Migranti. Cosa è cambiato da quando la sinistra ha mandato a processo Salvini?

Anomalie, silenzi, accanimento. Cose da tenere a mente uscite sui giornali in vista dell'udienza preliminare a Catania contro l'ex ministro dell'Interno

Oggi è la “festa a lungo attesa” (cit.) da quel pezzo di sinistra italiana che sarebbe pronta a utilizzare qualunque mezzo – compresi i più sbagliati – per far fuori Matteo Salvini: si tiene proprio oggi a Catania, infatti, la famosa udienza preliminare al processo per sequestro di persona e abuso di ufficio nei confronti dell’ex ministro dell’Interno sul caso Gregoretti. L’udienza era stata inizialmente fissata per il 4 luglio, poi è slittata a oggi causa pandemia.

Come siamo arrivati fin qui e cosa può succedere adesso? Lo sintetizza bene questo articolo di Internazionale:

«[Oggi] l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini dovrà presentarsi davanti al giudice per l’udienza preliminare (gup) del tribunale di Catania per difendersi dall’accusa di sequestro di persona aggravato per aver impedito a 131 persone di sbarcare in Italia dopo essere state soccorse dalla nave della guardia costiera italiana Gregoretti nel luglio del 2019.

Il 12 febbraio 2020 l’aula del senato aveva autorizzato il procedimento contro il leader della Lega, senatore ed ex ministro, escludendo che Salvini avesse compiuto l’azione contestata per un “preminente interesse pubblico” e sollevandolo dall’immunità parlamentare. […]

Per la prima volta Salvini dovrà quindi presentarsi davanti a un giudice che avrà il compito di decidere se rinviare a giudizio l’indagato, chiedere un approfondimento delle indagini oppure non dar luogo a procedere. […]

L’udienza del 3 ottobre potrebbe essere solo la prima di una serie per ascoltare le parti, prima che il giudice prenda una decisione».

In più va aggiunto solo che Salvini rischia fino a 15 anni di carcere in caso di rinvio a giudizio e condanna. Inoltre quello di Catania è il primo ma potrebbe non essere (probabilmente non sarà) l’ultimo processo contro il leader leghista e la sua “politica dei porti chiusi”. Sua e del primo governo Conte. Ma su questo torniamo qui sotto.

Quanto agli argomenti dell’accusa e alla linea della difesa, rimandiamo al sito dell’avvocato Nicola Canestrini, legale di Salvini, dove è disponibile il testo integrale della «richiesta di non luogo a procedere di Matteo Salvini (che lo stesso imputato ha reso pubblica, e quindi non omissata)». Lettura senz’altro istruttiva.

La sostanza della vicenda, comunque, ormai dovrebbe essere nota a tutti. E tutti dovrebbero aver capito quello che ha capito Peter Gomez, direttore del sito del Fatto quotidiano, dunque un osservatore non certo ostile alla magistratura militante, e cioè che si tratta di «un processo estremamente debole».

Essendo il processo catanese contro Salvini «estremamente debole», non si capisce perché ostinarsi a portarlo avanti nonostante le evidenti controindicazioni politiche, mediatiche, di ordine pubblico. Ma ormai ci siamo. È qui la festa. Certo che bisogna proprio aver trascorso gli ultimi trent’anni in orbita per sperare ancora di lucrare qualche vantaggio politico dalla mostrificazione giudiziaria dell’avversario. Dopo la parabola di Silvio Berlusconi. Dopo lo scandalo Palamara, per di più.

È grottesco. Come si fa a non a non capire che questo show mediatico-giudiziario, comunque vada a finire, è il modo perfetto per fare di Salvini un eroe nazionale? Adesso il segretario della Lega dice: processatemi pure, sarà il voto degli elettori a stabilire se sono colpevole o innocente. Purtroppo è così, e purtroppo sono ancora la magistratura e la sinistra forcaiola a permetterlo.

Solo Repubblica può scandalizzarsi ancora, o fingere di scandalizzarsi ancora, nel 2020, davanti a un leader politico che chiama accanimento l’accanimento. Scriveva ieri Carmelo Lopapa:

«Qualche ora prima, [Salvini] si era spinto dove solo Berlusconi – sommerso dai processi – aveva osato negli anni passati. Fino al disconoscimento eversivo di un potere dello Stato: “È chiaro che non c’è un reato nel mio caso, saranno gli italiani alle prossime elezioni a dire se Salvini ha fatto bene o male”, sentenzia l’ex ministro dell’Interno. È la berlusconizzazione finale della Lega e del suo leader».

Proprio così: eversivo. Comunque, come detto, a parte l’equipaggio dell’Enterprise che era assente ingiustificato, tutti gli altri terrestri hanno chiaro ormai che quello che inizia oggi a Catania contro Salvini è «un processo estremamente debole». Tuttavia repetita iuvant. Vediamo che cosa c’è di strampalato in questo procedimento e nella linea politica di chi lo ha voluto.

Innanzitutto la domanda: il trattamento riservato alla nave Gregoretti e ai suoi migranti fu sequestro di persona o meno?

Ora, già è ridicolo chiedere se sia reato per un ministro dell’Interno proteggere i confini del suo paese. Così come è ridicolo porre la domanda oggi, quando un giorno sì e l’altro pure al largo delle coste italiane c’è una nave carica di migranti tenuta in quarantena. Ciononostante è una domanda legittima, al pari di qualunque altra.

Come risposta, ci pare sufficiente ricordare che la stessa procura di Catania, guidata da Carmelo Zuccaro, aveva chiesto l’archiviazione dell’indagine sul conto di Salvini. E non una, bensì due volte. Detto questo, vedremo cosa accadrà in tribunale.

E qui veniamo al “metodo” di questo processo, ovvero la strada per cui si è giunti all’udienza odierna, strada che è un unico gran pasticcio giudiziario, oltre che politico. Un giudizio perfetto lo ha già dato a febbraio in Senato Pier Ferdinando Casini prima di votare contro l’autorizzazione a procedere per Salvini. Ma negli ultimi due giorni il Corriere della Sera ha svolto un ottimo lavoro di rinfrescamento della memoria. Vale la pena di sfruttarlo.

L’udienza preliminare di oggi, ha scritto giusto ieri Giovanni Bianconi per il quotidiano milanese,

«[è] un appuntamento del tutto particolare rispetto alla normale dialettica giudiziaria, giacché a chiedere di processare Salvini non è stata la procura che sarà presente in aula, bensì un “tribunale dei ministri” che peraltro non esiste più; i tre magistrati che ne facevano parte, scaduto l’incarico biennale, sono stati sostituiti da altri tre. Ma prima di andarsene hanno lasciato un’eredità pesante dal punto di vista politico, avallata dall’autorizzazione a procedere concessa dal Senato; a raccoglierla dovrebbe essere la procura, che però ha già sostenuto che a suo parere non esistono gli estremi del reato contestato».

Altre “stranezze” della procedura penale le aveva messe in fila l’altroieri Paolo Mieli in un imperdibile editoriale sempre per il Corriere della Sera:

«Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro aveva chiesto l’archiviazione di questo caso Gregoretti-Salvini. Un altro magistrato, parlandone con Luca Palamara (quando l’ex capo dell’Associazione nazionale magistrati era ancora in auge) aveva espresso dubbi sull’iniziativa giudiziaria antisalviniana. Ma il presidente dei giudici delle indagini preliminari, Nunzio Sarpietro, è andato avanti con decisione: “A me Palamara non lo dice nessuno”, ha dichiarato. E il Senato ha concesso l’autorizzazione a procedere contro l’ex ministro per “sequestro di persona aggravato”».

Mieli ricorda anche un’altra “curiosità” che ha colpito tanti, in questi mesi di indagini sui presunti “sequestri plurimi di persona” di Salvini. Ossia quanto sia «fortunato» Giuseppe Conte, che è primo ministro oggi come lo era all’epoca di Salvini al Viminale, a non essere finito indagato come quest’ultimo.

«Nessun giudice ha pensato di coinvolgerlo, neanche marginalmente, nella decisione di trattenere quei disgraziati a bordo della “Gregoretti” in quell’ormai lontano luglio del ’19. E ugualmente baciati dalla fortuna sono stati i colleghi di governo dell’ex ministro».

Invece il leghista imputato è davvero sfortunato. Anche se a Catania dovesse uscire vincitore, per lui «altri procedimenti si prospettano», preconizza Mieli.

«Sicché probabilmente inizierà per il leader leghista una vita nuova tra tribunali e toghe che – presumiamo – non sarà ininfluente agli effetti della prosecuzione dell’altra sua vita, quella politica».

A proposito di «vita nuova»: ora che Salvini è a processo mentre Giuseppe Conte si gode sereno la sua vita nuova con un governo nuovo, che cosa è stato fatto per dare all’Italia una politica nuova sui migranti? Ancora Mieli:

«Nel frattempo i migranti – ovemai a qualcuno stesse tuttora a cuore il loro destino – hanno continuato ad essere “trattenuti” sui ponti delle navi. L’Italia giallorossa sulla scia di quella gialloverde ha poi stanziato dieci milioni per la guardia costiera libica. Nicola Zingaretti il 18 luglio scorso ha annunciato l’intenzione di verificare “con assoluta inflessibilità” che con tale impegno implicasse un “termine alla condizione infernale nella quale sono costretti a vivere tanti migranti”. Ma di quella “inflessibile” verifica si è saputo poco. Diciamo meglio: niente».

L’ex direttore del Corriere dà anche una notizia che tutti si sono “dimenticati” di dare riguardo a sbarchi e tragedie del mare:

«Tutti concordi su un’unica cosa: dai tempi di Salvini, in Italia non è cambiato niente. Solo che adesso nessuno o quasi ne parla più. Nel frattempo Alarm Phone ha denunciato che tra il 14 e il 25 settembre, centonovanta persone sono morte in sei naufragi davanti alla Libia. Cioè in dieci giorni: sei naufragi e centonovanta morti. Qualcuno ne ha saputo qualcosa?

«Secondo la portavoce di Sea Watch Giorgia Linardi il silenzio che avvolge queste storie risponde ad una “strategia del governo italiano” in complicità con il resto d’Europa. Tra il governo Conte I e il governo Conte II, prosegue la Linardi, “sono cambiate le modalità e i toni ma non è cambiato l’obiettivo di cacciare le Ong dal Mediterraneo”. Salvini a suo tempo voleva “porti chiusi”; il governo attuale, con il decreto del 7 aprile scorso, ha dichiarato i porti italiani “non sicuri”. “Quasi peggio”, sostiene Giorgia Linardi. Quanto al cambiamento dei decreti sicurezza, pare che tale modifica preveda la revisione delle sanzioni. Ma, secondo la portavoce di Sea Watch, manterrebbe “l’approccio criminalizzante verso chi salva vite in mare”. A parole, denuncia l’attivista umanitaria, “le nuove policy italiane ed europee menzionano il soccorso in mare, ma poi, a leggere bene, si coglie che l’unico cambio di passo è il rafforzamento di Frontex e dei respingimenti verso la Libia”».

Mieli sottolinea comunque – non sapremmo però dove finisca la sincerità e dove inizi l’ironia – «l’evidente cambio di passo dell’attuale titolare degli Interni: la Lamorgese lunedì scorso è stata persino ricevuta dal Papa che ha dato evidenti segni d’assenso al monito della ministra a “non dimenticare, in un frangente così gravido di domande, il dramma dell’immigrazione”».

Benissimo. Bastava leggere Alessandro Trocino sul Corriere della Sera di ieri per capire che fine farà questo ennesimo «monito» e «cambio di passo» del Pd:

«Da giorni il Movimento 5 stelle frena sul decreto sicurezza. La necessità di modifiche era stata evidenziata dal capo dello Stato, ma c’è anche un accordo di maggioranza per modifiche più ampie. Per mesi si è fatto finta di niente poi, dopo le elezioni, l’accelerazione. Ma il Movimento frena. Perché si tratta pur sempre di una sorta di abiura».

Non c’è molto altro da aggiungere. Se non forse la conclusione tratta da Mattia Feltri nella sua rubrica in prima pagina sulla Stampa di ieri:

«Continuo a chiedermi – e mi do risposte querelabili – come possano gli alleati di allora vedere il loro (ex) ministro dell’Interno alla sbarra, senza sentire su di sé una corresponsabilità, se non altro politica e morale. Ma la politica è questa e la morale pure, non da oggi. Nel frattempo i nostri porti restano pressoché chiusi, in quanto non sicuri a causa del Covid, mentre si sono aperti stadi e discoteche e, nella curiosa coincidenza delle elezioni regionali, la nave Alan Kurdi ha vagato in mare per quattro giorni, e a spoglio effettuato si è infine concesso l’attracco. Anche questo spiega che il salvinismo non è un’esclusiva di Salvini. Si nota una sola differenza: Salvini lo faceva e se ne vantava, ora continuano a farlo e tacciono perché un pochino se ne vergognano».

Foto Ansa

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