempi è un dono» e «ci sono molti punti di contatto fra il modo di vivere la fede di Cl e le mie idee») hanno rappresentato uno spartiacque, che ha avuto anche effetti sulle vendite: in pochi giorni L’Opzione Benedetto è balzata dal 44esimo al 16esimo posto nelle classifica delle vendite dei saggi.

Tempi è stato il primo periodico italiano a intervistare Dreher sul suo libro (luglio 2017) molto prima che apparisse l’edizione italiana; volentieri l’autore ci ha rilasciato una nuova intervista prima di rientrare negli Stati Uniti. Su argomenti diversi dall’Opzione Benedetto, visto che di quello avevamo già ampiamente discusso quattordici mesi fa.

Rod Dreher, è vero che lei ha abbandonato la Chiesa cattolica a causa dell’ex cardinale e arcivescovo di Washington McCarrick?
Sì e no. Diciamo che simboleggia i motivi per i quali io ed altre persone negli Stati Uniti abbiamo lasciato la Chiesa cattolica, e cioè una completa perdita di fiducia nella Chiesa istituzionale. Delle malefatte di McCarrick sono venuto a conoscenza nel 2002. È vero che il comportamento di un vescovo non compromette di per sé la verità della Chiesa, ma a livello umano era difficile sopportare la situazione che si era creata: era come se ogni giorno la fede fosse strappata un altro po’ dalla mia persona. Avevo sempre creduto che finché le giuste idee teologiche erano chiare nella mia mente io ero a posto, ma mi sbagliavo. Dio ha usato di quella vicenda per umiliare la mia arroganza intellettualistica e condurmi su un cammino di fede più personale e profondo. Non intendo dare la colpa a McCarrick o ad altri per il mio abbandono della Chiesa cattolica, le colpe sono prima di tutto mie. Oggi però non posso non fare appello al Papa perché ponga la massima attenzione alla situazione creata dagli scandali, e a quanto diventa difficile per i cattolici comuni continuare ad avere fiducia nei vescovi.

Siamo d’accordo che lo scandalo della pedofilia e dell’omosessualità attiva nella Chiesa richiede verità e giustizia per le vittime e per prevenire futuri scandali. Ma nella foga con cui tanti chiedono ai vertici della Chiesa di assumersi maggiori responsabilità non c’è il rischio di una riduzione moralistica del cristianesimo? Prima che moralizzare gli altri, il cristiano dovrebbe pensare a moralizzare se stesso.
È vero che siamo tutti peccatori, ma il peccato di questi preti e vescovi che hanno abusato sessualmente bambini, ragazzi e seminaristi e degli ecclesiastici che li hanno coperti per tanti anni è talmente orribile che qualcosa che non è ancora stato fatto deve essere fatto. Per decenni alcuni vescovi hanno provato pena per i preti coinvolti in queste vicende, ma non hanno visto come persone reali le loro vittime. Per anni hanno mostrato misericordia verso i colpevoli, ma non verso le vittime. Il moralismo è un rischio, ma c’è bisogno di più moralità nella Chiesa. Probabilmente la sensibilità su questi temi è differente fra l’Italia e gli Stati Uniti, ma quando veniamo a sapere che a Pittsburgh c’era una cricca di preti pedofili che fotografavano in pose provocanti ragazzini abbigliati come Gesù durante la Passione e che regalavano croci dorate a quelli che avevano ricevuto le loro attenzioni, credo che il moralismo sia l’ultimo dei problemi.

Lei è accusato di fare parte di un complotto americano per costringere il Papa a farsi da parte, e francamente trovo questa accusa diffamatoria e ridicola. Ma come giornalista e osservatore della realtà, cosa pensa? Questo complotto politico-religioso esiste?
Non credo. Indubbiamente esistono cattolici che vorrebbero veder fallire papa Francesco, ma non credo che abbiano molto potere. Insistere che c’è una cospirazione segreta contro il Papa è un modo per eludere questioni difficili. È spiacevole che monsignor Viganò abbia chiesto le dimissioni del Papa: non sono più cattolico, però credo che questo sia sbagliato. Ma l’errore strategico di Viganò permette a gente della curia romana di minimizzare o ignorare le cose che Viganò ha scritto, e questo è altrettanto sbagliato. Gli scandali non sono cominciati col pontificato di Francesco, ma il papa adesso è lui, e la Chiesa deve cercare la verità e cambiare le cose. Inventarsi presunti complotti è un modo per evadere colpe e responsabilità, con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche. La Chiesa cattolica è l’istituzione centrale della civiltà occidentale, se la perdiamo, perdiamo l’Occidente. Abbiamo bisogno che sia una voce forte per la verità e per la giustizia in questo tempo post-cristiano.

In Italia periodicamente appaiono confuse mappe del mondo cristiano degli Stati Uniti. I non-progressisti vengono etichettati con termini intercambiabili come “destra”, “tradizionalisti”, “fondamentalisti”, “conservatori”. Cosa bisogna capire delle divisioni esistenti fra i cristiani americani? E come ha inciso il fattore Trump?
Negli Stati Uniti le divisioni politiche all’interno del mondo cristiano sono più importanti di quelle teologiche. Un cattolico conservatore si sente più vicino a un protestante conservatore che a un cattolico progressista, mentre il cattolico progressista si sente più vicino al protestante liberal che al cattolico conservatore. Il fenomeno Trump ha complicato le cose: gli evangelici conservatori lo sostengono entusiasticamente, i cattolici conservatori sono molto più tiepidi, ma senza arrivare al punto di sostenere al suo posto il Partito democratico. Il problema dei cattolici è che la divisione politica è anche teologica: non c’è un’unica Chiesa cattolica, ce ne sono due, ciascuna delle quali segue un magistero diverso da quello dell’altra. La generazione più giovane dei cattolici è esasperata da questa divisione, e finisce per abbandonare la Chiesa o per assumere un atteggiamento molto polemico rivendicando qualcosa di più profondo di una versione politicizzata del cristianesimo. Da un punto di vista generale, anche se la maggioranza degli americani continua a definirsi cristiana, il cristianesimo sia in ambito cattolico che in ambito protestante è sempre più debole. Fra i giovani ancora religiosi prevale quella che nel mio libro ho definito, citando due sociologi americani, il deismo moralistico-terapeutico: nessuno li sta aiutando a incontrare le grandi verità del cristianesimo. Non riusciamo più a trasmettere la fede ai nostri figli.

Un anno fa le chiesi se temeva che dopo l’elezione di Trump l’America potesse scivolare verso una specie di guerra civile di bassa intensità. Lei disse che non stava succedendo, ma bisognava stare all’erta. Oggi cosa pensa della polarizzazione politica e dell’opinione pubblica negli Stati Uniti?
Penso che le cose sono peggiorate rispetto ad allora più di quanto avrei potuto immaginare. Oggi le persone si odiano. Trump ha reso la destra più estrema e questo ha causato una radicalizzazione della sinistra. La verità è uscita dalla scena, destra e sinistra considerano vero quello che a loro piace di più. Trump definisce “fake news” tutto quello che non gli piace, e la sinistra fa la stessa cosa. Qualche sera fa in tv ho visto una trasmissione sui transgender americani che rimpiangono la scelta di transizione sessuale che hanno fatto. Negli Stati Uniti oggi è semplicemente impossibile fare una trasmissione onesta e veritiera su un argomento del genere. Dopo un po’ ho capito che stavo guardando Russia Today, che negli Stati Uniti è considerata un semplice strumento propagandistico di Mosca, e in parte è vero. Ma quella sera Russia Today è stata più professionale della maggior parte dei media liberal americani. I quali non si preoccupano più dell’etica giornalistica, perché sono convinti che quella attuale è una lotta del bene contro il male. La stessa cosa succede nelle università. Non so come finirà, a volte sembra di respirare il clima che si respirava in Spagna alla vigilia della guerra civile. Non posso immaginare che si scateni la violenza fra americani, ma ricordo anche che è già successo nel XIX secolo. Sempre meno americani sentono di avere qualcosa in comune con un gran numero di altri americani. Non è possibile parlare pacatamente della presidenza Trump: o sei a favore, o sei contro. La perdita del senso dell’obiettività e dell’amore per la verità è terribile. Alla gente importa soltanto credere a qualcosa che la faccia sentire bene.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa
Foto Rod Dreher da Twitter

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