Povera Europa, ridotta a teatro di dispettucci fra tecnocrati

Il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel (foto Ansa)

Sugli Stati generali Luciano Belli Paci scrive: «Un grande calciomercato elevato a modello della competizione sedicente politica, nel quale volta per volta si ingaggia il giocatore che si considera più promettente per vincere il campionato. E, così come non crea problemi di sorta il fatto che la “punta” che oggi veste la maglia dell’Inter magari pochi mesi prima indossasse quella della Juventus, così non dovrebbe provocare scandalo che un leader della coalizione di destra possa prendere improvvisamente la guida della coalizione di sinistra, senza passare dal via. Perché, sia chiaro, di questo si sta ragionando, non di “alleanza” come qualcuno sta dicendo per indorare la pillola. Nelle Regioni il sistema è presidenziale, dunque si tratterebbe non già di aggregare la Moratti dentro un cartello con una mossa spregiudicata ma tatticamente anche possibile, bensì di incoronare quella che fino a ieri era la vicepresidente della giunta Fontana a frontwoman e guida del centrosinistra in Lombardia».

Con efficace semplificazione Belli Paci spiega come per la sinistra sarebbe un suicidio scegliere la ex vicepresidente di Attilio Fontana per sfidare il presidente uscente della Regione Lombardia. Come mai non comprende questo punto di vista la stessa Letizia Moratti? Perché non lo capiscono persone come Nando Dalla Chiesa e Carlo De Benedetti? L’unica spiegazione convincente è che l’autunno inoltrato sia stagione non solo di bolliti misti, ma anche di bolliti mesti.

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Su Huffington Post Italia Claudio Paudice scrive: «Ci sono volute meno di ventiquattro ore ai paesi dell’Ue e agli Stati Uniti per escludere la responsabilità diretta (quella indiretta è manifesta) della Russia dietro il lancio del missile caduto in Polonia, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina. Non si può dire lo stesso della rete Nord Stream, la prima vera porzione di territorio europeo investito collateralmente dal conflitto militare in Ucraina».

L’osservazione di Paudice è puntuale e consapevole degli atteggiamenti dell’amministrazione Biden, che mentre mantiene tutto il suo sostegno a Kiev, cerca di contenere le tendenze che nel fronte occidentale considerano quella di correre il rischio di una “terza guerra mondiale”, un’opzione possibile.

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Su Dagospia si scrive: «Al vertice indonesiano, si è consumata l’ennesima vendetta personale di Michel: solo lui ha potuto incontrare il presidente cinese Xi Jinping, con la povera Ursula lasciata fuori dalla porta. Il motivo? Una ritorsione per un incontro con il primo ministro indiano Narendra Modi, avvenuto al G7 in Germania di giugno, a cui non era stato ammesso lui. Come faranno Charles e Ursula a convivere fino al 2024? I loro mandati scadono praticamente insieme: il 31 ottobre per Von der Leyen, il 30 novembre per Michel. E nella bolla brussellese, e anche e soprattutto tra i capi di Stato e di governo, si è già iniziato a parlare della successione. Anche se continua a smentire, per scaramanzia e prudenza, Mario Draghi è in pole position per succedere a Charles Michel. Su chi siederà, al posto di Ursula, sulla poltrona di presidente della Commissione, invece, la trattativa è in corso e l’unica cosa certa è quel ruolo non spetterà a un italiano».

Gli eurofanatici, come i protagonisti dell’Uomo senza qualità di Robert Musil, sono tutti intenti a lodare la loro Ue-Kakania (Kakanien viene da k. und k., che significa kaiserlich und königlich, vale a dire imperial-regio, l’aggettivo che designava/derideva tutto ciò che aveva a che fare con lo Stato asburgico, da qui il nome inventato da Musil), tutti immersi nella loro Azione parallela (l’azione che di fatto non esiste, lo specchio di una realtà priva di un’unità e di un centro). Il risibile scontro tra Von der Leyen e Michel svela la scarsa consistenza di un potere buro-tecnocratico, sublimato dalla grande imbrogliona Angela Merkel e consolidato dal minore imbroglione Emmanuel Macron, un potere che non è in grado di progettare una strategia per il pur indispensabile rilancio dell’Unione Europea. Una svolta realistica e dunque più atlantica e meno imbrogliona, con un uomo legato agli Stati Uniti come Mario Draghi e un presidente dell’Unione Europea non necessariamente mediocre come quelli che sono seguiti a Jacques Delors, un compromesso tra un conservatorismo più consapevole di se stesso e una sinistra meno distratta, potrebbe essere la via per dare una nuova chance al Vecchio Continente.

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Su Strisciarossa Antonio Floridia scrive: «Siamo vicini, oramai, ad un punto di non ritorno, per il Pd. Su tante, troppe cose, e ora su una questione cruciale come la collocazione internazionale dell’Italia, in un partito non possono convivere posizioni diametralmente opposte. In un partito ci possono e ci devono essere opinioni e proposte diverse, su tanti campi delle politiche, e su queste ci dovrebbero essere un dibattito politico e procedure democratiche per decidere la “linea”. Ma su una questione identitaria come la guerra e la pace, non possono coesistere posizioni troppo divaricate».

Il dialogo di Joe Biden con Xi Jinping, sulla cui strada si è collocata Giorgia Meloni, per definire una competizione tra Pechino e l’Occidente che non distrugga la globalizzazione e affronti le varie sfide del pianeta, a partire da quella dell’inquinamento e dell’esaurirsi delle materie prime, offre chance a una sinistra che però sia pienamente consapevole della scelta atlantista, cioè non sia filocinese come i 5 stelle e i loro vari consiglieri a aprtire da Massimo D’Alema e Romano Prodi.

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