Le Méné: «La Francia vuole fare la ricerca sugli embrioni. È ideologia»

Intervista a Jean-Marie Le Méné, presidente della fondazione Jérôme Lejeune: «Gli scienziati che considerano l'etica, come il nobel Yamanaka, hanno successo. Non come noi francesi»

«Se l’etica è un punto di forza o un ostacolo della tecnica? Basta vedere chi è che ha avuto successo: il coreano Hwang, l’impostore fautore della clonazione seguito dagli scienziati francesi, oggi in prigione, o il professor Yamanaka, il premio Nobel per la medicina che gli italiani e il Vaticano hanno celebrato per primi nel 2006?». Jean-Marie Le Méné (nella foto) fa il modesto ma in realtà nel 2006 fu la fondazione Jérôme Lejeune, di cui lui è presidente, a portare il premio Nobel 2012 Yamanaka a Roma con la collaborazione della Pontificia accademia della vita. Ma la fondazione che porta il nome di uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, Jérôme Lejeune, di cui oggi è in corso la causa di beatificazione, scopritore della trisomia 21, causa genetica della Sindrome di Down, oggi combatte in Francia contro una legge che il 15 ottobre potrebbe essere approvata dal Senato: «Vogliono cambiare i pilastri del sistema di ricerca francese – dichiara Le Méné a tempi.it – vogliono legalizzare la ricerca sugli embrioni, che prevede la loro distruzione, ignorando così ancora una volta le scoperte del premio Nobel Yamanaka».

Yamanaka ha vinto il premio Nobel per la medicina per il suo lavoro sulla riprogrammazione delle cellule staminali. Che valore ha la sua ricerca?

La sua scoperta è straordinaria perché raggiunge uno dei più antichi sogni dell’umanità: tornare giovani. Il professor Yamanaka ha trovato il modo di far tornare giovani delle cellule adulte. In altre parole, una cellula del corpo umano, specializzata in un tessuto, può tornare indietro al suo stato originario non specializzato, pluripotente. Questo apre a un’infinità di applicazioni pratiche senza dover distruggere gli embrioni .

Mentre la stragrande maggioranza della comunità scientifica era concentrata a usare per la ricerca le cellule staminali embrionali, che richiede la distruzione dell’embrione, Yamanaka ha da subito deciso di seguire un’altra strada. Perché?

Come il generale De Gaulle era solito dire: «Troviamo ricercatori, ma cerchiamo scopritori!». Il professor Yamanaka è esattamente quello che si definisce uno “scopritore” mentre altri ricercatori sulle cellule staminali non lo sono. La domanda è: perché ha fatto questa scoperta?  Perché ha deciso di non intraprendere la via più facile, che l’avrebbe aiutato mettendogli a disposizione l’insieme degli embrioni congelati, prodotti dalla fecondazione in vitro. Yamanaka si è rifiutato fin dall’inizio di eludere l’ostacolo etico e distruggere gli embrioni umani. Lui considera l’etica come il primo vincolo di cui uno scienziato deve tenere conto. Al contrario, noi vediamo che coloro che scelgono di liberarsi dai vincoli etici non riescono ad avere lo stesso successo, semplicemente perché sono accecati dal modo di pensare restrittivo secondo cui per tutto deve essere usato l’embrione.

Come questo premio Nobel cambierà la ricerca sulle cellule staminali?
Questo premio Nobel dimostra che il progresso nel campo della medicina non è necessariamente legato alla trasgressione. Le cellule staminali riprogrammate vengono usate per creare campioni di patologie e per lo studio delle molecole, perciò i laboratori farmaceutici potranno liberamente lavorare su cellule staminali efficienti come quelle embrionali, ma senza distruggere gli embrioni. Per quanto riguarda le prospettive terapeutiche, le cellule staminali riprogrammate presentano gli stessi inconvenienti di quelle embrionali. Quindi, dopo il trapianto, non è ancora possibile ad esempio controllare totalmente la crescita di un tumore nell’organismo.

Il nobel Yamanaka ha dimostrato che è possibile fare ricerca efficace sulle cellule staminali senza distruggere gli embrioni. Perché così pochi scienziati hanno tentato la sua strada?
C’è un’ideologia materialista che considera gli essere umani come cose, oggetti, come mezzi da subordinare ad altri fini. Questa è la visione della tecno-scienza, per cui il fine giustifica i mezzi. A chi la pensa così non importa se per salvare delle vite la medicina distrugge altri esseri umani. Questa ideologia viene mascherata da una finta compassione: si usano gli embrioni giustificandosi perché tanto, dicono, sarebbero condannati ad ogni modo.

In Francia tra pochi giorni, il 15 ottobre, il Senato voterà per legalizzare la ricerca sugli embrioni.
Perché sia chiaro anche ai lettori non francesi: il sistema francese, che è stato regolato in seguito ai dibattiti bioetici del 2004 e del 2011, si basa su due pilastri: è proibito fare ricerca sugli embrioni umani ma con alcune eccezioni. I socialisti, che sono l’attuale maggioranza, vogliono cambiare radicalmente il sistema in questo modo: si può fare ricerca sugli embrioni umani ma rispettando alcune condizioni. È chiaro che non è la stessa cosa. Per i socialisti la protezione degli embrioni umani diventerebbe un’eccezione alla regola. In questo modo collassa il caposaldo della legge francese, che ha sempre protetto gli esseri umani fin dal concepimento (anche la legge sull’aborto prevede che l’interruzione di gravidanza sia un’eccezione alla regola).

Perché la Francia non ha seguito gli sviluppi del lavoro di Yamanaka ma ha preferito altre strade?
Nel 2004-2005 il professor Yamanaka stava cercando di superare le difficoltà etiche che la distruzione degli embrioni umani poneva per ottenere cellule staminali efficaci come quelle embrionali. Allo stesso tempo, le istituzioni francesi e la maggior parte dei ricercatori francesi sceglievano di appoggiare il coreano Hwang, che prometteva che sarebbe riuscito a clonare gli embrioni umani, garantendo così una fonte potenzialmente infinita di cellule staminali non specializzate. Ma il falso scienziato Hwang ora si trova in prigione, mentre quello vero Yamanaka ha appena ricevuto il premio Nobel per la medicina. La Francia ora è fuori gioco, ha perso il treno del progresso. L’intuizione dell’Italia e del Vaticano, invece, dovrebbe essere elogiata. Nel settembre 2006, siete stati i primi a riconoscere i meriti di Yamanaka durante un convegno a Roma. Questa conferenza era stata organizzata dalla Pontificia accademia per la vita e dalla nostra fondazione Jérôme Lejeune.

Che cosa fate come fondazione Jérôme Lejeune all’interno di questo dibattito?
La fondazione si dedica anima e corpo ad aumentare la consapevolezza delle persone su questi temi. I nostri sforzi comunicativi sono indirizzati ai rappresentanti politici e all’opinione pubblica, soprattutto attraverso i media. La difficoltà principale che dobbiamo affrontare non è la mancanza di diffusione dell’informazione ma la diffusione di dati e analisi approssimativi per non dire errati. Il dibattito è fazioso, anche perché il soggetto è complesso per tutti, persino per coloro che hanno molta influenza: politici e giornalisti. Noi, insieme ad altre organizzazioni, cerchiamo di bilanciare le forze identificando gli errori, fornendo chiavi di interpretazione che possano aiutare e dati affidabili.

Yamanaka è stato premiato e ha vinto il premio Nobel. Qual è il ruolo dell’etica all’interno della ricerca scientifica?
L’obiettivo dei ricercatori è quello di spiegare l’ambiente che ci circonda e aiutare gli essere umani a vivere all’interno di esso in modo intelligente e sano. Così la scienza è al servizio della vita, non il contrario, e l’etica non è un insieme arbitrario di regole ma il pilastro fondamentale della ricerca. Quelli che nel 19esimo secolo soffocavano tra due materassi i pazienti che avevano la rabbia non sono quelli che poi hanno liberato il mondo dalla rabbia. Louis Pasteur lo ha fatto quando ha inventato il vaccino. Una genuina scoperta scientifica non gioca a sfavore dell’umanità ma sta dalla sua parte. Per questo ogni genuina scoperta scientifica ha una dimensione etica innata: non è solo un progresso di tipo tecnico, ma un passo avanti dell’umanità. L’etica non è un ostacolo, ma un punto di forza della ricerca. E il successo di Yamanaka lo dimostra.

@LeoneGrotti

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