Per gli europeisti alla Amato la vera guerra in corso è contro i conservatori

Rassegna ragionata dal web su: l’idea “atlantista“ dell’unità Ue di Draghi e quella ”tecnoburocratica” di Amato, le tante linee di frattura del Vecchio Continente, lo scopo del fronte che ha in mente la Meloni

Mario Draghi e Giuliano Amato, rispettivamente all’epoca presidente del Consiglio e presidente della Corte costituzionale, alla parata del 2 giugno 2022 a Roma (foto Ansa)

Su Open si scrive: «Una vittoria della Russia o un “pareggio confuso” nella guerra in Ucraina sarebbe fatale per l’Unione Europea. Lo ha detto l’ex premier italiano Mario Draghi in un discorso al Mit di Boston dove ha ricevuto il premio Miriam Pozen. Per Draghi “la guerra in Ucraina, come mai prima d’ora, ha dimostrato l’unità dell’Ue nella difesa dei suoi valori fondanti, andando oltre le priorità nazionali dei singoli paesi. Questa unità sarà cruciale negli anni a venire”. Ovvero quando bisognerà “ridisegnare l’Unione, per accogliere al suo interno l’Ucraina, i paesi balcanici e i paesi dell’Europa orientale”».

Poco prima della morte di Silvio Berlusconi, due cosiddette riserve della Repubblica, Mario Draghi e Giuliano Amato, sono intervenute quasi contemporaneamente sui problemi di fondo che oggi sta vivendo l’Unione Europea. Forse è utile riflettere su quello che hanno detto. Naturalmente è stato comune l’appello all’unità del continente in una fase così difficile, ma si è potuto cogliere anche un’angolazione diversa nell’esaminare le questioni in ballo. Una differenza, credo, da non sottovalutare. Draghi ha posto come prioritaria la questione della sconfitta della Russia in Ucraina, come problema decisivo per i futuri indirizzi comunitari. Amato ha messo l’accento invece sull’esigenza di isolare certe tendenze conservatrici, considerate elemento assolutamente paralizzante del funzionamento materiale, consociativo e tecnoburocratico, dell’Unione.

Insomma non mi pare una forzatura sottolineare una esplicita linea atlantista in Draghi e una più euromultilateralista in Amato. Posizioni che corrispondono anche al profilo delle due personalità di cui discutiamo: una con forti legami con la finanza e l’establishment americano, l’altra storicamente interlocutore di un mondo già Fiat (sempre più francofilo) e oggi abbastanza coinvolto da quell’area politica che comprende anche un Romano Prodi e un Massimo D’Alema non insensibili a certe posizioni che sfiorano il terzopolarismo (talvolta a giorni alternati) di un Emmanuel Macron.

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Su Strisciarossa Paolo Soldini scrive: «Non è solo una questione di ideali e prospettive di grande respiro: il sostrato nazionalistico della posizione europea in alcuni paesi dell’Est porta a conseguenze pratiche potenzialmente devastanti per il funzionamento dell’Unione. Per esempio la pretesa che il diritto nazionale sia prevalente su quello comunitario, posizione sostenuta dai governi dei paesi di Visegrád ma anche dal partito di Giorgia Meloni che distruggerebbe le fondamenta giuridiche dello stesso mercato unico europeo».

Soldini ha ragione quando sottolinea come si debba tener conto delle «fondamenta giuridiche dello stesso mercato unico europeo»: non avere consapevolezza di questa concreta realtà può far correre gravi rischi “distruttivi” ai processi di integrazione continentale. Però poi l’ex giornalista dell’Unità non affronta l’altra questione fondamentale del momento, cioè: può un’istituzione come l’Unione Europea, priva di una Costituzione, senza un’adeguata base di legittimità popolare, costruita sull’egemonia di Francia e Germania, gestita in modo sostanzialmente tecnoburocratico, darsi una reale prospettiva? Distinguere tra la necessità di non distruggere le istituzioni attuali della Ue e la necessità di costruire un assetto seriamente democratico, questo è il problema che sta di fronte a noi.

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Su Huffington Post Italia Stefano Folli scrive: «Se, come dice Draghi, con la guerra in Ucraina i destini di Usa e Ue sono intrecciati, il fronte conservatore che ha in mente la premier confligge troppo con l’atlantismo».

Gli argomenti di Folli hanno alcuni fondamenti: l’Ungheria di Viktor Orbán è largamente egemonizzata dalla Cina e influenzate dai russi sono altre destre radicali del Centro Europa, compresa l’Afd tedesca soprattutto nell’ex Germania dell’Est. E, dalla sua, Marine Le Pen si muove nel solco di un relativo antiamericanismo che in parte segnò anche il gollismo. Però, d’altro verso, il conservatorismo radicale dei polacchi ha un segno atlantista. Così come quello dei conservatori radicali che sempre più partecipano a governi nell’area baltico-scandinava. Vox, poi, in Spagna è nata anche su spinta anche di un José María Aznar in dissenso dalla svolta meno atlantista del Partito popolare che ha lasciato poi spazio a un governo Sánchez, per un lungo periodo molto legato a Cuba e Venezuela. Insomma le considerazioni folliane mi paiono un po’ troppo centrate su una visione statica di una situazione attuale particolarmente in movimento.

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Sulla Zuppa di Porro Corrado Ocone scrive: «Quella in atto in Europa non è infatti una battaglia sulle regole e lo Stato di diritto, come viene presentata: è una battaglia politica e di potere a tutti gli effetti. Una guerra all’ultimo sangue che si intensificherà sempre più nei prossimi mesi, in vista delle elezioni che si svolgeranno giusto fra un anno e che mai come questa volta potranno cambiare gli equilibri politici e l’identità stessa di quell’Unione Europea arcigna e irrilevante che abbiamo conosciuto negli ultimi anni. Le linee di frattura che attraversano l’Europa sono oggi almeno tre: quella più strettamente politica fra conservatori e progressisti, con il Partito popolare ago della bilancia di una possibile maggioranza alternativa; quella geografica, che alla tradizionale divisione fra paesi nordici o “frugali” e paesi mediterranei in crisi di debito e generale, unisce oggi quella fra paesi dell’Est stanchi di essere considerati una Europa di serie B e Stati fondatori retti dall’asse franco-tedesco; quella fra filoatlantisti e autonomisti antiamericani».

Mi pare che Ocone abbia ragione sulla qualità dello scontro politico in atto. Forse dovrebbe fare attenzione a un’osservazione di Manfred Weber su come vi sia anche un quarto fronte nello scontro politico europeo: quello fra i “costruttivi” e i “distruttivi”. Un’osservazione ragionevole che va completata però da un’altra considerazione: costruttivi alla Draghi, cioè atlantisti, o costruttivi alla Amato, cioè difensori dell’ordine consociativo tecnoburocratico imperante nella Ue?

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