«Il nuovo razzismo verso i bianchi non risolverà i problemi del vecchio»

L'editoriale perfetto di Bret Stephens sul New York Times: discriminare oggi i bianchi in quanto bianchi per sanare le passate ingiustizie a danno dei neri è dannatamente razzista

«Non dovrebbe essere difficile capire che risolvere il vecchio razzismo con un nuovo razzismo produrrà solo più razzismo. La giustizia non può mai essere ottenuta cambiando le carte in tavola». È un sonoro schiaffo a Black Lives Matter (Blm) e alla Teoria critica della razza quello che Bret Stephens ha assestato lunedì firmando un editoriale sul New York Times. La tesi dell’opinionista è semplice: denunciare i bianchi come oppressori in quanto bianchi e considerare i neri come oppressi in quanto neri è dannatamente razzista.

Nera, lesbica e razzista

Mentre la nazionale di calcio italiana è ancora indecisa se inginocchiarsi o meno prima del calcio d’inizio agli Europei in ode a Blm, le derive del nuovo antirazzismo riempiono già le cronache dei giornali negli Stati Uniti. Stephens fa tre esempi di nuovo razzismo: il primo riguarda il nuovo sindaco di Chicago. Lori Lightfoot, nera e lesbica, per festeggiare il suo secondo anniversario alla guida della città, ha dichiarato che concederà intervista soltanto a “giornalisti Poc”, cioè di colore, per ristabilire “l’equità” in una sala stampa dominata da giornalisti bianchi.

Gregory Patt, reporter del Chicago Tribune appartenente alla minoranza latina, ha cancellato la sua intervista programmata con Lightfoot in solidarietà con i colleghi. «Non spetta ai politici decidere da chi essere intervistati», ha protestato su Twitter.

Bianchi costretti all’autodenuncia

Il secondo esempio portato dall’editorialista del New York Times è ancora più preoccupante. La Stanford University ha obbligato i dipendenti a partecipare a “gruppi di affinità” distinti e basati sulla razza per riflettere sui propri pregiudizi culturali. Due ebrei hanno denunciato la Commissione sulle pari opportunità in materia di assunzioni per essere stati costretti a partecipare al gruppo dei bianchi, i quali hanno dovuto discutere il loro “privilegio razziale in quanto bianchi” e le “responsabilità dei bianchi”. Gli ebrei hanno denunciato l’università per non aver creato uno spazio riservato agli ebrei, «che hanno un’identità completamente diversa». «Assegnare gli ebrei al gruppo dei bianchi è osceno, soprattutto se si pensa che l’Olocausto è ancora ben vivo nella memoria», commenta Stephens.

Il terzo esempio i lettori di Tempi lo conoscono già: l’amministrazione di Joe Biden, nell’ambito dell’American Rescue Plan, ha stanziato fondi per aiutare agricoltori e allevatori “socialmente svantaggiati”. Per poter rientrare nella categoria, bisogna essere neri, indiani, ispanici o asiatici. La norma è stata bloccata da un giudice federale perché discriminatoria: un agricoltore bianco in crisi, infatti, non avrebbe potuto avere accesso ai fondi.

Un nuovo concetto di equità

Questi tre esempi, così diversi tra loro, nascondono lo stesso ripugnante atteggiamento razzista che Stephens declina in due comportamenti offensivi:

«Il primo, subdolo, è la ridefinizione della parola “equità”, che nell’inglese comune indica la qualità dell’essere giusto e imparziale. Ora per i difensori dell’equità la parola ha un altro significato: la qualità dell’essere tutto tranne che imparziale per raggiungere il risultato desiderato e, si suppone, più giusto. Il secondo, sfacciato, è la preferenza razziale, la segregazione esplicita, l’assunto offensivo dell’ideologia antirazzista».

Il razzismo del nuovo antirazzismo

L’assunto è semplice: i bianchi, in quanto bianchi, sono razzisti. Ma, tornando al primo esempio, «sfavorire i giornalisti solo in base alla loro razza è assolutamente razzista, a prescindere dai motivi per cui lo si fa. Il nuovo razzismo verso i bianchi nel nome dell’antirazzismo, la discriminazione nel nome dell’equità e i favoritismi nel nome della pari competizione, è degno di Orwell».

L’editorialista del New York Times non è l’unico a pensarla così: secondo un recente sondaggio Harvard Caps/Harris poll il 61 per cento degli americani ritiene che la Teoria critica della razza non dovrebbe essere insegnata ai bambini. Alla domanda, «credi che vada insegnato nelle scuole elementari che l’America è strutturalmente razzista e dominata dal suprematismo bianco?» quasi due americani su tre hanno risposto no. Il 39 per cento ha invece risposto affermativamente. Il risultato è simile a un recente sondaggio Yougov, secondo cui il 58 per cento degli americani ha una visione “sfavorevole” della Teoria critica della razza.

Quando Joe Biden e i liberal si accorgeranno che, con la scusa dell’antirazzismo, stanno diventando il governo più razzista della storia recente degli Stati Uniti, potrebbe essere troppo tardi.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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